Rivista Famiglia e Diritto n. 8-9/2022

Il nuovo rito delle relazioni familiari

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Abstract

Nella L. 26 novembre 2021, n. 206, di riforma del processo civile e dei metodi di giustizia alternativa o complementare, una specifica attenzione viene dedicata alla giustizia familiare e minorile. Le linee tracciate dalla delega prevedono che entro il corrente anno siano emanati i relativi decreti legislativi di attuazione. All’interno di questi, un particolare rilievo assume la previsione di un nuovo modello processuale unitario da applicare a tutti i procedimenti contenziosi propri della giustizia familiare e minorile, fatte salve alcune mirate eccezioni. Negli auspici del legislatore, la previsione di un rito unitario intende porre fine all’attuale diversificazione e frammentazione delle tutele e giovare dunque in modo significativo alla certezza dei diritti. Il rito, che nelle sue linee portanti viene qui descritto, sarà improntato a semplificazione, razionalizzazione ed effettività, con la valorizzazione dei poteri del giudice e il riconoscimento del ruolo di tutti i soggetti del processo, nel segno di un delicato balancement of interests che tenga conto della peculiarità e delicatezza delle situazioni sostanziali per le quali si richiede tutela.

Lo stato della riforma

Nell’articolato cammino della riforma del processo civile una prima, fondamentale fase si è conclusa con l’approvazione della L. 26 novembre 2021, n. 206, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.

Con il perfezionamento della prima tappa dell’iter normativo sono stati indicati gli step necessari per la seconda fase, volta alla predisposizione e approvazione dei decreti delegati. A tal fine, con Decreto in data 14 gennaio 2022 la Ministra della Giustizia Prof.ssa Marta Cartabia ha istituito sette gruppi di lavoro composti da esperti portatori di diverse professionalità (magistrati, professori universitari, avvocati, ma anche ulteriori professionisti e tecnici del Ministero), incaricati di redigere gli schemi dei decreti. Nell’ambito della riforma, di vastissimo respiro (non vi è praticamente settore della giustizia civile che non sia interessato), un ruolo centrale è dedicato all’area della giustizia familiare e minorile. Non a caso, dei sette gruppi, due sono stati incaricati di occuparsi di essa, sia nelle dinamiche processuali e nella creazione di un nuovo rito unitario per le relazioni familiari (gruppo 6), sia nella riforma ordinamentale volta all’istituzione del nuovo Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie (gruppo 7). I gruppi hanno concluso i propri lavori il 15 maggio 2022 (fatta eccezione per l’ultimo gruppo, per il quale è previsto un orizzonte temporale assai più ampio, ma che ha a sua volta concluso nel mese di giugno). Alla formale “chiusura dei lavori” deve ora fare seguito un intenso lavoro per la definizione dei testi, lo scioglimento di eventuali nodi residui e il complessivo coordinamento tra le diverse aree di intervento della riforma.

Una volta perfezionati, gli schemi dei decreti attuativi verranno trasmessi, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, alle Camere “perché su di essi sia espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari entro il termine di sessanta giorni dalla data della ricezione” (così dispone l’art. 1, comma 2, L. n. 206/2021). La trasmissione al Parlamento è finalizzata a sollecitare il necessario contraddittorio tra le istituzioni. Come ricorda sempre l’art 1, comma 2, L. n. 206/2021 “Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari sono espressi entro venti giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque emanati”.

Il confronto tra Governo e Parlamento in questa seconda fase dovrebbe essere meno capillare di quanto accaduto per l’approvazione della delega, e l’orizzonte temporale per l’approvazione finale dei decreti legislativi attuativi è in ogni caso quello dell’autunno, anche tenuto conto della necessità di rispettare non soltanto la deadline imposta dalla scadenza della delega (“un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”, recita l’art. 1, comma 1, L. n. 206/2021, e dunque il 24 dicembre 2022), ma altresì gli impegni assunti dall’Italia con il Recovery Plan, dei quali la riforma della giustizia civile costituisce un’importante milestone.

La nuova giustizia familiare e minorile: il valore di una scelta

Nel suo complesso, la riforma andrà a incidere sui diversi gradi del processo ordinario (primo grado, appello, cassazione), su molti procedimenti speciali ridisegnati (il “procedimento sommario di cognizione” che diverrà “procedimento semplificato di cognizione”), su istituti che verranno introdotti (le ordinanze di accoglimento e di rigetto, il rinvio pregiudiziale per cassazione), sui principi generali (molta attenzione è dedicata ai canoni della chiarezza e sinteticità, e altresì ai principi di autoresponsabilità delle parti e collaborazione tra le stesse e il giudice, e dunque, anche per loro tramite, di lealtà e fairness processuale, preventivando apposite sanzioni per il loro mancato rispetto), sulle tecniche (e in particolare sull’implementazione della digitalizzazione), sulla giustizia alternativa o complementare (mediazione, negoziazione assistita, arbitrato), sul processo esecutivo, nonché su molto altro ancora.

Se dunque il diversificato ambito di intervento della riforma ne evidenzia la portata generale e con essa l’importanza, nel settore della giustizia familiare e minorile la stessa assume un significato si licet ancor più pregnante, per una serie concorrente di ragioni.

Tre sono in particolare i dati fondamentali che danno misura dell’eccezionale rilevanza dell’intervento in quest’area.

Il primo è estrapolabile dallo stesso iter normativo, attraverso un confronto tra il testo originario della riforma, ovvero il disegno di legge AS 1662, presentato allorquando il Ministro della Giustizia era l’On. Alfonso Bonafede, e il testo finale della legge delega.

Ebbene. Il progetto originario conteneva un più ridotto articolato, ma soprattutto era del tutto privo di riferimenti all’area della giustizia familiare e minorile, non prevedendo alcuna disposizione per tale settore.

È stata dunque la nuova Ministra della Giustizia, Prof.ssa Marta Cartabia, che sin dal suo insediamento e nel tracciare le linee del suo futuro intervento ha immediatamente evidenziato la necessità di tener conto degli approfondimenti istruttori sino a quel momento compiuti dai lavori parlamentari, considerandoli come un indispensabile punto di partenza, e di verificare altresì eventuali ulteriori settori e aree di interesse, sottolineando a tal fine l’opportunità di indagare (per una più effettiva, e così efficiente, amministrazione della giustizia) anche linee direzionali diverse da quelle processuali in senso stretto, con ciò facendo riferimento agli strumenti complementari alla giurisdizione, e ancora di contemplare nell’ambito della riforma tutti i settori bisognosi di integrazioni, e in specie quelli dotati di rilevanza sociale, come è accaduto proprio per la giustizia familiare e minorile, che rappresenta uno dei comparti fondamentali e cruciali nel generale sistema di diritto civile (non è un caso che il primo libro del codice civile, socle sul quale si fonda l’intero tempio del diritto privato, sia intitolato “Delle persone e della famiglia”) e di diritto processuale.

Gli iniziali lavori di studio e approfondimento sono stati compiuti dalla Commissione presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso che, in tempi serrati, ha nella primavera del 2021 disegnato un impianto normativo complesso, tale da abbracciare tutte le aree della giustizia civile nelle quali si avvertiva l’esigenza di modifiche e cambiamenti, ivi inclusa l’area - esterna alla giurisdizione ordinaria - degli strumenti extraprocessuali, di giustizia alternativa o complementare. E in questa prospettiva, la Commissione Luiso ha chiaramente evidenziato la necessità di dare vita a numerosi interventi di riforma anche nel settore del diritto delle persone, dei minori e della famiglia.

Un secondo dato oggettivo viene in risalto, ed è costituito dalla presenza, nel complessivo tessuto della L. n. 206/2021, di alcune norme precettive, id est non già di delega ma immediatamente applicabili (salva, ovviamente, la relativa vacatio, individuata nel “centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge” e dunque il 22 giugno 2022).

Tra queste disposizioni, contenute nei commi da 27 a 36, L. n. 206/2021, a parte due in materia di esecuzione forzata (il comma 29 che interviene sull’art. 26- bis c.p.c. e il comma 32 che interviene sull’art. 543 c.p.c.) e una in materia di controversie di accertamento dello stato di cittadinanza (il comma 36), tutte le ulteriori appartengono all’area della giustizia familiare e minorile.

Questo significa che il diritto di famiglia ha rappresentato il settore in cui si è maggiormente avvertita l’esigenza di un intervento immediato e senza dilazioni.

Vi erano, in effetti, lacune universalmente riconosciute, che esigevano di essere colmate, poiché davano luogo a gravi discriminazioni, lesive dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza: si fa riferimento, per esempio, all’impossibilità di utilizzare la negoziazione assistita per il tramite di avvocati se non nell’ambito della crisi della famiglia fondata sul matrimonio. Con la riforma si è ritenuto indispensabile introdurre questa possibilità (art. 1, comma 35, L. n. 206/2021) anche nelle controversie per l’affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, riconoscendo dunque a questi ultimi l’identità di forme di tutela necessaria per assicurare coerenza al sistema e rispetto dell’unitarietà dello status di figlio, consacrata nell’art. 315 c.c. Ancora, si fa riferimento alla scelta di meglio definire il coordinamento tra tribunale ordinario e tribunale minorile nella disciplina della vis attractiva in capo al primo in ordine ai provvedimenti di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale (art. 1, comma 28), superando il criterio della prevenzione, individuato in via ermeneutica dalla Suprema Corte, ma non idoneo per sé solo a superare integralmente i problemi di coordinamento e le disarmonie tra i due organi giudiziari; o ancora, alla riscrittura dell’art. 403 c.c., che disciplina le forme di intervento dell’autorità di pubblica sicurezza a salvaguardia di situazioni di grave pregiudizio per il minore, che per la prima volta è stato correttamente procedimentalizzato, al fine di evitare stalli o situazioni di sospensione che in questo ambito possono anche gravemente pregiudicare la posizione del minore (art. 1, comma 27).

L’ultimo dato è rappresentato dalla precisa scelta di adottare per le diverse controversie in materia familiare e minorile un modello processuale unitario, di fronte a un organo giudiziario unitario. La ripetizione dello stesso aggettivo, “unitario”, è voluta, a sottolineare come da questo punto di vista la riforma, che da tempo era attesa e che a breve verrà attuata, rappresenti una meditata, fondamentale conquista di civiltà.

Un intervento di così ampio respiro non può invero non essere considerato un segno di maturità e responsabilità, soprattutto se teniamo conto che il nostro ordinamento evidenzia nel tessuto normativo vigente in materia familiare, se non una vera e propria scissione, quanto meno una netta asimmetria tra la disciplina dei profili sostanziali e la sua declinazione nella dimensione processuale.

La giustizia familiare e minorile si presenta infatti ancora saldamente strutturata su un impianto che affonda le sue radici in un tempo lontano, cristallizzato nel codice di procedura civile del 1940, nel cui generale alveo si innestano, anzi, affluenti addirittura antecedenti; basti pensare che l’istituzione del tribunale per i minorenni è avvenuta con R.D. 20 luglio 1934, n. 1404, e pertanto risente di uno sfondo culturale e sociale assai distante da quello attuale. In questi ottant’anni il tessuto di riferimento è profondamente mutato, nella concezione dei legami personali e affettivi e dei possibili modelli familiari.

Eppure, mentre il diritto processuale della famiglia era rimasto nell’impianto di fondo ancorato all’epoca della guerra, il diritto sostanziale aveva medio tempore compiuto enormi passi, nella necessaria presa d’atto di quanto la famiglia sia linfa vitale della società e di come il relativo diritto debba quindi evolversi in parallelo ai continui cambiamenti di questa.

È per questa ragione che negli ultimi decenni, in cui le relazioni personali, affettive e familiari hanno conosciuto cambiamenti un tempo neppure immaginabili, il legislatore ha in parallelo ritenuto di intervenire con riforme significative che hanno ridisegnato il volto e i lineamenti del diritto di famiglia. Il riferimento è, tra le altre, all’introduzione del divorzio nel 1970, alla grande riforma del diritto di famiglia del 1975, alla riforma dell’adozione del 1983, alla legge sull’affidamento condiviso del 2006, alle riforme della filiazione del 2012 e 2013, alla legge sulle unioni civili e sulle convivenze nel 2016: uno scenario composito, nel quale non è talvolta mancato l’inserimento di disposizioni anche di natura processuale, ma sempre in modo frammentario, senza una visione organica e di sistema che potesse ricondurre il tessuto connettivo del diritto processuale della famiglia (rectius, come ormai si suole dire, delle famiglie) a una logica unitaria, razionale e coerente.

In particolare, con la riforma del 2012/2013, la soppressione della distinzione tra figli legittimi e naturali e l’affermazione a chiare lettere dell’unitarietà dello status del minore (indipendentemente dalle modalità che accompagnano l’evento della nascita) hanno rafforzato l’idea che per garantire la realizzazione di un nitido e definito affresco della giustizia familiare attraverso i molteplici meandri tracciati dai poliedrici e sempre delicati giudizi che in questa area vengono in essere, sia tanto più necessario un giudice unico, capace di imprimere una linea coerente e mantenere una raffigurazione unitaria e completa (un’immagine con il grandangolo, potremmo dire) sui molteplici problemi che possono comportare le infinite sfumature connesse alla crisi familiare, alle differenti patologie dello status filiationis e, più in generale, alle fragilità e al bisogno di istituti di protezione della persona.

In questa direzione si erano del resto mossi diversi progetti di riforma, e ad alcuni di questi (penso in particolare al ddl Orlando del 2016) era stata riservata ampia risonanza, anche mediatica. Nulla, tuttavia, è poi in concreto avvenuto, quanto meno nulla di compiuto a livello legislativo, e il tema è quindi non soltanto stato accantonato nell’ambito dell’organizzazione dei lavori parlamentari e ministeriali, ma altresì nuovamente passato in secondo piano nella stessa opinione pubblica, in qualche modo sfiduciata per l’assenza di concrete prospettive verso gli invocati cambiamenti.

L’area di intervento

La complessità e rilevanza dell’intervento di riforma nella giustizia familiare e minorile deriva anche dall’estensione della relativa area.

La giustizia minorile abbraccia un territorio esteso e poliedrico. Ne sono espressione - come ha sottolineato la Corte costituzionale in alcune note sentenze, tra le quali in particolare Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 1 e Corte cost. 11 marzo 2011, n. 83 - tutti quei giudizi nei quali la posizione del minore assume una centralità di ruolo perché hanno ad oggetto i suoi “preminenti personalissimi diritti”, spaziando da figure embrionali in cui il giudice assume compiti di mero controllo formale (autorizzazioni a compiere atti per minore, rilascio del passaporto, autorizzazioni in ambito successorio), a procedimenti contenuti negli effetti, volti a disciplinare “la fisiologia della patologia” (id est, i problemi che nascono dalla crisi familiare e che riguardano l’affidamento dei minori e le modalità di frequentazione con i genitori), ad altri di più forte incidenza (ordini di protezione, provvedimenti sanzionatori a tutela dell’affidamento), o ancor più invasivi, come i procedimenti per la limitazione o ablazione della responsabilità genitoriale, per arrivare infine ai giudizi sullo status filiationis o per la dichiarazione di adottabilità, in cui l’effetto è la radicale elisione dello status, alla quale può accompagnarsi la formazione di un nuovo status.

Senza considerare, inoltre, che la giustizia minorile è soltanto un’area (pur qualificata) della giustizia delle persone e della famiglia, che riguarda altresì il contenzioso tra i coniugi (separazione, divorzio, annullamento del matrimonio) e gli uniti civilmente, le azioni relative agli status personali, i giudizi volti ad attivare gli istituti di protezione degli incapaci (interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno) e l’intricata selva dei procedimenti di volontaria giurisdizione che riguardano le persone o le relazioni familiari.

Proprio da questa eterogeneità è verosimilmente derivata ab antiquo l’esigenza di introdurre un giudice ad hoc, in concreto individuato nel tribunale per i minorenni.

Due i suoi connotati strutturali: la più vasta competenza territoriale e la particolare composizione, integrata da componenti privati esperti nel campo delle scienze umane (biologiche, psichiatriche, antropologiche criminali, pedagogiche e psicologiche). Ad essi si aggiunge la piena autonomia rispetto al tribunale ordinario, anche se tale dato non gli conferisce la natura di giurisdizione stricto sensu speciale (come anche la Suprema Corte ha avuto modo di confermare, ravvisando negli eventuali conflitti di attribuzioni tra lo stesso e il tribunale ordinario non già una questione di giurisdizione, bensì di competenza, da risolvere con il relativo regolamento), ma soltanto specializzata, legata da un collegamento organico con la giustizia ordinaria.

Le competenze del giudice minorile, in origine per lo più di ordine penalistico, si sono nel tempo estese anche all’area civile.

Eppure la compresenza dei due organi, lontano dal portare sempre ordine e maggiore competenza, ha dal punto di vista applicativo dato vita anche a molteplici e non indifferenti problemi pratici, come avvenuto per i figli nati fuori del matrimonio, la cui disciplina era in origine oggetto di una duplice e del tutto irragionevole scomposizione; in questo ambito, invero, non soltanto era previsto un intervento del giudice specializzato, ma addirittura operata un’incongrua spaccatura in relazione alle esigenze di tutela e all’oggetto del procedimento. Detto regime, pur oggetto di critiche serrate, è rimasto inalterato per decenni, sino a quando la L. n. 54/2006 sull’affidamento condiviso ha indotto alcuni interpreti e parte della giurisprudenza a ritenere che l’unificazione delle competenze fosse stata in tale ambito finalmente realizzata. La lettura delle nuove norme è stata tuttavia paradossalmente difforme, poiché alcuni hanno sostenuto che il contenzioso sui figli nati fuori del matrimonio dovesse ritenersi interamente trasferito avanti al giudice ordinario, mentre altri, specularmente, hanno confermato che la competenza del tribunale minorile rimanesse ferma e dovesse anzi essere integrata dal potere di intervento per i profili economici. Ed è stata quindi ancora una volta la Suprema Corte, adita con regolamento di competenza officioso, a dover sciogliere il nodo (con la nota ordinanza Cass. Civ. n. 8362/2007), di fatto optando per la seconda tesi e mantenendo (anzi, estendendo) la competenza in tale ambito in capo al giudice minorile.

La linea impressa dalla Suprema Corte, successivamente ribadita in altre occasioni e confermata anche dal Giudice delle Leggi (negli anni successivi la Corte costituzionale ha disatteso le questioni di legittimità costituzionale sollevate in tema, attraverso due ordinanze di rimessione - Trib. Siena 11 gennaio 2008, ord. e Trib. Roma 21 gennaio 2009, ord. - dichiarate la prima inammissibile da Corte cost. 18 febbraio 2009, n. 47, ord., per ragioni di ordine formale, e la seconda non fondata da Corte cost. 5 marzo 2010, n. 82 sulla base di un pur fugace richiamo all’originaria impostazione sull’insindacabilità delle scelte di politica legislativa), non ha tuttavia potuto risolvere i problemi derivanti dalla diversità di trattamento tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati al di fuori di esso, così sollecitando una ulteriore rimeditazione della materia. L’inquietudine dell’area ha dunque portato il legislatore, con la grande riforma della filiazione del 2012-2013 a estendere la competenza del giudice ordinario (oltre che a ulteriori specifici procedimenti) anche ai provvedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Il nuovo regime ha in linea di principio mantenuto in capo al giudice minorile la competenza per i procedimenti sulla responsabilità genitoriale, ma con l’introduzione di una deroga assai interessante e significativa. L’art. 38 disp. att. c.c. ha infatti stabilito che “per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile”.

La previsione, non impeccabile per chiarezza, ha dato vita a molteplici problemi interpretativi di dubbia soluzione, in gran parte risolti dalla giurisprudenza della Cassazione, ma sempre con potenziali difficoltà e distonie. Di qui l’avvertita necessità di quella più salda regola di raccordo (ma al contempo di separazione) tra i due organi potenzialmente concorrenti che è stata attuata con il già richiamato art. 1, comma 28, L. n. 206/2021.

La collocazione sistematica del nuovo rito e il suo ambito di applicazione

Queste essendo alcune delle più evidenti problematiche presenti nel sistema, si avvertiva la necessità di un intervento radicale di risistemazione della materia.

La pluralità, e anzi addirittura molteplicità ed eterogeneità dei riti della famiglia è sempre stata considerata un elemento negativo, perché la frammentazione nuoceva all’esigenza di certezza nell’individuazione delle forme di tutela dei diritti e introduceva altresì irragionevoli disparità di trattamento processuale in situazioni sostanziali omologhe (come accadeva proprio per la appena ricordata differente disciplina processuale prevista nell’ambito della crisi familiare per i figli matrimoniali e per i figli non matrimoniali).

Quello della eccessiva diversificazione e frammentazione dei riti è in effetti un problema che il legislatore si è posto addirittura sul piano generale; basti pensare alla linea razionalizzatrice impressa dal D.Lgs. n. 150/2011, nel segno del tentativo di riduzione dei (troppi) modelli processuali civili.

Nella materia della giustizia familiare e minorile, che per quanto eterogenea rappresenta un ambito circoscritto nel quale alcuni fondamentali cardini qualificano il rito anche attraverso deroghe significative rispetto ai generali principi dell’ordinamento, l’esigenza di unitarietà era dunque particolarmente sentita.

A questo riguardo intende provvedere l’art. 1, comma, 23, lett. a), L. n. 206/2021, che invita il legislatore delegato a “prevedere l’introduzione di nuove disposizioni in un apposito titolo IV-bis del libro II del codice di procedura civile, rubricato ‘Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie’, recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare, con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, e con abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”.

La norma funge così da cornice di riferimento del nuovo rito delle relazioni familiari, che andrà ad abbracciare tutti i procedimenti contenziosi relativi a persone, minori e famiglie, con le specifiche eccezioni previste dalla legge, dettando un fondamentale impianto di sistema specificamente dettagliato dalle successive lettere del comma 23, che si occupano di pressoché tutte le fasi, momenti e istituti qualificanti del complessivo iter processuale.

Nell’esame del comma 23, lett. a) il primo dato da sottolineare è rappresentato proprio dalla collocazione sistematica. Il nuovo rito non è stato inserito nel libro quarto del codice di procedura civile, accanto ai procedimenti speciali per così dire “minori” (come oggi è ad esempio per la separazione o per i giudizi di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno), ma verrà ad assumere la dignità di un nuovo rito generale, per quanto speciale, collocato nel libro secondo del codice dopo il processo ordinario di cognizione e il rito speciale del lavoro.

I poteri del giudice

Prima di analizzare la concreta scansione dell’iter processuale, una norma cardine è quella contenuta nell’art. 1, comma 23, lett. t), L. n. 206/2021 dedicata ai poteri del giudice e volta a “prevedere che il giudice, anche relatore, previo ascolto non delegabile del minore anche infradodicenne, ove capace di esprimere la propria volontà, fatti salvi i casi di impossibilità del minore, possa adottare provvedimenti relativi ai minori d’ufficio e anche in assenza di istanze, salvaguardando il contraddittorio tra le parti a pena di nullità del provvedimento; prevedere che il giudice, anche relatore, possa disporre d’ufficio mezzi di prova a tutela dei minori, nonché delle vittime di violenze, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, sempre garantendo il contraddittorio e il diritto alla prova contraria, disciplinando i poteri istruttori officiosi di indagine patrimoniale”.

Da tempo, in effetti, la giurisprudenza e la dottrina non hanno mancato di evidenziare come nell’area della giustizia minorile il giudice non debba mai considerarsi vincolato al rispetto dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ovvero quelli che sono altrimenti considerati principi cardine (veri e propri “mostri sacri”) dell’ordinamento processuale civile. Ma questa riflessione, per quanto acquisita al sistema, esigeva una più netta affermazione attraverso una previsione espressa, ed è quanto tenteranno di apportare i decreti legislativi di attuazione.

A tal fine, la norma dovrebbe trovare una definitiva traduzione precettiva in un disposto volto a stabilire in primo luogo, e per quanto riguarda il thema decidendum di causa, che per tutelare l’interesse del minore il giudice possa sempre anche d’ufficio, oltre che nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni anche in deroga all’art. 112 c.p.c. Inoltre, anche nel più specifico contesto della dimensione istruttoria dovrà prevedersi che a tutela dei minori il giudice possa disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, sempre beninteso nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria e che in termini ancor più ampi possa esercitare poteri officiosi quanto meno con riferimento alle domande volte a un contributo economico per le parti o per il minore, sulla scia di quanto stabilito per l’assegno di divorzio dal fondamentale arrêt Cass. Civ., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, e così ad esempio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria. Ulteriori accorgimenti volti a rafforzare i poteri del giudice dovranno infine essere inseriti nella particolare disciplina che si renderà necessaria per i casi di violenze familiari o domestiche.

Queste previsioni, che sottolineano il particolare ruolo del giudice (al contempo più incisivo e più modulato di quanto normalmente accade) nella giustizia familiare e minorile, dovranno essere accompagnate da ulteriori disposizioni volte a dare atto dell’intervento obbligatorio del pubblico ministero, valorizzandone il ruolo siccome parte qualificata del processo, dotata della funzione di salvaguardare i diritti metaindividuali nello stesso sottesi in presenza di minori.

La competenza

Dal punto di vista della competenza, il nuovo rito orbita intorno a un tribunale che per la pronuncia della sentenza definitiva è ancora chiamato a giudicare in composizione collegiale, ma per il suo svolgimento è prevista un’ampia facoltà di delega per la trattazione e istruzione al giudice relatore. Si stabilisce, inoltre, che nel tribunale per minorenni la prima udienza e le udienze all’esito delle quali devono essere adottati provvedimenti decisori, anche provvisori, sono tenute dal giudice relatore, con facoltà per lo stesso di delegare ai giudici onorari specifici adempimenti, con l’esclusione della facoltà di delegare l’ascolto di minorenni, l’assunzione delle testimonianze e tutti gli atti riservati al giudice togato (art. 1, comma 23, lett. c, L. n. 206/2021).

Dal punto di vista della competenza territoriale, il riordino previsto ruota intorno a un criterio prevalente, individuato nella residenza abituale del minore in tutti i procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. La residenza abituale corrisponde secondo la delega al luogo in cui si trova di fatto il centro della vita del minore, al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento. Dovrà così essere previsto che se vi è stato trasferimento del minore non autorizzato rimanga competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento, anche se tale prorogatio non potrà verosimilmente protrarsi sine die, per intuibili esigenze di certezza oltre che di tutela dello stesso minore (che con il trascorrere del tempo potrebbe radicare la sua situazione di vita in altro territorio) e dovrà dunque a tal fine essere previsto un determinato spatium temporis per l’esercizio dell’azione ancora davanti al giudice dell’ultima residenza abituale (ad esempio se non è decorso un anno).

A questo riguardo, secondo le indicazioni della delega dovrà poi essere stabilita in maniera espressa una regola che per verità doveva già ritenersi immanente nella fisiologia del sistema, ovvero quello quella per la quale per il cambio di residenza e così pure anche per la scelta dell’istituto scolastico anche prima della separazione dei genitori deve essere sempre necessario il consenso di entrambi, ovvero in difetto una specifica autorizzazione del giudice.

La competenza, in tutti gli altri casi, rimarrà disciplinata dalle disposizioni generali, laddove non derogate da particolari disposizioni che verranno introdotte per specifici procedimenti.

La fase introduttiva

Il nuovo modello processuale è scandito in termini generali in modo tendenzialmente analogo a quello ordinario, con una prima fase introduttiva, una fase centrale di trattazione e istruttoria e una conclusiva fase decisoria. Sennonché, a un esame più approfondito, emerge con evidenza la peculiarità del rito delle relazioni familiari. La fase introduttiva è invero prodromica allo svolgimento di un’udienza, la prima, non già finalizzata soltanto al contatto tra il giudice, ma anche destinata ad acquistare un’ulteriore fondamentale valenza, essendo deputata (nell’ipotesi di mancata conciliazione della causa) all’emanazione di provvedimenti anticipatori idonei a imprimere un primo e rilevante assetto ai diritti in contesa (per quanto suscettibile di modifica, essendo i provvedimenti per loro natura temporanei), nel rispetto delle domande proposte dalle parti e non solo, come si vedrà, per i diritti indisponibili.

Sempre in questa prospettiva di celerità ed efficienza, la logica perseguita dalla riforma è quella di eliminare ogni fase o incombente processuale che possa rallentare l’esito del giudizio. In relazione a tale finalità sono previste una serie di disposizioni, quali l’introduzione come principio generale del criterio di sinteticità degli atti, la fissazione di preclusioni anticipate per le domande (e le deduzioni istruttorie) su diritti disponibili, la previsione all’esito dell’udienza di provvedimenti provvisori e urgenti di competenza del giudice monocratico, l’eventuale anticipata assunzione di provvedimenti indifferibili, la possibilità di proposizione della domanda di divorzio all’interno del giudizio di separazione, la previsione di riduzioni dei termini processuali nelle ipotesi di violenze domestiche e di genere o di rifiuto del figlio a incontrare uno dei genitori. L’intero rito è quindi costruito seguendo una scansione serrata, volta a evitare inutili dispersioni temporali.

Il giudizio prende avvio con un ricorso (art. 1, comma 23, lett. f, L. n. 206/2021), che deve essere “redatto in modo sintetico” e contenere, oltre all’indicazione del giudice e delle generalità delle parti e dei figli comuni della coppia, minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, la determinazione dell’oggetto della domanda, nonché l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni. Il richiamo alla sinteticità non vuole costituire una mera clausola di stile, ma far emergere un generale principio di autoresponsabilità per le parti del processo, passibile, nel caso di violazioni, di sanzioni in particolare in tema di ripartizione delle spese processuali.

Al ricorso deve essere allegata copia dei provvedimenti eventualmente già adottati all’esito di un ulteriore procedimento tra le parti e devono essere indicati eventuali procedimenti penali in cui una delle parti o il minorenne sia persona offesa.

Nelle ipotesi di domande di natura economica è inoltre stabilito che le parti debbano provvedere a depositare copia delle denunce dei redditi e di documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie delle parti degli ultimi tre anni; e nelle controversie in materia di affidamento a depositare un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute. Entrambe queste previsioni si collocano nel solco dei già richiamati principi di autoresponsabilità e collaborazione tra il giudice e le parti; e se la prima è specificamente finalizzata a un’immediata disclosure che agevoli il giudice a decifrare l’effettiva condizione economica delle parti, il significato della seconda è quello di offrire al giudice, parimenti in limine litis, una rappresentazione quanto più possibile concreta e dettagliata della vita e degli impegni del minore, per consentirgli di effettuare le opportune valutazioni sia nell’eventuale tentativo di portare le parti a un accordo, sia, in difetto di questo, per l’assunzione dei provvedimenti temporanei e urgenti sull’affidamento, e più in generale sull’esercizio della responsabilità genitoriale, più confacenti per la fattispecie.

Per quanto attiene all’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente intenda avvalersi, la delega ricollega tale incombente a pena di decadenza al ricorso (e per il convenuto, simmetricamente alla comparsa di risposta), naturalmente sempre solo per le domande aventi ad oggetto diritti disponibili (art. 1, comma 23, lett. f e h). La previsione non ha mancato di sollevare interrogativi e critiche, sia tenuto conto del temperamento operato nel corso dell’iter di approvazione della legge delega per il processo ordinario, sia per la peculiarità e delicatezza dell’ambito di cui si discute, in cui i diritti in discussione mescolano, a volte anche con gradazioni incerte, profili di sicura piena disponibilità ad altri caratterizzati da una più estesa valenza di istanze pubblicistiche. Non è quindi escluso che, per evitare un eccessivo appesantimento degli atti introduttivi, onerando le parti di dedurre ogni istanza istruttoria anche relativa a fatti non contestati, nonché per coerenza con quanto previsto dalla riforma per il processo ordinario di cognizione in primo grado, detta rigida indicazione venga mitigata, ammettendo la fissazione del thema probandum, ex utriusque latere, non già necessariamente negli atti introduttivi ma sino alle successive memorie, sempre antecedenti la prima udienza.

Il ricorso è depositato al giudice competente insieme con i documenti in esso indicati; a seguito del deposito il presidente nomina il giudice relatore e fissa l’udienza di prima comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto prima dell’udienza. I termini dovranno in concreto essere individuati dalle norme di attuazione; la delega si limita invero a prevedere che tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza non devono intercorrere più di novanta giorni (art. 1, comma 23, lett. f). Con lo stesso decreto il presidente deve informare il convenuto delle decadenze che la costituzione oltre il suddetto termine implica, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Informa inoltre le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare. Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati al convenuto a cura dell’attore.

Il convenuto si costituisce nel processo nel termine assegnato dal giudice, depositando comparsa di risposta, la quale dovrà contenere indicazioni per quanto possibile simmetriche e speculari a quelle del ricorso, e non dissimili da quelle previste in via generale dall’art. 167 c.p.c. (art. 1, comma 23, lett. h).

Sono poi previste ulteriori difese prima dell’udienza (art. 1, comma 23, lett. i), che dovrebbero tradursi in particolare nella possibilità per l’attore di depositare memoria con cui prendere posizione in maniera chiara e specifica sui fatti allegati dal convenuto, nonché, a pena di decadenza, modificare o precisare le domande e le conclusioni già formulate, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle difese del convenuto, indicare mezzi di prova e produrre documenti; e per il convenuto nella possibilità di un’ulteriore memoria con cui, a pena di decadenza, precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già proposte, proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese svolte dall’attore con la memoria di cui al primo comma, indicare mezzi di prova e produrre documenti, anche a prova contraria. Per tale motivo, verosimilmente, in un termine ristretto anteriore all’udienza l’attore dovrebbe infine essere abilitato a depositare una ulteriore memoria per le sole indicazioni di prova contraria rispetto ai mezzi istruttori dedotti nell’ultima memoria del convenuto.

In questo modo si realizza, in ogni caso anteriormente alla prima udienza, la definitiva fissazione del thema decidendum e di quello probandum. Naturalmente, le decadenze ricollegate agli atti introduttivi e alle successive memorie operano solo con riferimento alle domande aventi a oggetto diritti disponibili, mentre le parti possono sempre introdurre nuove domande relative all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. In questo ambito, tra l’altro, la delega prevede altresì che in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori, anche nel successivo corso del giudizio (ragionevolmente nella prima difesa successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni) possono essere proposte nuove domande di contributo economico in favore delle parti e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, indicando i relativi mezzi di prova e producendo nuovi documenti (art. 1, comma 23, lett. i).

I provvedimenti indifferibili

Una specifica previsione, volta a colmare una lacuna del sistema sino ad oggi potentemente avvertita (e che ha dato adito a interpretazioni diversificate in dottrina e giurisprudenza, in particolare sull’ammissibilità di provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nei procedimenti di separazione e divorzio), è quella relativa all’assunzione immediata di provvedimenti indifferibili, nei casi di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti (art. 1, comma 23, lett. f). In tali ipotesi si prevede che il giudice, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotti con decreto immediatamente esecutivo i provvedimenti opportuni. Naturalmente, ad esito del provvedimento urgente emanato inaudita altera parte dovrà poi essere sollecitato il contraddittorio, prevedendo che con il medesimo decreto il giudice fissi entro quindici giorni un’udienza, nella quale la situazione dovrà essere nuovamente esaminata nel contraddittorio delle parti e il giudice potrà così confermare, modificare o revocare i provvedimenti adottati con il decreto.

La prima udienza e i provvedimenti provvisori e urgenti

La prima udienza rappresenta come già accennato una tappa fondamentale del giudizio, il crinale che di fatto separa la prima fase dalle successive.

La stessa è incentrata sulla necessaria comparizione personale delle parti per essere sentite, anche separatamente, e per il tentativo di conciliazione (dovranno essere previste le necessarie sanzioni per la mancata comparizione senza giustificato motivo, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c. e ai fini delle spese di lite). Nei casi in cui siano allegate o segnalate violenze di genere o domestiche, la comparizione deve avvenire separatamente e in orari differiti e il tentativo di conciliazione non viene esperito, secondo quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, di cui alla L. 27 giugno 2013, n. 77 (art. 1, comma 23, lett. l e m).

Qualora il tentativo di conciliazione abbia esito positivo, il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Qualora invece il tentativo di conciliazione non riesca, il presidente, anche d’ufficio, sentiti le parti ed i rispettivi difensori, è chiamato ad assumere con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi.

La legge delega sottolinea l’importanza che nell’ordinanza emanata al termine della prima udienza sia in ogni caso determinata la data di decorrenza dei provvedimenti a contenuto economico, con facoltà di farli retroagire alla data della domanda o comunque della prima udienza (art. 1, comma 23, lett. l, L. n. 206/2021).

La legge delega si preoccupa poi di individuare il regime di stabilità e di controllo dell’ordinanza emanata al termine della prima udienza.

Dal primo punto di vista i provvedimenti temporanei e urgenti costituiscono titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Per quanto riguarda il regime della reclamabilità, la delega si limita a prevedere che il giudice decide in composizione collegiale (art. 1, comma 23, lett. r). Al riguardo, l’originaria intenzione avrebbe dovuto essere nel senso di una generale reclamabilità sempre di fronte al tribunale, del cui collegio ovviamente non avrebbe dovuto far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento impugnato, ma non è escluso che debba invece confermarsi l’attuale regime proprio della separazione e del divorzio, che prevede ex art. 708, comma 4, c.p.c. il reclamo alla Corte d’Appello, per non introdurre una modifica eccessiva per il sistema ed esorbitante rispetto ai numeri dei processi e ai ruoli giudiziari. Rispetto all’auspicata reclamabilità anche di tutti i provvedimenti provvisori emessi in corso di causa, la stessa non potrà verosimilmente attuarsi per ragioni di insufficienza di ruoli, ma potrà eventualmente prevedersi almeno una forma di controllo per i provvedimenti più “gravi”, id est quelli dotati di maggiore portata incisiva, come quelli che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Questo, almeno sino alla futura realizzazione della riforma ordinamentale e quando avrà luogo l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quando la elevata specializzazione dei magistrati assegnati al costituendo tribunale potrà permettere l’assegnazione dell’intero giudizio alle sezioni circondariali (in composizione monocratica), e le impugnazioni dei provvedimenti sia provvisori che definitivi davanti alla sezione distrettuale.

La successiva scansione del rito e la fase decisoria

Nessuna previsione specifica è contenuta nella delega per quanto riguarda la scansione e le dinamiche processuali dell’istruttoria in senso stretto, ma soltanto alcune indicazioni circa il riordino di istituti tipici di tale fase, quali l’ascolto del minore (che pure potrebbe trovare collocazione anche in ulteriori momenti del giudizio) e la consulenza tecnica.

Si stabilisce tuttavia che già “alla prima udienza, in mancanza di conciliazione tra le parti, il giudice, ove la causa sia matura per la decisione, inviti le parti alla discussione, pronunciando sentenza definitiva ovvero parziale qualora possa essere decisa la sola domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento debba continuare per la definizione delle ulteriori domande” (art. 1, comma 23, lett. q, L. n. 206/2021), nella prospettiva, dunque, del favor per la celere formazione degli status che la Cassazione ha ormai da tempo sottolineato.

Per quanto invece riguarda la fase decisoria, sulla scorta delle indicazioni della delega (art. 1, comma 23, lett. z) dovrà essere previsto che il giudice, esaurita l’istruzione, fissi davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegni alle parti un termine prima dell’udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni e ulteriori termini prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. All’udienza la causa è posta in decisione dal giudice relatore che si riserva di riferire al collegio e la sentenza è depositata in cancelleria nel termine di sessanta giorni successivi all’udienza.

Le impugnazioni

Con riferimento alle impugnazioni, la legge delega è rimasta decisamente sintetica, limitandosi a invitare il legislatore delegato a “predisporre autonoma regolamentazione per il giudizio di appello, per tutti i procedimenti di cui alla lettera a)” (art. 1, comma 23, lett. nn).

Nel ventaglio delle possibili opzioni percorribili, non è inverosimile immaginare che finisca per prevalere l’idea di adottare quale modello generale per l’appello quello camerale sino a oggi invalso per i processi di separazione e divorzio, che ha dato buona prova dal punto di vista applicativo, se del caso strutturato e dotato di maggiore definizione attraverso una serie di ulteriori prescrizioni.

È indubbio, in ogni caso, che l’appello avverso le sentenze pronunciate a conclusione del rito unitario debba essere proposto con ricorso davanti alla corte d’appello, nel cui distretto ha sede il tribunale competente in primo grado; e che il ricorso debba contenere le indicazioni previste dall’art. 342 c.p.c.

Potrà quindi prevedersi che il presidente della corte d’appello, a seguito del deposito del ricorso, nomini il relatore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione e il termine entro il quale l’appellante deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all’appellato, avendo cura di assicurare una adeguata distanza temporale tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza.

È poi utile che il presidente acquisisca d’ufficio le relazioni aggiornate dei servizi socio-assistenziali o sanitari eventualmente incaricati e ordini alle parti di depositare la documentazione aggiornata (soprattutto economica) propria degli atti introduttivi.

L’appellato deve costituirsi prima dell’udienza (in un termine che dovrà essere definito), mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve esporre le sue difese in modo chiaro e specifico e, a pena di decadenza, proporre appello incidentale. Potrà poi prevedersi che l’appellante possa depositare una memoria di replica e l’appellato possa ad essa replicare (per entrambe le attività sempre anteriormente all’udienza). Anche il pubblico ministero deve intervenire in giudizio, depositando le proprie conclusioni in un termine ragionevole (ad esempio almeno dieci giorni) anteriore all’udienza.

La trattazione dell’appello dovrebbe rimanere collegiale; e all’udienza il giudice relatore dovrebbe essere chiamato a fare la relazione orale della causa, consentendo così all’esito della discussione al collegio di trattenere la causa in decisione. Su richiesta delle parti, il collegio dovrebbe poter assegnare loro un termine per note difensive e rinviare la causa ad altra udienza.

Per consentire di adeguare i provvedimenti in vigore all’eventualmente mutato contesto di riferimento dovrebbe inoltre prevedersi che il giudice dell’appello possa adottare i provvedimenti temporanei e urgenti e se del caso anche quelli indifferibili, e qualora ammetta nuove prove dare con ordinanza i provvedimenti per la loro assunzione, per la quale può delegare il relatore.

L’attuazione dei provvedimenti

Un profilo sempre nevralgico, soprattutto nei procedimenti relativi alla crisi familiare, è quello della attuazione dei relativi provvedimenti. Da tempo è stata riscontrata l’assoluta inadeguatezza delle tecniche di esecuzione forzata diretta di cui al libro III del codice di rito. La convinzione sempre più marcata è che l’attuazione (il termine è preferibile a quello di esecuzione stricto sensu intesa) dei provvedimenti debba sempre avvenire sotto la supervisione del giudice della cognizione.

L’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento e la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale è quindi rimessa alla competenza del giudice di merito, del procedimento in corso. Se tuttavia non è pendente un procedimento, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare. Quando è instaurato successivamente tra le stesse parti un giudizio che ha ad oggetto la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice dell’attuazione adotta tutti gli opportuni provvedimenti nell’interesse del minore e trasmette gli atti al giudice di merito; i provvedimenti adottati conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal giudice del merito.

A seguito del ricorso, il giudice fissa udienza con i genitori, coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, il pubblico ministero, nonché con il tutore, il curatore e il curatore speciale, se nominati, concedendo un termine per il deposito di note difensive e documenti. All’esito dell’udienza, se le parti non raggiungono un accordo, il giudice adotta, anche d’ufficio, i provvedimenti opportuni per l’attuazione.

Il giudice autorizza con provvedimento motivato, avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore, l’uso della forza pubblica soltanto se assolutamente indispensabile. L’intervento, con la vigilanza del giudice, è posto in essere con l’ausilio di personale specializzato, anche socio-sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze del caso.

Nel caso in cui sussista concreto ed attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice, senza la preventiva convocazione delle parti, determina le modalità di attuazione con decreto. Le parti possono ricorrere al giudice per chiedere la modifica del decreto. Il giudice fissa l’udienza nei quindici giorni successivi e provvede con ordinanza non impugnabile.

Devono poi ipotizzarsi misure in caso di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale. In tali casi, secondo quanto previsto dalla legge delega (art. 1, comma 23, lett. mm, L. n. 206/2021) potrà (rectius, dovrà) procedersi al riordino delle disposizioni di cui all’attuale art. 709- ter c.p.c. e potrà così immaginarsi che il giudice istruttore possa, anche d’ufficio, sempre modificare i provvedimenti in vigore e possa, anche congiuntamente:

1) ammonire il genitore inadempiente;

2) individuare ai sensi dell’art. 614- bis c.p.c. la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento, con il deciso rafforzamento reso possibile dall’utilizzo della misura generale prevista nel terzo libro del codice di rito;

3) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Oltre alle misure coercitive in senso stretto potrà poi essere anche stabilito che il giudice possa condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore.

Unitarietà dello status, unicità del giudice e del processo, uniformità di garanzie

Il rito unitario rappresenta la prima, indispensabile tappa per dare certezza alle dinamiche processuali e contribuire così in tal modo al miglioramento del sistema. La legge delega intende peraltro anche risolvere il problema legato alla perdurante diarchia giudiziaria che, anche ove non considerata anacronistica, ha continuato a dare adito a incertezze e problemi.

Invero, la conservazione di binari paralleli costituisce di per sé un elemento che mina non soltanto il valore primario e ineludibile della certezza del diritto (e del processo), ma altresì i principi generali di economia processuale, effettività della tutela e uniformità dei provvedimenti. I pericoli della frammentazione (o peggio ancora frantumazione) delle tutele sono stati da più parti sottolineati: dalla giurisprudenza di merito e da quella di legittimità, dai giudici che in diverse occasioni hanno sollevato incidente di costituzionalità, e dallo stesso Giudice delle Leggi, anche nelle ipotesi in cui pure ha ritenuto di disattendere per ragioni formali le istanze che le sono state rivolte.

E non a caso la Suprema Corte, pur nelle apprezzabili (anche se non sempre convergenti) prese di posizione sui diversi snodi controversi che il sistema allo stato presenta, ha sempre posto al centro la necessità di evitare negative interrelazioni ed interferenze tra i provvedimenti assunti dai due organi giudiziari deputati all’amministrazione della giustizia minorile.

Così ragionando, un valore fondamentale viene ad assumere il principio di concentrazione delle tutele, al quale si è non a caso ispirato lo stesso legislatore, e che la Suprema Corte ha sposato quale criterio generale di indirizzo per risolvere molte delle questioni di coordinamento che possono sorgere tra tribunale ordinario e giudice specializzato.

È proprio tale principio che deve assumere in ultima analisi il ruolo di “faro” e criterio-guida non soltanto, come sino ad oggi avvenuto, per la giurisprudenza per risolvere de iure condito i molteplici problemi derivanti dalle lacune o oscurità del testo legislativo, ma altresì per il legislatore stesso, chiamato ad attuare non soltanto la una riforma processuale, ma altresì quella ordinamentale, da troppo tempo invocata e non più rinviabile.

È in questo complessivo scenario, dunque, che si è optato per un deciso mutamento di prospettiva, mediante l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

A tal fine, è necessario discostarsi dalla fissità di regole preconizzate, preservando (e anzi rafforzando) le garanzie insopprimibili per la salvaguardia dei diritti del minore, che non possono prescindere da un’unitaria visione della sua situazione personale ed esistenziale, poiché unitaria è la situazione soggettiva legittimante, id est l’interesse (inteso come compendio degli interessi) del minore, e unitario deve dunque essere in proposito il modo di assicurargli tutela. Questa finalità si traduce nella necessità di un processo a sua volta unitario, che possa sfociare in una correlata unitaria decisione. Tali principi devono poter essere applicati in via generale nei processi che coinvolgono il minore, i genitori ed eventualmente anche altri soggetti (il curatore, gli ascendenti), perché indipendentemente dall’oggetto delle domande, ciò che è in discussione è sempre la vita e il futuro del minore stesso.

Con la realizzazione del nuovo organo giudiziario verrà dunque finalmente spostata la linea di orientamento, che non deve più essere ancorata al retaggio della tradizione e a un sistema “bipolare”, e in quanto tale fatalmente asimmetrico, ma tale da operare una compiuta identificazione di tutti i diritti e le garanzie irrinunciabili per il minore all’interno di un “suo” processo e davanti a un “suo” giudice.

Solo così operando potrà essere realizzato, anche nell’ambito della giustizia minorile, l’obiettivo indeclinabile del pieno riconoscimento dei principi del giusto processo.

Un processo unitario, dunque, sempre dotato di adeguate garanzie, davanti a un giudice finalmente unico. Questa sarà auspicabilmente la realtà del prossimo domani, per aiutare ogni singolo minore a elaborare e per quanto possibile superare il dissidio familiare che lo vede suo malgrado coinvolto.

 

(*)Testo della relazione tenuta al Convegno organizzato da AIAF Lombardia a Varenna, il 10 giugno 2022, dal titolo “Riforma della giustizia. Il processo delle relazioni familiari. Il Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Tutte le novità della riforma”.

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