Procedura civile

Formalismi al minimo in mediazione, anche se è condizione di procedibilità

L’interessante e delicata questione pregiudiziale, assegnata alla definizione delle Sezioni Unite dal decreto della Prima Presidente della S.C. del 5 luglio 2023, e sollevata dal Tribunale di Roma con ordinanza del 13 giugno 2023, sembra dover essere risolta alla luce delle indicazioni emergenti dalla sentenza di pari data del medesimo ufficio giudiziario, secondo cui la mediazione non può essere completamente assimilata al processo civile, specie per quanto riguarda i formalismi propri di questo.

I tre provvedimenti qui considerati…

Come emerge dalle poche righe della sintesi che precede, in questa sede si prenderanno in considerazione tre distinti provvedimenti.

…l’ordinanza del Tribunale di Roma del 13 giugno 2023…

Innanzi tutto, l’ordinanza del Tribunale di Roma del 13 giugno 2023, pronunciata nel procedimento R.G. n. 13193/2023, g.u. dr. Alessio Liberati, che ha sollevato alla S.C. la seguente questione pregiudiziale dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (non modificato in parte qua dall’art. 7, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149): in presenza di controversie ricomprese nelle materie elencate nell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, in ipotesi di valida mediazione avvenuta prima della prima udienza sull’oggetto della sola pretesa attorea, in presenza di formulazione di domanda riconvenzionale afferente materia ricompresa anche essa nelle materie elencate nell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 da parte del convenuto resistente, il giudice, rilevata la questione:

a) ritenuto non soddisfatto il requisito di procedibilità, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, ed a tale udienza, se accerta che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, dichiara l’improcedibilità delle domande giudiziali, ivi compresa quella principale introdotta dall’attore;

b) ritenuto non soddisfatto il requisito di procedibilità, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, ed a tale udienza, se accerta che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, rileva l’improcedibilità della domanda riconvenzionale;

c) ritenuto non soddisfatto parzialmente il requisito di procedibilità, rileva immediatamente l’improcedibilità della sola domanda riconvenzionale;

d) ritiene soddisfatta la condizione di procedibilità e procede con il giudizio avente ad oggetto sia la domanda principale che la domanda riconvenzionale;

e) ritenuto non soddisfatto il requisito di procedibilità solo nel caso in cui si abbia intervento di terzo o chiamata in causa di terzo, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, ed a tale udienza, se accerta che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta dichiara improcedibili tutte le domande giudiziali.

…il decreto della Prima Presidente del 5 luglio 2023…

In secondo luogo, il decreto della Prima Presidente della Suprema Corte di cassazione del 5 luglio 2023, che, ritenuta l’ammissibilità della questione sollevata, in modo pienamente condivisibile, ne ha assegnato la risoluzione alle Sezioni Unite.

…la sentenza del Tribunale di Roma del 13 giugno 2023.

Da ultimo, la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma del 13 giugno 2023, n. 9450, pronunciata nel procedimento R.G. n. 30997/2021, g.u. dr. Fabio De Palo, che ha chiarito che, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 28/2010 (che richiede che la domanda di mediazione indichi le "ragioni della pretesa", espressione che deve essere intesa nel senso della sufficienza dell’allegazione una situazione di fatto latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito, non risultando necessario inquadrare giuridicamente il fatto, atteso che l'istanza di mediazione, diversamente da quanto previsto per l’atto di citazione e il ricorso, exartt. 163 e 414 c.p.c., non deve contenere anche l'indicazione degli "elementi di diritto" della pretesa vantata), gli accadimenti narrati nella domanda di mediazione, affinché possa essere soddisfatta la condizione di procedibilità, devono essere corrispondenti, "simmetrici" a quelli che saranno poi esposti in fase processuale: l'istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, includendo tutti, e gli stessi, elementi fattuali che saranno introdotti nel futuro giudizio.

Il successo applicativo del rinvio pregiudiziale (cenni)

La fattispecie qui considerata impone di soffermarsi, sebbene soltanto in modo affrettato, sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale exart. 363-bis c.p.c.

Nonostante le non poche voci critiche in dottrina (che paventano il rischio che l’istituto consenta al giudice di sottrarsi al proprio specifico (potere-)dovere exart. 112 c.p.c. di decidere, la previsione inserita dalla riforma Cartabia pare – al momento, almeno – incontrare un grandissimo successo applicativo: consultando il sito istituzionale della Corte di cassazione, si apprende che, da un lato, al 1° agosto 2023, sono ben 17 le ordinanze pubblicate con cui sono state sollevate questioni pregiudiziali e, dall’altro lato, è del 24 luglio u.s. la notizia che la S.C. in soli 4 mesi (con le sentenze 21 luglio 2023, nn. 21874 e 21876) ha risolto le prime questioni sollevate exart. 363-bis dalla Corte d’appello di Napoli con ordinanze del 24 e del 29 marzo 2023.

La questione relativa alla necessità dell’esperimento della mediazione obbligatoria per la domanda riconvenzionale…

Passando ad esaminare più nello specifico la questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Roma e sopra riferita, appare palese come la stessa si imponga all’attenzione non soltanto dello studioso per la complessità delle tematiche coinvolte, ma anche e soprattutto del pratico del diritto, per l’immediata rilevanza applicativa.

…la “a-giuridicità” o “pre-giuridicità” della mediazione…

Come anticipato, pare opportuno prendere le mosse dal principio di diritto enunciato dalla sentenza resa dal medesimo ufficio giudiziario nella medesima data, secondo cui le domande di mediazione e giudiziale non possono essere completamente assimilata tra loro, posto, in particolare, che quella, diversamente da questa, non deve presentare la qualificazione giuridica dei fatti controversi.

Questa, nonostante prima facie possa sembrare modesta e di poco rilievo, è da considerare una differenza essenziale: non bisogna mai dimenticarsi, infatti, che la mediazione, per poter funzionare, cioè giungere al risultato sperato di far conciliare le parti, deve prescindere dai formalismi del diritto, non soltanto di quelli propri del processo, ma anche – più in generale – del diritto sostanziale.

Il diritto ed, ancor più nello specifico, il processo sono entrambi rivolti a stabilire chi ha torto e chi ha ragione: all’opposto, la mediazione prescinde completamente da questa contrapposizione.

Il mediatore deve:

- innanzi tutto, aiutare le parti a riattivare la comunicazione inevitabilmente interrottasi con l’insorgere della lite;

- in secondo luogo, spingere le parti ad individuare i propri bisogni e le ragioni reali e profonde della controversia;

- da ultimo, facilitare la composizione amichevole del contrasto, individuando soluzioni che non devono necessariamente essere limitate allo specifico oggetto della controversia.

A questo ultimo specifico riguardo, devono ricordarsi i tre principali pregi propri della mediazione e che sono strettamente correlati tra loro:

- innanzi tutto, la libertà delle parti dalle qualificazioni giuridiche: diversamente da quanto accade nel corso di un processo, le parti hanno la possibilità di comporre i propri interessi nel modo che ritengono più opportuno;

- in secondo luogo, la possibilità per le parti di realizzare una “soluzione su misura”, adatta alle specificità del caso concreto e delle speciali esigenze e dei particolari bisogni di ciascuna;

- da ultimo, il controllo completo e costante delle parti sulla conclusione del procedimento di mediazione e, correlativamente, sul contenuto dell’eventuale accordo di conciliazione: senza la volontà di tutte le parti è impossibile giungere alla risoluzione della controversia.

Alla luce delle considerazioni che precedono, secondo le tanto risalenti quanto autorevoli indicazioni di F. Carnelutti, voce «Componimento», in Enciclopedia Italiana, 1931, può affermarsi che la mediazione intende risolvere un «conflitto agiuridico o pregiuridico» o un «conflitto degl'interessi», che si pone logicamente e concettualmente in un momento anteriore rispetto al «conflitto delle pretese, nel senso che ciascuna parte pretende di avere per sé la protezione del diritto».

…ma soltanto tendenziale…

Quanto precede, peraltro, non può essere inteso in senso assoluto: per dirla con H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, 1952, 161, analogamente al mitologico Re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava, il diritto fa assumere carattere giuridico a qualsiasi cosa cui si riferisca.

Così la mediazione, venendo disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, inevitabilmente, acquista una pluralità di profili “giuridici”.

Ovviamente la dimensione giuridica della mediazione è assai spiccata allorché il diritto prevede che alcuni degli atti da cui la medesima è composta abbiano una rilevanza giuridica, cioè siano idonei a produrre effetti per il diritto.

In particolare, come anticipato, questo accade con riguardo alle previsioni di cui:

- all’art. 8, comma 2, primo periodo, d.lgs. 28/2010, ai sensi del quale “Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 [di proposizione della domanda giudiziale] perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta”;

- al precedente art. 5 che impone che in alcune materie l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Dalle considerazioni finora svolte, emerge con immediatezza ed evidenza la difficoltà di applicazione di queste disposizioni, le quali prevedono che la domanda di mediazione, pur dovendo porsi su un piano “agiuridico” o “pregiuridico”, specie perché, come già anticipato, non deve (né ragionevolmente può, salvo voler pregiudicare fin dal suo esordio il risultato perseguito di pervenire alla conciliazione della controversia) contenere tutti gli elementi propri di una domanda giudiziale (oltre – come sottolineato dalla sentenza del Tribunale di Roma richiamata sopra – all’indicazione delle norme di diritto ritenute applicabili, chi propone la domanda di mediazione non deve indicare neppure i mezzi di prova di cui intende valersi), nel contempo, deve inevitabilmente essere valutata in una prospettiva strettamente giuridica, considerato che – seppure a posteriori e in modo soltanto potenziale, ove il procedimento di mediazione non si concluda con la completa conciliazione della lite – si tratta di applicare delle norme di diritto.

…la necessità di una applicazione non (eccessivamente) formalista

La tensione intrinseca posta dall’applicazione di queste disposizioni pare palese e sembra possa essere risolta esclusivamente attraverso il superamento il più possibile dei formalismi propri del diritto.

Una precisazione sul punto pare indispensabile: l’indicazione secondo cui deve il più possibile superarsi il formalismo deve essere intesa nel senso che è necessario cercare di concentrare l’attenzione sugli elementi fondamentali ed essenziali degli atti, ma senza per questo che sia consentito di ritenere sussistenti elementi nella realtà assenti.

In particolare, questo rilievo importa che al fine di produrre gli effetti previsti dagli artt. 5 e 8 cit., sia sufficiente non soltanto che la domanda di mediazione indichi i fatti storici ritenuti pregiudizievoli e una sommaria spiegazione delle ragioni della propria pretesa, ma anche che tali indicazioni possano essere liberamente compiute dalla parte chiamata nel procedimento di mediazione: in altri e più chiari termini, non sembra vi sia la necessità di un’espressa proposizione di una domanda riconvenzionale di mediazione. Ma questo rilievo, peraltro, non esclude che, affinché possa essere considerato esperito il tentativo di mediazione obbligatoria, sia indispensabile che la parte chiamata in mediazione faccia verbalizzare le proprie “contropretese” che, giusta la previsione di cui all’art. 36 c.p.c., “dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”.

Analogamente, ove la parte chiamata in mediazione ritenga che sussista un terzo chiamato a rispondere in suo luogo e anche questo rapporto rientra nell’ambito applicativo dell’art. 5 cit., ai concorrenti fini dell’assolvimento dell’onere di previo esperimento della mediazione obbligatoria per la chiamata del terzo exart. 32 c.p.c. e di produzione degli effetti di interruzione della prescrizione e di impedimento della decadenza, è indispensabile che venga comunicata al terzo l’atto contenente gli elementi minimi previsti dall’art. 4 perché possa ritenersi sussistente una domanda di mediazione.

Riferimenti normativi:

Art. 32 c.p.c.

Art. 36 c.p.c.

Art. 112 c.p.c.

Art. 163 c.p.c.

Art. 363-bis c.p.c.

Art. 414 c.p.c.

Art. 4, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

Art. 5, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

Art. 6, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

Art. 8, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

Art. 7, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149

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