Lavoro e previdenza sociale

Sì all’utilizzo di investigatori privati per controllare il lavoratore fuori dall’orario di lavoro

La Corte d’appello di Roma, sentenza 5 ottobre 2021, n. 3415, conferma la legittimità del ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verificare il comportamento dei lavoratori al di fuori dell’orario di lavoro, non essendo ravvisabili profili di illiceità in relazione alle norme dello Statuto dei lavoratori in materia di controlli del datore di lavoro.

È noto come il lavoratore subordinato sia assoggettato all’esercizio del potere direttivo, disciplinare e di controllo da parte del datore di lavoro, exart. 2104 c.c.

Il controllo dell’adempimento della prestazione lavorativa può essere effettuato: sia direttamente dal datore di lavoro ovvero tramite una sua organizzazione gerarchica (2104 c.c.) sia nelle modalità che sono descritte e specificate dallo Statuto dei lavoratori.

Invero, l’attività di controllo del datore di lavoro deve essere circoscritta entro precisi limiti delineati dagli artt. 2-5 dalla L. n. 300/1970.

L’art. 2 dello Stat. Lav. prevede che, pur potendo il datore di lavoro impiegare guardie particolari giurate per scopi di tutela del patrimonio aziendale, le stesse non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale, nè possono accedere nei locali dove si svolge l’attività lavorativa durante lo svolgimento della stessa (se non per motivate esigenze di tutela del patrimonio aziendale), mentre l’art. 3 prevede che il datore di lavoro possa controllare l’attività lavorativa dei propri dipendenti, utilizzando altro personale esplicitamente addetto a tale attività, previa comunicazione ai lavoratori dei nominativi degli addetti alla vigilanza interna e le mansioni specifiche da questi svolte.

Ebbene, nell’ambito dei controlli del datore di lavoro si pone la questione affrontata dalla sentenza in commento che riguarda la liceità ed i limiti dell’utilizzo di agenzie di investigazioni private.

La giurisprudenza è univoca nel ritenere, con riferimento alla portata degli artt. 2 e 3 L. n. 300/1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3), che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica.

Tuttavia, tale controllo, effettuato tramite guardie giurate o un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore, non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 9167/2003).

Tale fermo principio è stato costantemente ribadito ancora di recente da Cass. n. 15094/2018, sottolineandosi, in particolare, la liceità dei controlli che siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo mentre le agenzie di investigazione, per operare lecitamente, non debbano sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 L. n. 300/1970, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori (così anche Cass. n. 8373/2018).

Le garanzie degli artt. 2 e 3 citati, infatti, operano con riferimento all’esecuzione dell’attività lavorativa in senso stretto, non estendendosi, invece, agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione di lavoro che possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi. Di conseguenza resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cass. n. 21621/2018).

La ritenuta liceità del controllo rende, altresì, prive di fondamento le doglianze sulla violazione degli artt. 2104 e 2106 c.c. perché il potere dell’imprenditore di controllare direttamente o indirettamente l’adempimento delle prestazioni lavorative, nei limiti sopra evidenziati, non è escluso dalle modalità di controllo che può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all’art. 4 della L. n. 300/1970 riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza (in termini cfr. Cass. 10/7/2009, n. 16196).

Ebbene, nell’ambito dell’orientamento sopra descritto, la Corte d’appello di Roma ha affermato, con riferimento ad una fattispecie in cui vi era il dubbio che il lavoratore, in permesso exL. n. 104/1992, utilizzasse tali permessi per finalità diverse dall’assistenza al familiare, che “ove sorga il giustificato dubbio che un dipendente in permesso svolga altre occupazioni incompatibili con lo scopo di tale beneficio e, perciò, si renda responsabile di un comportamento illecito di tale genere, è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verifiche al riguardo, né sono ravvisabili profili di illiceità a norma dell'art. 2, secondo comma, della L. n. 300 del 1970, il quale, prevedendo il divieto per il datore di lavoro di adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell'attività lavorativa e il divieto per queste ultime di accedere nei locali dove tale attività è in corso, nulla dispone riguardo alla verifica dell'attività svolta al di fuori dei locali aziendali da parte dei dipendenti in malattia” (cfr., in una fattispecie assimilabile alla presente, Cass., Sez. lav., n. 14383 del 03/11/2000).

Inoltre, il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un'agenzia investigativa, finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33L. 5 febbraio 1992, n. 104 (contegno suscettibile di rilevanza anche penale) non riguarda l'adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell'orario di lavoro ed in fase di sospensione dell'obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, sicché esso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello statuto dei lavoratori (cfr. Cass. sez. lav., sentenza n. 4984 del 04/03/2014)”.

Riferimenti normativi:

Art. 2104 c.c.

Art. 2, L. n. 300/1970

Art. 3, L. n. 300/1970

Copyright © - Riproduzione riservata

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