Associazioni professionali e studi professionali associati: inquadramento e disciplina

Si affronta il tema della natura giuridica delle associazioni professionali e degli studi professionali associati, rispetto ai quali la nuova disciplina delle società tra professionisti, che ha definitivamente abrogato il divieto di esercizio collettivo delle professioni, consente una riqualificazione in termini di società semplici.

L’introduzione della legge sulle società tra professionisti fornisce oggi un’opportunità di riflessione per attenuare i dubbi in ordine all’inquadramento degli studi professionali associati, privilegiando una qualificazione in termini di società semplice, con rilevanti conseguenze sul piano della disciplina applicabile a tali soggetti.

La scarna disciplina delle associazioni tra professionisti è rinvenibile nell’art. 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza, che consentiva l’esercizio delle professioni in forma associata, regolando in verità tale materia limitatamente a quanto concerneva la denominazione, mentre per tutti gli altri profili occorreva rifarsi alle elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali, peraltro piuttosto disomogenee e talvolta contraddittorie.

Nonostante l’estrema diffusione delle associazioni professionali, non si è mai pervenuti ad un inquadramento univoco di tale istituto giuridico, e la stessa giurisprudenza ha finora oscillato tra varie ricostruzioni, ricorrendo alla configurazione ora come società semplice (Cass. Civ. 23 maggio 1997, n. 4628; App. Milano 19 aprile 1996; Trib. Milano, 3 giugno 1999), ora come contratto di divisione dei proventi (Cass. Civ., sez. II, 10 luglio 2006, n. 15633; Cass. Civ. n. 6994/2007; Cass. Civ. 11 novembre 2013, n. 25302; Cass. Civ., sez. lav., 21 novembre 1997, n. 10354; Cass. Civ., sez. lav., 5 marzo 1997, n. 1933; Cass. Civ. 9 settembre 1982, n. 4868), calcolati secondo il principio di cassa e delle spese senza che si venga a costituire un centro autonomo di imputazione di interessi, ovvero ancora come associazione non riconosciuta sui generis (Cass. Civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8853; Cass. Civ. 15 luglio 2011, n. 15694; Cass. Civ. 26 luglio 2016, n. 15417; Cass. Civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24410; Cass. Civ. 21 marzo 1989, n. 1405).

Quale che fosse la tesi preferibile, non può non notarsi come l’esito fosse comunque eversivo rispetto a taluni principi: così, ad esempio, se si fosse fatto riferimento a figure tipicamente disciplinate nel libro I era evidente l’anomalia costituita dalla presenza di un innegabile scopo lucrativo; o, ancora, la sussumibilità nello schema della società semplice creava non pochi problemi di collocazione dell’attività del professionista sul piano sistematico.

Né appariva decisiva, ai fini che qui interessano, la disciplina contenuta nell’art. 5, comma 3 lett. c), d.p.r. 29 settembre 1973, n. 597, secondo cui «le società o associazioni costituite fra artisti e professionisti per l'esercizio in forma associata dell'arte o della professione di tipo diverso da quelli indicati nel primo comma e prive di personalità giuridica, sono equiparate alle società semplici».

Tale norma equipara le associazioni professionali alle società semplici, ma ai soli fini della disciplina fiscale di tali enti senza incidere, quindi, sulla determinazione della natura giuridica delle stesse.

Come anticipato, l’entrata in vigore della legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha introdotto la disciplina delle società tra professionisti, consente una rivalutazione delle conclusioni alle quali è finora pervenuta la giurisprudenza in ordine alla natura giuridica degli studi professionali associati.

Va, peraltro, segnalato come tale legge abbia legittimamente posto il dubbio se sia consentito costituire ex novo una associazione tra professionisti, stante la definitiva abrogazione, contenuta nel comma 11 dell’art. 10 l. 183/2011, della legge 23 novembre 1939, n. 1815, che va, tuttavia, coordinata con la disposizione contenuta nel comma 9 dell’art. 10 della stessa legge 183/2011, il quale stabilisce che «Restano salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge».

Nonostante, quindi, l’entrata in vigore dell’art. 10 l. 183/2011, che ha introdotto la società tra professionisti e ha abrogato la legge 23 novembre 1939 n. 1815, contenente la disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza, risulta ad oggi ancora consentita la costituzione di associazioni fra professionisti e, conseguentemente, appare ammissibile l’adozione del relativo statuto.

Ciò posto in ordine all’ammissibilità, allo stato attuale, di associazioni tra professionisti esercenti le professioni regolamentate, occorre poi rilevare come, venuto meno il divieto delle società tra professionisti, e alla stregua di quanto avvenuto con la legge 183/2011, l’associazione professionale vada oggi probabilmente riqualificata come società semplice.

Infatti, tra le tre alternative fornite dalla giurisprudenza in ordine al dubbio inquadramento delle associazioni tra professionisti (contratto associativo atipico di carattere misto; ente collettivo con autonomia strutturale e funzionale; società semplice) quest’ultimo appare forse preferibile perché:

- lo scopo di tali associazioni è pur sempre quello di conseguire un vantaggio economico, e dunque è uno scopo di lucro;

- la circostanza per cui l’attività di queste associazioni non è né commerciale, né agricola, induce a ritenere che le stesse siano qualificabili come società semplici;

- con la legge 183 sono venute meno le remore che impedivano siffatta qualificazione pur affermata da una parte della giurisprudenza e della dottrina.

Rispetto a tale ultimo profilo, assume rilievo una pronuncia, relativa a vicende svoltesi anteriormente alla l. 183/2011, nella quale un’associazione professionale costituita in Germania, ma operante in Italia, è stata ritenuta legittima, in quanto regolata dal diritto tedesco, che da tempo ammette l’esercizio in comune delle professioni regolamentate nella forma della società di diritto civile (GbR), i cui soci si impegnano a svolgere insieme attività economica lucrativa non commerciale.

Pertanto, posto che tale associazione è consentita dalle leggi dell’ordinamento di provenienza, nel quale manca un divieto di società tra professionisti, la Suprema Corte ne ha affermato la liceità ritenendola assimilabile alla società semplice di diritto italiano (Cass. Civ. 16 aprile 2014, n. 8871).

Ciò conferma come, in assenza di un divieto di società tra professionisti, l’esercizio in forma associata dell’attività professionale, in quanto attività economica di tipo non commerciale, sia riconducibile allo schema della società semplice.

Un’evoluzione interpretativa in tal senso appare rinvenibile in un ulteriore provvedimento nel quale la giurisprudenza di legittimità afferma la nullità dei contratti di prestazione professionale stipulati da un’associazione che di fatto operava come una società semplice, trattandosi di contratti stipulati anteriormente all'avvenuta abrogazione del divieto delle società tra professionisti (Cass. Civ. 29 febbraio 2016, n. 3926).

Da tale affermazione si evince, quindi, implicitamente, che successivamente all’abrogazione del predetto divieto, nulla impedisce di riqualificare le associazioni tra professionisti in termini di società semplici.

Se si aderisce alla tesi secondo cui le associazioni tra professionisti hanno la natura di società semplice, appare innegabile la loro soggettività giuridica e, quindi, la loro attitudine a costituire un autonomo centro di imputazione di tutti i rapporti disciplinati dall’ordinamento, ad eccezione di quelli che richiedono necessariamente l’esistenza di una persona fisica.

Quanto, poi alla possibilità di “convertire” gli studi e le associazioni professionali già esistenti in società tra professionisti, si tratta di una questione la cui soluzione dipende dall’inquadramento della natura giuridica delle associazioni tra professionisti.

Se, infatti, si aderisce alla tesi secondo cui gli studi professionali associati hanno la natura di società semplice, la trasformazione in STP, nella quale si adotti un modello diverso dalla società semplice, avrebbe la natura di trasformazione progressiva da società semplice in altro tipo sociale.

L’adozione, invece, delle regole della STP attraverso il ricorso al modello della società semplice non avrebbe la natura di trasformazione, bensì di modifica statutaria.

Riferimenti normativi:

L. 23 novembre 1939, n. 1815;

d.p.r. 29 settembre 1973, n. 597;

L. 12 novembre 2011, n. 183

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