Famiglia, minori e successioni

Assegno divorzile: non è necessario considerare tutti i parametri ex art. 5, L. n. 898/70

Nel quantificare l’assegno di divorzio, il giudice non è tenuto prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. n. 898/1970, articolo 5, bensì può anche prescindere da taluni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimità. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 14 dicembre 2022, n. 36559.

La vicenda

La Corte di appello accoglieva parzialmente il gravame avverso la pronuncia del Tribunale e rideterminava l’assegno divorzile in suo favore ed a carico del marito in Euro 800,00 mensili rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat compensando le spese di lite fra le parti.

Il giudice di merito, richiamati gli indirizzi giurisprudenziali sul tema dell’assegno divorzile, rilevava la significativa disparità economica- patrimoniale esistente fra i due ex coniugi: l’appellante, giornalista freelance il cui reddito era costituito quasi per intero dal contratto di lavoro con una senatrice era venuto meno a seguito della mancata elezione della parlamentare nel marzo 2018, sicché la donna poteva contare solamente sull’assegno divorzile e su modesti emolumenti frutto di sporadici articoli giornalistici.

La Corte territoriale rilevava che l’appellante disponeva di un alloggio donatogli dal padre e che la capacità di produrre reddito doveva ritenersi modesta in considerazione dell’età e della documentazione prodotta.

Per quanto riguardava l’ex marito appellato, di professionale medico chirurgo, osservava che lo stesso era titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare incrementato dal recente acquisto di altro immobile, e che il reddito si aggirava intorno ai 70.000,00 Euro annui.

La Corte distrettuale, tenuto conto della disparità reddituale esistente fra i due ex coniugi, della mancanza di autosufficienza economica dell’appellante e delle elevate difficoltà di procurarsi mezzi adeguati in ragione dell’età e della precarietà del suo lavoro, oltreché dei 5 anni di durata del matrimonio, rideterminava l’assegno divorzile in Euro 800,00 mensili.

La Cassazione rigetta il ricorso interposto dall’uomo.

L’asserito vizio di motivazione

Per i giudici romani ricorre il vizio di motivazione meramente apparente quando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, nonché di specificare e illustrare le ragioni che sorreggono il decisum e l’iter logico seguito per pervenire alla pronuncia assunta, onde consentire di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata.

Nella specie, il giudice di appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo, esaminando in modo esaustivo i fatti oggetto di discussione e chiarendo le ragioni del suo convincimento: la sentenza impugnata non è risultata carente o incoerente sul piano della logica giuridica.

La funzione assistenziale dell’assegno

La Corte distrettuale, richiamati gli indirizzi giurisprudenziali secondo cui l’istituto in questione assolve, oltre a una funzione assistenziale, anche una funzione perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, ha concentrato la sua attenzione sul primo aspetto e ha proceduto alla selezione e valutazione del materiale probatorio per verificare la sussistenza dei presupposti richiesti per il riconoscimento dell’assegno con particolare riguardo alla capacità lavorativa effettiva e alla correlata potenzialità reddituale, evidenziando che la situazione complessiva faceva emergere una difficoltà oggettiva nel reperimento di risorse idonee a garantirle una fonte di reddito adeguata in ragione dell’età e della tipologia del lavoro.

Il diverso assetto probatorio emerso sulle capacità patrimoniali dell’ex marito avevano evidenziato una disparità economica con la conseguente necessità di un apporto assistenziale a carico dello stesso, determinato nel suo ammontare anche in considerazioni della sua attuale condizione.

La capacità lavorativa e reddituale della ex moglie

Le censure formulate dall’uomo risultavano rivolte a contestare non l’omesso esame di fatti bensì il giudizio insindacabile che la Corte d’Appello ha fornito.

Secondo il collegio i vizi dedotti non sono riferibili al caso specifico, per come valutato dalla Corte di merito che, lungi dall’operare una inversione degli oneri gravanti sulle parti processuali, ha ritenuto, vagliando la documentazione fiscale acquisita, che la signora, oltre all’assegno divorzile, poteva contare unicamente su sporadici emolumenti e che a causa dell’età e del tipo di lavoro (giornalista free lance) non lasciava intravedere per il futuro miglioramenti alla capacità di produrre reddito.

Il giudice del gravame dando preminenza al criterio assistenziale, ha considerato l’età non più idonea ad un utile inserimento nel mondo lavorativo e la non autosufficienza economica della avente diritto, come pure la posizione dell’altro coniuge, valutando la scelta di quest’ultimo di abbandonare il posto di medico ospedaliero per intraprendere la libera professione per sfruttare al meglio l’esperienza acquisita e le relazioni personali venutesi a creare negli anni.

Scelta, questa, che, per la Corte distrettuale, non poteva di per sé essere utilizzata per sostenere un decremento del reddito senza fornire al riguardo alcun specifico riscontro probatorio.

La sentenza impugnata, pertanto, diversamente da quanto affermato nel ricorso, ha preso in esame quegli aspetti che nella prospettazione di parte ricorrente si assumono come decisivi ai fini del riconoscimento dell’emolumento (mancata valorizzazione delle capacità di lavoro e reddituale della richiedente e nella sua colpevole disoccupazione, la pretesa contrazione reddituale; durata del matrimonio) dando a essi un differente rilievo.

L’immobile abitato dall’ex moglie

Con riguardo alla contestazione sollevata in ordine alla valutazione espressa dalla Corte relativamente all’immobile abitato dalla donna e ritenuto oggetto di donazione paterna, per il collegio la critica si risolve in una censura di merito non sindacabile in quella sede se non negli stretti limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., c. 1, n. 5, neppure dedotti.

L’eccessività dell’importo

Infine, tra le altre censure, l’uomo aveva dedotto l’eccessiva entità dell’importo liquidato a titolo di assegno divorzile, che per il collegio è riconducibile a una critica della valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità.

La stessa Corte ha infatti affermato che, nel quantificare l’assegno di divorzio, il giudice non e’ tenuto prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. n. 898/1970, articolo 5, ma può anche prescindere da alcuni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimita’ (si veda Cass., Sez. I, n. 4091/2018).

Riferimenti normativi:

L. 1 dicembre 1970, n. 898

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