IP, IT e Data protection

Blockchain, NFT e Metaverso tra innovazione tecnica e innovazione giuridica

Le nuove tecnologie della rete e le loro applicazioni sono sempre più al centro non solo della cronaca, ma anche della discussione giuridica. Il dibattito che si è aperto è tuttavia spesso viziato da una duplice incomprensione: da un lato, si reclamano nuove norme calibrate su singole fattispecie e quindi destinate ad essere rese rapidamente obsolete dall’evoluzione tecnologica e sociale; dall’altro lato si concentra l’attenzione sulle applicazioni più clamorose di queste nuove tecnologie, senza coglierne (e valutarne sul piano giuridico) tutte le potenzialità. In entrambi i casi manca una visione del futuro, oggi invece più che mai necessaria, che, sul piano normativo, richiede di valersi di disposizioni astratte e generali ed anzitutto di quelle già esistenti, interpretate in chiave evolutiva, rimuovendo anzi le regole eccezionali che talora ne impediscono o comunque ne limitano l’applicazione estensiva, piuttosto che introdurre eccezioni di eccezioni, come sempre più frequentemente avviene, anche a livello comunitario (si pensi alla Direttiva U.E. n. 2019/790 in materia di diritti d’autore, assolutamente apprezzabile nei suoi obiettivi, raggiunti però con una tecnica giuridica di tipo casistico, che rende arduo ricavarne principî generali suscettibili di più ampia applicazione e pone anzi, almeno nel nostro ordinamento, problemi di conformità al principio costituzionale di eguaglianza, che impone di trattare in modo equivalente situazioni equivalenti).

Paradigmatici di questo approccio doppiamente inadeguato, ma al tempo stesso suscettibili di diventare il banco di prova di una nuova impostazione, capace di dare risposte non solo ai problemi di oggi, ma anche a quelli di domani, sono Blockchain, Non Fungible Tokens (in acronimo, NFT) e Metaverso, troppo spesso percepiti come legati soltanto alle criptovalute (la blockchain), alle opere d’arte “virtuali” (gli NFT) e a una sorta di versione tecnologicamente aggiornata di “Second Life” (il Metaverso). Essi sono certamente tutto questo, ma sono anche molto di più e molte di più sono correlativamente anche le esigenze di corretto inquadramento legale dei problemi e delle opportunità che suscitano.

Di queste tre nuove tecnologie si è discusso poche settimane fa all’annuale Forum INDICAM a Milano, in una tavola rotonda – che ho avuto l’onore di moderare e che ha visto la partecipazione di Margherita Leder di Italia4Blockchain, Francesco Fiore, CEO di Finney Hub e Davide Maestri, General Manager & Head of Media House presso TMP Group e Hangar21 –, per “leggerle” proprio in una chiave multidisciplinare e sistematica.

Anzitutto la Blockchain, benché abbia trovato le sue prime e più note applicazioni nel modo della finanza e delle criptovalute, si configura come un sistema decentralizzato di “notarizzazione” di singoli dati, che possono riguardare non solo transazioni, ma anche moduli e processi e che, una volta inseriti, risultano sostanzialmente immodificabili, fornendo anche datazione e geolocalizzazione certe dell’immissione, poiché la modifica richiederebbe il consenso di tutti i partecipanti alla catena (i “nodi”, come vengono abitualmente chiamati), i quali sono potenzialmente infiniti. Della tecnologia Blockchain si è così avvalsa ad esempio Benetton, nell’ambito del progetto “Blockchain in a Box”, elaborato in seno al Gruppo italiano del Council of Supply Chain Management Professionals (CSCMP), per realizzare una lettera di vettura elettronica impiegata nei trasporti internazionali su strada, rendendo più trasparente e controllabile la filiera e riducendo quindi i rischi di abusi e di illegalità.

Una corretta contrattualizzazione – anche sul piano dei rimedi e della gestione efficace (ed enforceable) delle controversie – può infatti consentire l’adozione su larga scale della Blockchain come tecnologia garante dei flussi documentali digitalizzati scambiati tra le parti di un rapporto, cosa di estrema importanza sia nel sempre più diffuso Internet of Things, sia nella gestione delle filiere produttive (che con l’utilizzo di questa tecnologia possono essere più facilmente garantite da marchi collettivi e di certificazione, i quali rappresentano oggi valori aggiunti sempre più importanti per le imprese che se ne avvalgono, comunicando per il tramite di essi il proprio impegno su temi come l’etica e la sostenibilità), sia nel controllo dello smartworking e nella sua integrazione nell’organizzazione del lavoro, sia nella circolazione delle tecnologie segrete, oggi più che mai necessaria, a fronte delle criticità che emergono nelle supply chain e che rendono quindi spesso consigliabile completare i processi produttivi nei Paesi di destinazione delle merci, facendo “viaggiare” materialmente solo i semilavorati: dunque integrando virtuosamente (e in modo sicuro) mondo reale e mondo virtuale.

Questa integrazione è ancora più evidente negli NFT, a loro volta garantiti proprio attraverso il ricorso alla tecnologia Blockchain, che non sono soltanto utilizzati per rendere riconoscibili (e negoziabili) come tali gli “originali” delle opere d’arte digitali, distinguendoli dalle copie, ma possono diventare – sempre attraverso un’adeguata contrattualizzazione (che frequentemente prevede anche il pagamento di una royalty al titolare dei diritti in caso di cessione del token, secondo un modello che ricorda il diritto di seguito sulle vendite successive delle opere dell'arte figurativa) – veri e propri titoli di credito sui generis, a loro volta negoziabili, rappresentativi (token, appunto) di beni e servizi del mondo reale, magari non ancora prodotti (e che verranno prodotti sulla base della domanda, riducendo gli sprechi), che gli utilizzatori della rete possono scegliere in negozi virtuali e poi ritirare o farsi consegnare nel mondo reale, ed ai quali quindi sono pienamente applicabili le norme in materia di proprietà intellettuale, a cominciare dalla norma recentemente introdotta nell’art. 20 del Codice della Proprietà Industriale (e nell’art. 10 del Regolamento UE n. 2017/1001 sul marchio dell’Unione Europea), che attribuisce al titolare anche il diritto di vietare, salvo proprio consenso, di apporre il segno su “altri mezzi su cui il marchio può essere apposto ovvero di offrire, immettere in commercio, detenere a tali fini, importare o esportare tali mezzi recanti il marchio, quando vi sia il rischio che gli stessi possano essere usati in attività costituenti violazione del diritto del titolare”.

Sempre tra gli NFT rientrano altresì i fan token, attraverso i quali il titolare dei diritti sui segni distintivi o sulle immagini o su altri materiali coperti dal diritto d’autore può instaurare un rapporto più stretto e coinvolgente con il pubblico, facendolo sentire parte di una community che si costituisce proprio intorno al valore comunicazionale ed esperienziale di questi oggetti virtuali, tutelato attraverso i diritti della proprietà intellettuale.

In questa stessa prospettiva, anche il Metaverso non è solo un mondo virtuale parallelo a quello reale, bensì può diventare una componente importante della comunicazione d’impresa e della fidelizzazione dei consumatori, riproducendo e integrando le esperienze di shopping del mondo reale ed estendendole a servizi che per il consumatore hanno un valore proprio perché sono in rapporto con questo mondo reale e non perché rappresentano un’alternativa economicamente più accessibile ad esso, aprendo quindi una nuova frontiera alla concorrenza tra imprese, sempre fondata sulla capacità di internalizzare e valorizzare le esternalità positive che si costituiscono intorno ai segni distintivi e dunque allo sfruttamento della funzione pubblicitaria, di comunicazione e di investimento che ai marchi viene oggi riconosciuta, secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia europea e che giustificano sempre di più la felice metafora di Stefano Sandri, che già molte anni fa parlava di “marchi personificati”, ossia percepiti dai consumatori come amici, più o meno fidati, che li consigliano e li orientano nelle loro scelte commerciali, culturali e sociali.

Questo strumento creerà perciò (e sta già creando) anche nuove opportunità per lo svolgimento di attività di licensing e soprattutto di co-branding, dato che consente di creare più facilmente circoli virtuosi di utilizzazioni coordinate di segni distintivi imprenditoriali, ma anche di marchi territoriali e di DOP e IGP, per valersi scambievolmente e in modo reciprocamente profittevole dei rispettivi valori comunicazionali positivi, specialmente per competere su un mercato che resta globale anzitutto perché globale è la rete web (almeno dove la libertà economica si accompagna alla libertà politica, senza la quale del resto anche la prima è inevitabilmente limitata, come in Cina o nella Russia neosovietica di Putin).

Nel campo del diritto rientrano del resto anche le tecnologie attraverso le quali queste nuove applicazioni informatiche funzionano, che possono essere coperte da diritti d’autore (come nel caso del software e quindi anche degli algoritmi che le governano) o anche da brevetti (anche sulle Computer Implemented Inventions e sugli stessi software che producano un effetto tecnico ulteriore alla necessaria interazione di essi col computer: anzi, è proprio l’esistenza di questi diritti che consente ai titolari di scegliere se consentirne o meno usi liberi da parte di terzi, subordinando questi usi al rispetto di regole che si estendono anche alle elaborazioni realizzate da questi terzi, come nel caso delle licenze creative commons ormai largamente tipizzate dalla pratica e riconducibili all’ambito delle regole oggettive del commercio internazionale.

Ed ancora è disciplinata dal diritto la sorte dei dati generati da questi strumenti e dalle interazioni degli utenti con essi, che devono rispettare anzitutto le regole in materia di privacy (compresi i diritti alla cancellazione), ma che possono a loro volta costituire oggetto di diritti, sotto forma di database e di trade secret, come tali negoziabili e idonei ad essere trattati in modo da generare metadati, parimenti negoziabili e utilizzabili nell’ambito del data learning che sta alla base dell’altra grande tecnologia del futuro, l’intelligenza artificiale, anch'essa spesso "volgarizzata” e fraintesa, mentre va apprezzata (e valutata giuridicamente) per quello che è, uno strumento idoneo a facilitare e a rendere molto più rapida la ricerca, la creazione e soprattutto l’innovazione.

Anche in questo caso non abbiamo dunque bisogno di nuove norme ad hoc, bensì di un’interpretazione evolutiva delle norme già esistenti, in materia di esclusive e di concorrenza, le une e le altre applicabili senza sostanziali differenze anche al web e ai soggetti che vi operano, anche non imprenditori, in quanto vi svolgano comunque un’attività economica, come nel caso degli influencer della rete (o aspiranti tali, che promuovono comunque se stessi in questo ruolo e quindi non possono sottrarsi alla disciplina delle pratiche commerciali, nel cui perimetro la loro attività incontestabilmente si colloca), attraverso il necessario dialogo e la condivisione delle diverse competenze ed esperienze degli operatori del mercato, dei tecnici, degli esperti di comunicazione, degli economisti e dei giuristi.

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