Famiglia, minori e successioni

Gli accordi sul mantenimento dei figli diventano “legge” tra le parti

La circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i coniugi e di quelli con la prole, la sentenza (sia in tema di separazione personale, che di divorzio) abbia tenuto conto delle concordi indicazioni delle parti, non consente di attribuire natura negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il risultato di un’autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l’affidamento della prole e la determinazione del contributo dovuto per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, perché il giudice del merito deve ispirarsi, nelle relative scelte, all'esclusivo interesse della prole e, quindi, valutare, anche in occasione della sottoposizione dell’accordo, la rispondenza dello stesso a detti criteri. Qualora l’accordo convenzionalmente raggiunto tra i coniugi abbia conseguito il suo riconoscimento con la sentenza, è il giudicato (sia pure rebus sic stantibus) a dover essere preso in considerazione. La natura del giudicato, quale regola del caso concreto, comportandone l’assimilabilità agli elementi normativi della fattispecie, esclude peraltro la possibilità di ricorrere, ai fini della sua interpretazione, ai criteri ermeneutici dettati per le manifestazioni di volontà negoziale, trovando invece applicazione, in via analogica, i principi dettati dall’art. 12 preleggi, e dovendosi quindi procedere alla ricostruzione del comando oggettivato nella sentenza attraverso l’integrazione del dispositivo con la motivazione che lo sostiene, avendo riguardo, ove residuino incertezze interpretative, anche alle domande proposte dalle parti, nonché alle risultanze degli atti processuali. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 4 luglio 2023, n. 18785.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi:

Cass. 26 aprile 2023, n. 10974

Cass. 20 giugno 2012, n. 10174

Difformi:

Non si rinvengono precedenti in termini

Nell’ambito di un cosiddetto big money case, la Cassazione interviene a chiarire i criteri ermeneutici a tenor dei quali il giudice del merito è chiamato a interpretare gli accordi raggiunti tra i coniugi nell’ambito del procedimento di separazione o divorzio e successivamente recepiti nella sentenza passata in giudicato che tale procedimento definisca.

Analisi del caso

Modificando le condizioni del divorzio tra A. e l’ex marito B., i giudici di entrambi i gradi di merito avevano confermato la revoca dell’assegno di mantenimento originariamente previsto, dietro accordo tra i genitori, a carico di B., in favore della figlia C., ammentante a ben 30.000,00 euro, di cui euro 20.000,00 versati alla madre collocataria ed euro 10.000,000 accantonati su di un conto aperto a nome dell’avente diritto, fino al raggiungimento da parte di quest’ultima dell’età di venticinque anni.

In particolare, la Corte di appello ha disposto la revoca a decorrere dalla data nella quale C. aveva interrotto la propria coabitazione con la madre, trasferendosi a vivere stabilmente con il padre B.

A. ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando in particolare, da un lato, che i giudici di appello avessero fatto decorrere la revoca dalla data del trasferimento e non da quella della pronuncia e, dall’altro, che i medesimi giudici avessero disposto la revoca del concordato assegno non già in dipendenza di un mutamento delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, bensì unicamente in considerazione del trasferimento della figlia presso il padre.

La soluzione

Accogliendo il secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha richiamato il principio a tenor del quale la circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i coniugi e di quelli con la prole, la sentenza (sia in tema di separazione personale, che di divorzio) abbia tenuto conto delle concordi indicazioni delle parti, non consente di attribuire natura negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il risultato di un’autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l’affidamento della prole e la determinazione del contributo dovuto per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, perché il giudice del merito deve ispirarsi, nelle relative scelte, all’esclusivo interesse della prole e, quindi, valutare, anche in occasione della sottoposizione dell’accordo, la rispondenza dello stesso a detti criteri.

La motivazione della Corte

Motivando la propria decisione, la Cassazione ha in primo luogo escluso l’erroneità della statuizione di merito, nella parte in cui aveva fatto retroagire la revoca dell’assegno al momento del trasferimento della figlia presso il padre.

Tale statuizione, come detto cassata sotto un differente profilo, risulta nondimeno conforma al principio secondo cui, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera però nell’ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento (vale a dire la non autosufficienza economica, in rapporto all’età ed al percorso formativo e/o professionale sul mercato del lavoro avviato) e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo.

Nel caso di specie, la revoca del contributo è avvenuta per il fatto sopravvenuto dell’avvenuto trasferimento della figlia, solo nelle more del giudizio, presso il padre obbligato al versamento, sicché la Corte di appello ha correttamente ritenuto (motivatamente e persuasivamente) che la revoca della contribuzione dovesse operare da quel momento, successivo alla presentazione della domanda, anche se anteriore a quello della decisione.

Al contrario, come detto, la Suprema Corte ha cassato la decisione di secondo grado nella parte in cui ha interpretato gli accordi raggiunti dai genitori in ordine al mantenimento della figlia, trasfusi nella sentenza di divorzio passata in giudicato, secondo i canoni ermeneutici del diritto dei contratti e non, come invece doveroso, alla luce dei criteri fissati dall’art. 12 delle preleggi.

Alla luce di tali criteri, che – osservano i giudici di legittimità – impongono comunque al giudice del merito di assumere la propria statuizione nella prospettiva della tutela dell’interesse della prole, se il trasferimento della figlia potrebbe astrattamente ritenersi idoneo a impingere la previsione della quota di assegno (euro 20.000) destinata al mantenimento indiretto della giovane, altrettanto non può affermarsi rispetto rispetto alla quota destinata a risparmio (euro 10.000,00). Per tali motivi, la Corte ha disposto il rinvio del fascicolo alla corte di appello chiamata, in diversa composizione e sulla base di differenti criteri di interpretazione, a rivalutare le circostanze fattuali emergenti dal caso di specie.

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