Lavoro e previdenza sociale

Covid-19 e lavoro: la giurisprudenza su green pass, mascherine e licenziamento dirigenti

La diffusione della pandemia da Covid-19 ha da subito impattato con il mondo del lavoro, dapprima con il lockdown imposto anche ai luoghi di lavoro e poi con le problematiche connesse ai vari divieti di licenziamento, all’obbligo di vaccinazione e all’utilizzo delle mascherine. Sebbene la fase critica della pandemia sembrerebbe passata, l'attuale diffusione di più varianti del virus con numerosi casi di contagi conclamati e di decessi (sia pure in numero decisamente inferiore rispetto al periodo più drammatico della pandemia), rende peraltro possibile che i temi già affrontati dalla giurisprudenza possano riproporsi anche nell'immediato futuro. Si ritiene pertanto opportuno ricapitolare la copiosa legislazione che è intervenuta in materia di lavoro per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 ed illustrare gli attuali orientamenti della giurisprudenza, allo stato esclusivamente di merito, che ha affrontato le diverse questioni che sono derivate dalla concreta applicazione di dette norme.

Divieto di licenziamento per motivi oggettivi

Durante il periodo della pandemia Covid si sono succedute numerose norme che, da un lato, sotto pena della sua radicale nullità, hanno disposto il divieto di licenziamento individuale dei lavoratori per motivi oggettivi (fatti salvi casi specifici come ad esempio la definitiva cessazione dell’attività) nonché di avvio delle procedure di licenziamento collettivo, e, dall’altro lato, hanno esteso per i datori di lavoro la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali proprio per evitare la perdita dei posti di lavoro.

Il contenzioso in tema di licenziamenti, stanti anche alcune lacune in sede di elaborazione legislativa, è stato piuttosto nutrito.

La mancata comunicazione da parte di un medico di una struttura sanitaria, adibito al controllo dei tamponi dei dipendenti, dell’esito positivo del tampone Covid di un collega di reparto è stata ritenuta giusta causa di licenziamento, trattandosi di un comportamento che pone in serio pericolo la salute e che mina irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro (Trib. lav. Pavia 20/04/2022, n. 139).

Il Tribunale di Venezia ha ritenuto nullo un licenziamento intimato nel regime del D.L. n. 104/2020 da parte di un'azienda che - pur potendo accedervi - non aveva fruito degli ammortizzatori sociali previsti da tale norma (Trib. lav. Venezia 17/05/2021).

Nello stesso solco, sia pure con riferimento ai soli aspetti retributivi, è una sentenza del Tribunale di Milano che ha dichiarato illegittima l’imposizione di permessi non retribuiti a seguito della chiusura dell’azienda; infatti, secondo il Giudice, il datore di lavoro avrebbe dovuto ricorrere prioritariamente a ferie, permessi retribuiti o congedi e, ove il lavoratore non ne disponesse, doveva ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale introdotti in via straordinaria in quel periodo ma, in nessun modo, poteva invece imporre ore di permessi non retribuiti che possono essere concessi solo su richiesta del lavoratore (Trib. lav. Milano 02/03/2022, n. 568; nello stesso senso Trib. lav. Rovigo 07/09/2021, n. 159).

Per il Tribunale di Trento, ord. 21/01/2021 deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato ad una lavoratrice non rientrata in servizio al termine delle ferie perché doveva osservare i 14 giorni di isolamento fiduciario disposto (dalla norma allora in vigore) come conseguenza di un viaggio all’estero che la dipendente avrebbe potuto evitare.

È stato invece ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente di un’area di ristoro autostradale che si era rifiutato di servire un cliente che, pur avendone l’obbligo, non indossava la mascherina all’interno del locale (Trib. lav. Arezzo 13/01/2021, n. 9); per il Giudice nel comportamento del dipendente non potevano ravvisarsi gli estremi dell’inadempimento o dell’insubordinazione, avendo egli esercitato il proprio diritto, costituzionalmente garantito, di svolgere il lavoro in condizioni di sicurezza.

È altresì illegittimo, secondo la Corte di Appello di Palermo, sentenza n. 937 del 28/07/2021 il licenziamento di un lavoratore che, posto in isolamento domiciliare da parte dell’autorità sanitaria per accertata positività al Covid-19 di un collega della moglie, era stato licenziato per giusta causa per non averne dato immediato avviso al datore di lavoro; in questo caso, i Giudici hanno ritenuto illegittimo il recesso sia per la mancanza di obblighi informativi in capo al dipendente sia per la mancata prova da parte del datore di lavoro del pregiudizio subito a causa dell’omessa comunicazione.

Nello stesso senso è anche la sentenza n. 278 del 07/07/2021 del Tribunale del lavoro di Treviso che, nell’annullare il licenziamento di una lavoratrice (massaggiatrice in un ambulatorio di medicina estetica), non ha ravvisato una situazione di serio e concreto pericolo per la sicurezza sul posto di lavoro nel fatto che la dipendente non aveva avvisato il suo datore di lavoro di avere avuto una conversazione con una cliente che, a sua volta, aveva avuto contatti con una persona positiva al Covid.

Una particolare fattispecie è stata risolta dal Tribunale di Roma in un caso di apparente legittimità del licenziamento in quanto il datore di lavoro aveva licenziato un cuoco per definitiva chiusura dell’attività (ipotesi di deroga al blocco dei licenziamenti espressamente prevista dalla normativa emergenziale); per quanto la società risultasse effettivamente inattiva, il licenziamento è stato annullato in quanto la stessa dalla visura camerale non risultava né cancellata né messa in liquidazione e, dunque, non aveva dato dimostrazione della cessazione definitiva dell’impresa (Trib. lav. Roma 12/03/2021, n. 2362).

In un caso portato all’attenzione del Tribunale di Trento la lavoratrice/madre di una figlia minore di dodici anni, aveva chiesto di fruire del congedo parentale per il periodo di sospensione delle attività didattiche previsto dalla normativa d’urgenza vigente all’epoca ma il datore di lavoro l’aveva licenziata per assenze ingiustificate, in quanto la dipendente non aveva rinnovato la richiesta iniziale al protrarsi del periodo di sospensione delle attività didattiche; secondo il Giudice tale condotta violava doveri di buona fede e di cooperazione che impongono al datore di lavoro, al di là dei formalismi, di bilanciare l’interesse aziendale con le situazioni di difficoltà personali della lavoratrice che la impediscano nel lavoro (Trib. lav. Trento ord. 08/09/2020).

Divieto di licenziamento per i dirigenti

La questione dell’applicabilità del divieto di licenziamento anche ai dirigenti è ancora piuttosto controversa, con conseguenze economiche di non poco conto per i datori di lavoro che contavano su una interpretazione strettamente letterale delle disposizioni di legge in tema di divieto di licenziamenti nel periodo di pandemia.

L’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (e così le successive norme che hanno prorogato il periodo del blocco dei licenziamenti) dispone che il divieto si applica ai licenziamenti individuali “per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

Secondo una prima interpretazione, poiché è pacifico che la norma richiamata si applica soltanto a quadri, impiegati ed operai, ne consegue che dal blocco rimangono esclusi i dirigenti per i quali, per espressa previsione dell’art. 10 della L. n. 604/1966, il precedente art. 3 non trova applicazione.

Su questa base, parte della giurisprudenza ha pertanto escluso che il divieto di licenziamento potesse applicarsi anche ai dirigenti (Trib. lav. Roma 25/10/2022, n. 8722; Trib. lav. Napoli ord. 16/07/2022; Trib. lav. Milano ord. 17/07/2021; Trib. lav. Roma 19/04/2021, n. 3605).

Di contro, secondo una opposta interpretazione della norma, si ritiene che l’intento del legislatore durante la fase della pandemia fosse quello di vietare tutti i licenziamenti per “motivi economici”, posto che si è richiamato soltanto l’art. 3 della L. n. 604/1966 e non indistintamente l’intera legge dove, all’art. 10, se ne esclude l’applicabilità ai dirigenti.

In questo senso si sono espressi Corte d’Appello Roma, sez. lav., 27/07/2022 n. 2712; Trib. lav. Milano 16/12/2021, n. 2707; Trib. Lav. Milano 10/11/2021, n. 2629; Trib. lav. Roma ord. 16/10/2021; Trib. lav. Roma ord. 26/02/2021.

Inoltre, secondo la citata sentenza della Corte d’Appello di Roma, la ratio del blocco dei licenziamenti sarebbe da ravvisarsi nell’esigenza di ordine pubblico di attenuare in via provvisoria le conseguenze economiche negative della pandemia ed evitare così ripercussioni su tutta l’occupazione, compresi i dirigenti che sono i più esposti a tale rischio in quanto, in caso di licenziamento, risultano tutelati in misura più attenuata rispetto alle altre categorie di lavoratori.

Su questa problematica si è dunque in attesa di una decisione chiarificatrice da parte della Corte di Cassazione o della Corte costituzionale ove si renda necessario valutare la costituzionalità dei provvedimenti che escludono i dirigenti dal blocco dei licenziamenti.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto

Si è anche posto il problema se il periodo di assenza dal lavoro per Covid debba essere considerato utile o meno al fine del calcolo del periodo di conservazione del posto di lavoro.

Per il Tribunale di Asti, ord. 05/01/2022 è da considerarsi illegittimo il licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto causa Covid; infatti, si legge nella decisione, il legislatore (in quel caso con riferimento all’art. 26 del D.L. n. 18/2020) “ha inteso tutelare quei lavoratori che sono costretti a rimanere assenti dal lavoro in quanto attinti dalle misure di quarantena e di isolamento fiduciario prevedendo, da un lato, l'equiparazione di detta senza la malattia e dall'altro, escludendone la computabilità ai fini del periodo di comporto”; nello stesso senso è stata anche l’ordinanza del Tribunale di Palmi 13/01/2022 che ha conseguentemente reintegrato una lavoratrice nel posto di lavoro.

Di segno opposto è – invece – l’ordinanza 19/4/2022 del Tribunale del lavoro di Nola che ha ritenuto legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto calcolato includendovi anche i giorni in cui il dipendente era stato assente per rispettare la quarantena per Covid-19; in questo caso, il Giudice ha ritenuto non applicabile l’art. 26 del D.L. n. 18/2020, che prevede la “non computabilità” ai fini del periodo di comporto della quarantena, in quanto la stessa si inseriva in un più ampio e preesistente evento morboso.

Obbligo di green pass e di mascherina

Anche il contenzioso sull’obbligo di indossare la mascherina e su quello di dotarsi di green pass è stato piuttosto nutrito.

Secondo il Tribunale di Venezia, nel caso in cui un dipendente si rifiuti di indossare la mascherina in occasione di una riunione aziendale con più persone, è legittima la sua sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, anche in considerazione del fatto che l’obbligo di indossarla era espressamente previsto dal Protocollo condiviso con le organizzazioni sindacali (Trib. lav. Venezia 04/06/2021, n. 387); oltretutto, nella fattispecie, il lavoratore svolgeva la funzione di rappresentate dei lavoratori per la sicurezza.

Parimenti, è stato ritenuto legittimo il licenziamento di una lavoratrice (insegnante in una scuola per l’infanzia) che non aveva indossato, durante il servizio scolastico, la mascherina perché temeva che potesse procurarle danni alla salute; nella motivazione della sentenza il Giudice ha sottolineato come le convinzioni personali della lavoratrice sulla pericolosità della mascherina non trovavano fondamento in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica (Trib. lav. Trento 8/7/2021).

Anche il Tribunale di Venezia, sentenza n. 443 del 05/07/2022, ha ritenuto legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di una insegnante che sosteneva l’illegittimità costituzionale delle norme che imponevano l’obbligatorietà della vaccinazione (nello stesso senso Trib. Lav. Pavia ord. 25/02/2022).

Analoga soluzione di rigetto è stata adottata dal Tribunale del lavoro di Cagliari in data 18/3/2022 nei confronti di un addetto all’assistenza, dipendente di una cooperativa sociale, che risultava privo di green pass e dal Tribunale del lavoro di Bergamo in data 08/02/2022 nei confronti di un lavoratore che si era rifiutato di sottoporsi al tampone antigenico.

É anche capitato che un lavoratore, per eludere l’obbligo di esibire il green pass, ne utilizzasse uno appartenente ad un’altra persona; in questo caso il licenziamento è stato giudicato senz’altro legittimo (Trib. lav. Roma ord. 25/05/2022).

Sotto un diverso profilo, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso di urgenza di una lavoratrice sospesa dal lavoro avendo superato i 5 giorni di assenza ingiustificata per aver violato la disposizione inerente all'obbligo di possesso e di esibizione del Green pass; in particolare la lavoratrice non aveva fornito prova in merito al grave pregiudizio asseritamente subito con riferimento alla perdita della retribuzione per un periodo limitato di soli 3 mesi (Trib. lav. Milano 30/10/2021).

Obbligo di vaccinazione e limiti costituzionali

Sul punto, in via preliminare, occorre richiamare un ormai consolidato indirizzo della Corte costituzionale che in più occasioni ha avuto modo di chiarire che l’obbligo di vaccinazione non si pone in contrasto con l’art. 32 della Costituzione in cui si dispone che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge che, in ogni caso, non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana (da ultimo si veda la sentenza Corte cost. 18/01/2018, n. 5).

Infatti, in estrema sintesi, per i Giudici costituzionali la salute non è soltanto un diritto dell'individuo ma è anche un interesse della collettività che può giustificare trattamenti sanitari obbligatori come – appunto - l'obbligatorietà di alcuni vaccini.

Pur con queste premesse, alcuni Giudici, tra cui il Tribunale di Brescia, ord. 22/08/2022 e il Tribunale di Catania, ord. 14/03/2022, avevano comunque rimesso alla Corte la questione di legittimità costituzionale delle norme che dispongono la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per il personale sanitario che non ha completato il ciclo vaccinale obbligatorio.

La Consulta, con decisione del 1/12/2022, ha però nuovamente confermato la costituzionalità dei trattamenti vaccinali obbligatori.

In attesa che vengano depositate le motivazioni della sentenza, con un comunicato stampa la Corte ha reso noto di avere ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.

Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario; ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.

Per il Tribunale di Busto Arsizio, ord. 21/03/2022 è comunque da ritenersi discriminatoria la condotta di un datore di lavoro che aveva imposto, ai soli lavoratori non vaccinati e non in possesso di green pass prima che fosse reso obbligatorio da norme di legge, l’onere di sottoporsi a tampone rapido ogni 48 ore nonché l’obbligo, di accedere al posto di lavoro tramite un accesso separato e lavorare da uffici distinti da quelli utilizzati anche dai lavoratori vaccinati (nello stesso senso si veda Trib. lav. Firenze 04/03/2022, n. 155).

Di contro, il Tribunale di Bergamo aveva ribadito che il datore di lavoro è tenuto ad adottare (ai sensi dell’art. 2087 c.c.) ogni misura di sicurezza necessaria ad evitare le occasioni di contagio, andando anche oltre i protocolli anti Covid, non potendo il vaccino prevenire ogni fattore di rischio sui luoghi di lavoro (Trib. lav. Bergamo 27/09/2021, n. 4318).

In precedenza, in assenza di norme statali in materia, il Tribunale di Messina, ord. 12/12/2020, su ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. promosso da un infermiere, aveva disposto la disapplicazione di un decreto della Regione Sicilia che, introducendo l’obbligo di vaccinazione antinfluenzale per tutti gli operatori sanitari, disponeva l’inidoneità temporanea alla mansione in caso di rifiuto non giustificato da ragioni mediche.

Sospensione dal lavoro

Per il Tribunale di Milano, in un caso antecedente alle norme sull’obbligo di vaccinazione, è da considerarsi legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del personale sanitario non vaccinato in quanto il datore di lavoro è obbligato in base all’art. 2087 c.c. a garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e, dunque, a far rispettare per i non-vaccinati della sanità le norme di legge contro la pandemia da Covid-19 disponendo tutte le misure necessarie; il Tribunale ha però precisato che è comunque onere del datore di lavoro provare che non esistono misure alternative alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (c.d. repêchage) e, poiché, tale obbligo non era stato assolto, la lavoratrice è stata riammessa al lavoro (Trib. lav. Milano, 16/9/2021, n. 2135).

Anche il Tribunale di Roma (Trib. Roma ordinanza 08/12/2021 e Trib. Roma 28/07/2021, il Tribunale di Modena (Trib. Modena ordinanza 19/05/2021 e Trib. Modena 23/07/2021, il Tribunale di Matera ord. 30/11/2021; il Tribunale di Verona ord. 24/05/2021, il Tribunale di Terni ord. 2/7/2021, il Tribunale di Ivrea ord. 04/08/2021, il Tribunale di Catanzaro ord. 17/12/2021 e il Tribunale di Belluno ord. 06/05/2021 si sono espressi per la legittimità della sospensione dal lavoro per i lavoratori che, per essendovi obbligati, non hanno provveduto a vaccinarsi; il tribunale di Belluno ha altresì dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle norme che obbligano alla vaccinazione.

Nella decisione del Tribunale di Modena del 23/07/2021 può leggersi che “il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all'interno dei locali aziendali e ha quindi l'obbligo i sensi dell'articolo 2087 del codice civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori”.

Ancora il Tribunale di Roma con tre ordinanze del 20/08/2021 ha ritenuto legittima la sospensione reiterata di tre mesi in tre mesi per il personale sanitario che non si era vaccinato e per il quale non era possibile una ricollocazione in una diversa funzione, anche inferiore, per la quale non era previsto l'obbligo vaccinale.

La sospensione dal lavoro e dalla retribuzione deve invece considerarsi illegittima nel caso in cui esistano posizioni lavorative alternative all’interno dell’azienda (Trib. lav. Milano 15/09/2021, n. 2316; nello stesso senso è anche Trib. Lav. Benevento 31/03/2022).

Anche per il Tribunale del lavoro di Velletri ord. 14/12/2021 deve essere revocata la sospensione dell’operatore sanitario non vaccinato se la dimensione dell’azienda ne consente la ricollocazione in altra posizione lavorativa dove non è previsto l’obbligo di vaccinazione; in senso conforme si veda anche il decreto, emesso dallo stesso Tribunale di Velletri in data 22/11/2021.

In questo contesto ha destato un certo clamore il decreto del Tribunale del lavoro di Firenze del 6/7/2022 che, inaudita altera parte, ha temporaneamente sospeso il provvedimento dell’Ordine degli Psicologi che vietava ad una dottoressa di lavorare presso una struttura di cui era dipendente; il Giudice, nella motivazione, fa proprie molte delle posizioni no-wax, di fatto negando la validità ed efficacia dei vaccini.

Già in precedenza – peraltro – il Tribunale di Padova ord. 28/04/2022, accogliendo il ricorso di una lavoratrice sospesa dal lavoro per inadempimento all’obbligo vaccinale, aveva sostenuto che la garanzia del vaccino era “pari a zero”.

In sede di contenzioso amministrativo si segnalano le sentenze del Tar Puglia, Lecce, decreto 4-5/8/2021, n. 480 che ha dichiarato legittima la sospensione dall'Ordine di un medico che aveva rifiutato di vaccinarsi e del Tar Lazio, decreto 02/09/2021, n. 4532 che ha dichiarato legittime le disposizioni che impongono il vaccino anti Covid.

Anche il Consiglio di Stato ord. n. 6476 del 03/12/2021, così confermando la precedente decisione del Tar Friuli Venezia Giulia, ha ritenuto legittima la sospensione di un medico no-wax.

In ambito penale, la Corte di Cassazione sentenza n. 34273 del 15/9/2022, in un procedimento per esercizio abusivo della professione, ha dichiarato legittimo il sequestro preventivo dello studio di un medico sospeso dal suo Ordine perché, contravvenendo all’obbligo, non si era vaccinato ed aveva ugualmente continuato ad esercitare la sua attività.

Diritto allo smart working

Si segnalano – infine – alcune decisioni sul diritto dei lavoratori di accedere, in alcuni specifici casi, allo smart working che, nel periodo più acuto della pandemia, era stato caldeggiato dal Governo e dal legislatore, anche se non imposto, con alcune norme emergenziali.

Con decreto del 23/04/2020 il Tribunale di Bologna ha stabilito che una lavoratrice invalida, con figlia disabile a carico, ha diritto di lavorare da casa in c.d. smart working utilizzando il telefono e gli strumenti informatici al fine di prevenire il potenziale contagio da Covid-19 per sé stessa e per la figlia.

In pari data 23/04/2020 il Tribunale Grosseto, con ord. ex art. 700 c.p.c., ha ordinato ad un datore di lavoro di consentire ad un proprio dipendente (addetto al servizio assistenza legale e contenzioso) di svolgere l’attività lavorativa in modalità di lavoro agile, fissando anche, ai sensi dell’art. 614 c.p.c., nella misura di euro 50 al giorno la somma di denaro dovuta dall’azienda per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento; nella fattispecie, il dipendente lamentava che il datore di lavoro aveva illegittimamente rifiutato di adibirlo al lavoro c.d. agile nonostante tutti i colleghi del suo reparto lo fossero già stati.

Riferimenti normativi

D.P.C.M. 4/3/2020 sull’utilizzo da parte dei datori di lavoro di modalità di lavoro agile

Art. 46, D.L. 17/3/2020, n. 18, conv. con legge 24/4/2020, n. 27, sul divieto di licenziamenti

D.P.C.M. 17/5/2020 recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza Covid-19

Art. 80, D.L. 19/5/2020, n. 34, conv. con legge 17/7/2020, n. 77, sul divieto di licenziamenti

Art. 14, D.L. 14/8/2020, n. 104, conv. con legge 13/10/2020, n. 126, sul divieto di licenziamenti

Art. 12, D.L. 28/10/2020, n. 137, conv. con legge 18/12/2020, n. 176, sul divieto di licenziamenti

Art. 8, D.L. 22/3/2021, n. 41, conv. con legge 21/5/2021, n. 69, sul divieto di licenziamenti

Art. 4, D.L. 22/3/2021, n. 41, conv. con legge 21/5/2021, n. 69, sull’obbligo di sottoporsi al vaccino per gli operatori sanitari

Art. 4, D.L. 1/4/2021, n. 44, conv. con legge 28/5/2021, n. 76, sull’obbligo di sottoporsi al vaccino per gli operatori sanitari

Art. 9 e ss., D.L. 22/4/2021, n. 52, conv. con legge 17/6/2021, n. 87, sull’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro

Art. 40, D.L. 25/5/2021, n. 73, conv. con legge 23/7/2021, n. 106, sul divieto di licenziamenti

D.P.C.M. 17/6/2021 sulla verifica del green pass da parte dei datori di lavoro

D.L. 23/7/2021, n. 105, conv. con legge 16/9/2021, n. 126, sull’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro

D.L. 21/9/2021, n. 127, conv. con legge 19/11/2021, n. 165, sullo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato (obbligo di green pass)

D.P.C.M. 12/10/2021 sulla verifica del green pass da parte dei datori di lavoro

D.P.C.M. 17/12/2021 sulla verifica del green pass da parte dei datori di lavoro

D.L. 7/1/2022, n. 1, convertito con legge 4/3/2022, n. 18, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza COVID-19 nei luoghi di lavoro

Protocollo anti Covid negli ambienti di lavoro 14/3/2020

Protocollo anti Covid negli ambienti di lavoro 24/4/2020

Protocollo anti Covid negli ambienti di lavoro 6/4/2021

Protocollo anti Covid negli ambienti di lavoro 30/6/2022

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