Immobili condominio e locazioni

Per esonerare un condomino dalle spese condominiali serve una “diversa convenzione” unanime

La disciplina del condominio è inserita nel Libro Terzo “Della Proprietà” del Codice civile, ma ugualmente il legislatore ha dovuto regolamentare i rapporti personali ed economici che si instaurano necessariamente tra i condomini; tra questi ultimi come dividere le spese che si rende obbligatorio sostenere per la conservazione delle cose del condominio. Il legislatore, che ha promulgato il codice civile nel 1942, ha ritenuto attribuire a ciascuna proprietà solitaria un valore, aritmetico, in base ad alcuni parametri oggettivi che la caratterizzano. Considerato questo valore unitario, la somma complessiva concernente tutte le unità immobiliari che costituiscono l’edificio è normalmente pari a mille millesimi. La ripartizione delle spese deve avvenire in base a queste carature, se non diversamente convenuto tra l’intera compagine condominiale o perché accettate nei contratti di compravendita di ciascun acquirente o perché deliberate all’unanimità in una apposita assemblea. La loro modifica deve avvenire, quindi, all’unanimità, salve le fattispecie previste dall’art. 69 disp. att. c.c.

Il Condominio

Il legislatore del 1942, nel promulgare il codice civile, ha sostanzialmente ripreso il R.D. 15 gennaio 1934, n. 56, omettendo peraltro la definizione di condominio e limitandosi ad elencare nell’art. 1117 c.c. le parti e i servizi che si devono presumere comuni, mentre la giurisprudenza lo ha definito, ante riforma 2012, un mero ente di gestione delle cose comuni, e successivamente ha ribadito ancora che è sprovvisto di personalità giuridica (Cass. civ. sez. Unite 18 aprile 2019, n. 10934).

La legge 11 dicembre 2012, n. 220, infatti, non ha risolto la questione ma, introducendo ex novo alcuni articoli o modificandone altri, inerenti al patrimonio del condominio, ha indotto la giurisprudenza a ritenerlo fornito di soggettività giuridica (Cass. sez. Unite 18 settembre 2014, n. 19663).

L’art. 1117 c.c., dunque, elenca i beni che si presumono di proprietà comune in relazione alla loro funzione e al loro collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà solitaria, seppure tale elenco non abbia natura tassativa ma solo ricognitiva (Cass. civ. sez. II, 24 aprile 2018, n. 10073; Cass. civ. sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501).

Trattasi di una presunzione juris tantum, e non juris et de jure, in quanto può essere vinta da un titolo contrario (Cass. civ. sez. II, 17 febbraio 2020, n. 3852); determinante è l’atto inerente alla prima vendita di una unità immobiliare da parte dell’unico originario proprietario dell’intero edificio (Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2019, n. 22442).

La relazione di accessorietà e il collegamento funzionale tra le parti comuni del condominio e le proprietà solitarie, devono, però, sussistere già al momento della nascita del condominio (Cass. civ. sez. VI, 19 novembre 2021, n. 35514).

In ogni caso questa rappresenta una rilevante specificazione che costituisce la base di valutazione dei beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi sia da parte degli stessi condomini sia da parte dell’amministratore del condominio, per stabilirne la condominialità o meno.

Su tale presupposto, infatti, si fondano le disposizioni di tutti i successivi articoli in materia dello stesso codice civile, compresi quelli delle sue disposizioni di attuazione, nonché di tutte le relative leggi speciali.

Le Spese

La gestione del condominio comporta l’obbligo, non soltanto di conciliare le diverse esigenze personali dei condomini, ma anche di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi (ad esempio, il portierato) e la perenne conservazione delle parti e dei manufatti comuni dello stabile (per esempio, il lastrico solare comune o la centrale termica).

L’obbligatorietà del pagamento delle spese da parte dei condomini deriva direttamente dalla circostanza dell’essere comproprietari dei beni comuni exart. 1117 c.c., per i quali sono state effettuate le suddette spese e, quindi, non dal fatto di essere state approvate in assemblea, in quanto trattandosi di una obbligazione propter rem, tale obbligo insorge nel medesimo momento in cui sono attuate le varie attività inerenti alla complessiva gestione del condominio e nessuno può sottrarvisi ai sensi dell’art. 1118 c.c. ed è fondata sulla contitolarità della proprietà degli stessi.

Considerato che tutti i beni comuni sono collegati strutturalmente e funzionalmente alle unità di proprietà esclusiva e sono a queste strumentali, ne consegue che tutti i condomini devono provvedere alla loro conservazione e, se del caso, al loro miglioramento, con particolare riferimento all’uso e al godimento dei medesimi.

Quanto sopra dedotto discende dal disposto del secondo e del terzo commi dell’art. 1118 c.c., citato, che stabiliscono:

- Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni

- il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.

Proprio in forza di questi principi la giurisprudenza ritiene che, nei confronti del condominio, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dall’approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dalla circostanza per la quale sia sorta la necessità della spesa ovvero l’attuazione concreta e reale di manutenzione e, quindi, per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una di queste attività di gestione (Cass. civ , sez. II, 9 settembre 2008, n. 23345).

Normalmente le spese vengono ripartite in base alle differenti carature millesimali (di proprietà, di ascensore, di riscaldamento, di gestione generale, etc.), ma le spese che ineriscono alla manutenzione straordinaria dello stabile, con i relativi beni accessori, e all’adeguamento degli impianti condominiali alle nuove disposizioni legislative, sono sempre da ripartirsi tra i condomini in forza della tabella millesimale di proprietà.

Tutte le spese che ineriscono al godimento delle parti e dei servizi comuni, devono essere sempre corrisposte dai condomini anche se un impianto, ad esempio quello centralizzato di riscaldamento, non funziona per omessa riparazione, salvo il diritto dei condomini danneggiati a pretendere il risarcimento dei danni concretamente subiti (Cass. sez. II, 4 luglio 2014, n. 15399).

Le spese, e il correlato riparto tra i condomini in forza del valore della quota millesimale di ciascuno, sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile.

Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio indicato può essere sostituito con un altro, purché deliberato e/o accettato dall’intera compagine condominiale, ut supra dedotto.

Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento allegato ai contratti di compravendita o approvato in assemblea da tutti i partecipanti al condominio, e dagli stessi sottoscritto il relativo testo, prospetta un criterio derogativo di quello stabilito dall’art. 1123 c.c., i condomini e l’amministratore devono attenersi a questo.

Con il primo comma di questo articolo, infatti, il legislatore ha determinato le modalità di ripartizione delle spese che ineriscono alla conservazione delle parti comuni e alla prestazione dei servizi a favore dei condomini. Le spese che riguardano la conservazione dei beni condominiali sono relative al loro ripristino al fine di garantirne l’uso costante e la funzione strutturale permanente.

Per le spese di gestione e di manutenzione ordinaria l’obbligo al pagamento sorge ex lege al loro compimento stante l’obbligo dell’amministratore di erogare le spese correnti exart. 1130, n. 3, c.c. e, quindi, della sua stessa gestione, indipendentemente che la spesa sia stata prevista nel rendiconto preventivo, la cui approvazione ha la sola finalità di convalidare la congruità delle spese che il condominio prevede di dover sostenere.

In sostanza la giurisprudenza sembra distinguere tra obbligazione, che nasce dalla comproprietà dei beni, e debito, determinato dal dovere di adempiere il quantum deliberato dall’assemblea.

Conseguentemente, per quanto attiene alle spese di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi programmati o resisi necessari nelle more della gestione, mentre per quanto inerisce alle spese straordinarie il momento costitutivo si identifica nella data della delibera che li ha approvati.

La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro, anche alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e integrare parti degli impianti tecnologici (Cons. stato sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).

Inoltre, si rammenta che tutti i condomini sono obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore ha sostenuto ai sensi del secondo comma dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però, a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione e/o al suo risanamento, per esempio, devono essere pagate le spese di rimozione delle parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma non il suo ripristino.

La nullità delle delibere

Non è idonea, poiché nulla, una delibera assembleare che modifichi, a maggioranza, la originaria tabella millesimale rispondente ai requisiti legali, considerato che incide sui diritti soggettivi dei singoli condomini e una, siffatta, limitazione deve essere espressamente accettata da ogni aderente.

Le delibere possono essere, infatti, nulle o annullabili, rilevante distinzione ai fini dei termini per la loro impugnazione.

La giurisprudenza ha sentenziato che sono annullabili, in forza del principio generale di cui agli artt. 1425 e ss c.c., le delibere affette da vizi formali o adottate in violazione di prescrizioni regolamentari inerenti al procedimento di formazione della volontà assembleare o inficiate da eccesso di potere perpetrato dalla stessa assemblea (Cass. civ., Sez. VI, 25 febbraio 2020, n. 5061).

Già in precedenza la giurisprudenza degli Ermellini aveva stabilito che “Devono qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale implica la necessità di espressa e tempestiva domanda ad hoc proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c. (Cass. civ. sez. VI - 2, ordinanza 25 giugno 2018, n. 16675).

Sono nulle, invece, le delibere prive dei requisiti essenziali del loro contenuto, come la illiceità della causa o dell’oggetto o, ancora, l’impossibilità dell’oggetto della delibera medesima, exart. 1418 c.c.

Quanto sopra dedotto in analogia a quanto previsto dagli artt. 2377 e 2379 c.c., in materia societaria.

Questa distinzione era stata in precedenza ben evidenziata e motivata con la sentenza della Cass. sez. II, 5 gennaio 2000, n. 31 (Consigliere Relatore dr. Rafaele Corona).,

Omissis - Mentre le cause di nullità afferenti all'oggetto raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla "sostanza" degli atti, alle quali l'ordinamento riconosce rilevanza- Omissis.”

In tema di condominio negli edifici, pertanto, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto (Cass. civ. sez. II, 30 marzo 2018, n. 8014; Cass. civ. sez. II, 29 novembre 2016, n. 24235; Cass. civ. sez. II, 8 febbraio 2016, n. 2444).

In tema di condominio la nullità delle delibere può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate.

L’autorità giudiziaria deve limitarsi, però, al riscontro della legittimità della delibera in quanto la valutazione del merito costituisce un diritto discrezionale dell’assemblea, non assoggettabile al sindacato del magistrato, se non sotto il profilo dell’eccesso di potere attuato dall’assemblea, come può avvenire per l’approvazione del rendiconto consuntivo (Cass. civ. sez. II, 20 novembre 2018, n. 29908; Cass. civ. sez. II, 11 gennaio 2017, n. 454).

Il giudice, in ogni caso, deve stabilire se si chieda l’annullabilità o la nullità della delibera, basando la sua valutazione sul solo prospetto fornito dalla parte, prescindendo da ogni valutazione sulla sua fondatezza o meno e deve interpretare la delibera, ex artt. 1362 e seguenti c.c., secondo gli ordinari criteri di ermeneutica, considerato che la delibera esprime la volontà negoziale dell’assemblea.

L’azione, peraltro, deve essere radicata avanti l’autorità giudiziaria nella cui circoscrizione è sito il condominio.

Possono impugnare le delibere annullabili esclusivamente i condomini che sono stati assenti all’assemblea o che, presenti, siano stati dissenzienti; il loro dissenso può essere provato con qualsiasi mezzo (Cass. civ. sez. VI, 9 maggio 2017, n. 11375).

Le delibere, quindi, sono nulle soltanto se l’oggetto è illecito o impossibile o violi i diritti soggettivi e reali anche di un singolo condomino, come nell’ipotesi si assegni a maggioranza i posti auto in cortile in base ai millesimi di ciascun condomino, ovvero si ratifichi una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale (Cass. civ. sez. VI, 8 giugno 2020, n. 10845).

La nullità può essere rilevata, d’ufficio, dal giudice (Cass. civ. sez. II, 23 luglio 2019, n. 19832Cass. civ. sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839).

Per esempio, qualora abbia votato un soggetto che privo della qualifica di condomino, l’autorità giudiziaria può dichiarare l’annullabilità della delibera soltanto dopo avere verificato che, eliminando i millesimi di costui, la delibera non avrebbe conseguito la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c. (così detta prova di resistenza).

Conseguentemente sono annullabili tutte le altre delibere affette da vizi meramente formali (Cass. civ. sez. II, 26 settembre 2018, n. 23076).

Conclusione

Al Tribunale di Roma era stato chiesto da parte di una condomina di dichiarare la nullità di una delibera, alquanto pregressa, che aveva modificato il criterio originario di ripartizione soltanto a maggioranza. Il condominio convenuto eccepiva che la condomina aveva, nel frattempo, sempre corrisposte la quota spese di sua competenza in base alla tabella modificata.

Il Tribunale, Sez. V, con sentenza 9997 del 22 giugno 2022 ha dichiarato nulla la delibera in forza delle deduzioni sopra riportate, respingendo l’eccezione del condominio in quanto non aveva provato in corso di causa quanto meramente asserito.

Riferimenti normativi:

Art. 1136 c.c.

Art. 69 disp. att. c.c.

Art. 1117 c.c.

Art. 1118 c.c.

Art. 1130, n. 3, c.c.

Art. 1418 c.c.

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