Penale

In G.U. la L. 122/2023: ancora un intervento normativo sul “codice rosso”, ma sarà veramente utile?

Il legislatore è intervenuto nuovamente sulla materia dei reati da c.d. codice rosso, istituendo un nuovo dovere di vigilanza dei Procuratori della Repubblica e dei Procuratori Generali sul rispetto del termine dei tre giorni per l’assunzione delle informazioni da parte delle vittime di tali reati, con possibilità di revocare l’assegnazione del procedimento al singolo magistrato in caso di mancato rispetto del termine. Una riforma all’insegna della tutela delle vittime di violenza, che tuttavia presenta più criticità che aspetti positivi (L. 8 settembre 2023, n. 122 – G.U. n. 216 del 15 settembre 2023).

Premessa

È stata pubblicata nella G.U. n. 216 del 15 settembre 2023 la L. 8 settembre 2023, n. 122 in materia di “codice rosso”, che va ad incidere sui poteri di vigilanza dei Procuratori della Repubblica e dei Procuratori Generali presso le Corti d’Appello sul rispetto del termine entro cui devono essere assunte informazioni dalle vittime di violenza domestica e di genere.

Il provvedimento è stato salutato con grande entusiasmo da parte del mondo politico, che ne ha esaltato la capacità di velocizzare le indagini, di rendere più stringenti i tempi di operatività del “codice rosso” e di assicurare maggior effettività all’intervento del PM a tutela delle vittime dei suddetti reati.

In realtà, nonostante tali proclami, la novità normativa rischia di ridursi ad un vuoto simulacro se non, addirittura, di tradursi in un inutile quanto defatigante aggravio di attività per gli uffici giudiziari, che andrà a rallentare anziché a velocizzare le attività di indagine.

Vediamo perché.

Il contenuto della nuova legge

Il provvedimento si compone di un unico articolo, che modifica non già il codice di procedura penale bensì il D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, ossia il testo normativo che detta le «Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero».

La riforma incide sia sui poteri dei Procuratori della Repubblica, intesi come capi degli uffici giudiziari, sia su quelli dei Procuratori Generali presso le Corti d’Appello, istituendo un meccanismo di “monitoraggio verticistico” sull’attuazione degli obblighi legislativi in relazione ai reati da c.d. codice rosso.

Essa interviene, in particolare, su uno degli aspetti caratterizzanti la procedura da seguire nei procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere stabilita dalla L. n. 69/2019, ossia l’obbligo per il PM di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

Nel dettaglio, la novella in esame prevede che, qualora il singolo magistrato designato per le indagini preliminari non abbia rispettato il suddetto termine, il Procuratore della Repubblica possa revocargli l’assegnazione del procedimento e provvedere ad assumere, senza ritardo, le informazioni che sono state omesse, direttamente o mediante assegnazione del procedimento ad un altro magistrato dell’ufficio (salvo che ricorrano le imprescindibili esigenze di tutela dei minori o di riservatezza delle indagini richiamate dall’art. 362, comma 1-ter, c.p.p.).

La riforma prevede inoltre che i Procuratori Generali presso le Corti d’Appello, nell’ambito del loro generale potere di vigilanza, acquisiscano con cadenza trimestrale dalle Procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del termine entro cui devono essere assunte tali informazioni e che gli stessi inviino al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione una relazione almeno semestrale sul punto.

Le criticità della riforma

Le previsioni sopra riassunte, seppur dettate dalla volontà di porre rimedio ad eventuali stasi nei procedimenti relativi a reati da c.d. codice rosso, rischiano in realtà, da un lato, di rivelarsi sostanzialmente inefficaci per la tutela delle stesse persone offese, e, dall’altro, di imporre una serie di adempimenti defatigatori che non faranno altro che rallentare, appesantire ed ingolfare l’attività dei singoli uffici giudiziari anziché velocizzarla, snellirla e renderla maggiormente effettiva ed efficace.

Sul piano della tutela delle vittime del reato, s’impongono infatti subito due osservazioni critiche essenziali:

- in primo luogo, la norma facoltizza e non obbliga il Procuratore della Repubblica a revocare l’assegnazione del procedimento al singolo magistrato («può»), senza peraltro specificare se e quali condizioni ulteriori debbano ricorrere, oltre al mancato rispetto del termine dei tre giorni, per procedere in tal senso (con ciò lasciando pertanto intendere che tale condizione sia necessaria ma non sufficiente);

- in secondo luogo, in caso di revoca dell’assegnazione, la norma paradossalmente non istituisce tempi certi entro cui procedere all’assunzione delle informazioni da parte della persona offesa, giacché, a differenza di quanto previsto per l’originario titolare del procedimento, che è tenuto a rispettare cadenze temporali stringenti, il Procuratore della Repubblica o – molto più verosimilmente – altro magistrato dell’ufficio a cui il procedimento verrà riassegnato dovranno provvedere ad assumere tali informazioni non più entro tre giorni, bensì solamente «senza ritardo» (dunque in un lasso di tempo indefinito e molto più elastico).

Se, perciò, il mero mancato rispetto del termine dei tre giorni non appare, di per sé, sufficiente ad imporre una revoca dell’assegnazione del procedimento (posto che, altrimenti, la norma avrebbe dovuto stabilire l’obbligo e non la mera facoltà per il capo dell’ufficio di procedere in tal senso), tale aspetto, unitamente alla mancata tipizzazione delle cause che possono portare a un simile esito e alla mancata previsione di cadenze temporali precise per provvedere agli adempimenti omessi una volta revocata l’assegnazione, rappresentano elementi di forte incertezza sul piano della tutela delle vittime dei reati.

Ma la norma così come congegnata si espone a rilevanti profili critici anche e soprattutto sul piano dell’organizzazione degli uffici giudiziari, rivelandosi di estrema difficoltà attuativa e foriera di conseguenze negative per l’azione degli organi inquirenti.

Anzitutto non è chiaro come possa essere istituito e regolato il flusso informativo tra i singoli Sostituti e il Procuratore della Repubblica sui dati relativi all’assunzione delle informazioni dalle persone offese nel termine di tre giorni dall’iscrizione delle notizie di reato.

Non esiste un sistema di monitoraggio in tal senso, né si vede come tali dati potrebbero essere inseriti e raccolti all’interno degli attuali applicativi ministeriali.

È impensabile che il Procuratore della Repubblica possa tenere traccia di tutti i singoli procedimenti che, quotidianamente, vengono iscritti nel proprio ufficio per reati da c.d. codice rosso e che, conseguentemente, vengono a scadere nel termine di tre giorni dalla loro iscrizione.

Del resto, neppure è pensabile che il Procuratore della Repubblica chieda quotidianamente ai magistrati del proprio ufficio (e alle rispettive segreterie) di relazionare circa il rispetto del termine dei tre giorni su ogni singolo fascicolo che venga, di giorno in giorno, iscritto.

E ciò non soltanto negli uffici di medio-grandi dimensioni, per facili ed intuibili ragioni, ma anche in quelli piccoli, di cui è costellato il nostro Paese, che certamente non possono far fronte a simili ed ingestibili flussi ed obblighi informativi.

Analogamente, è impensabile che ciascun Sostituto (e la relativa segreteria) possa relazionare, quotidianamente, al Procuratore sul rispetto di tale previsione e sui singoli procedimenti in cui il termine vada, via via, a scadere.

Ciò non soltanto per la mole enorme di procedimenti che, ogni giorno, vengono iscritti all’interno di ogni ufficio giudiziario, ma anche perché questo significherebbe di fatto paralizzare l’attività dei singoli magistrati, che dovrebbero preoccuparsi più di relazionare circa il rispetto o meno dei termini scaduti e di giustificarsi sui motivi di un eventuale ritardo, piuttosto che dedicare le proprie energie e risorse allo svolgimento delle indagini.

D’altra parte, è cosa nota che sono rarissimi i casi in cui il PM provvede direttamente e personalmente ad assumere le informazioni dalle varie vittime di reato, mentre solitamente tale adempimento viene delegato alla polizia giudiziaria.

E non è pensabile che ciascun PM, ogni singolo giorno, effettui la cernita di tutti i fascicoli per i quali la p.g. non ha ancora assunto (o trasmesso) le informazioni dovute entro la scadenza dei tre giorni, per poi relazionare al Procuratore, perché quest’attività richiederebbe uno sforzo quotidiano insostenibile ed inesigibile da parte di ciascun magistrato (e della rispettiva segreteria).

Vi è piuttosto da considerare che i motivi di un eventuale ritardo possono essere vari (dalla irreperibilità o sottrazione al contatto con la p.g. della stessa p.o., all’obiettiva impossibilità per la p.g. di provvedere nei termini di legge per mancanza o scarsità di risorse e di personale, al sovraccarico di lavoro, ai problemi organizzativi interni degli uffici, ecc.) e che il mancato rispetto di tale termine non sempre è indice di inettitudine, superficialità o neghittosità. Quindi imporre sempre ed invariabilmente un obbligo di relazionare al capo dell’ufficio sul rispetto del termine dei tre giorni apparirebbe un adempimento notarile inutilmente defatigante.

Oltre a questo, occorre anche considerare gli effetti negativi e deleteri che simili adempimenti e le relative conseguenze andrebbero a creare sulla serenità e sul benessere lavorativo dei singoli magistrati cui è affidata la trattazione dei reati da c.d. codice rosso (già di per sé messa a dura prova in ragione della natura di tali procedimenti e della continua attenzione che richiedono), dal momento che essi verrebbero ad essere costantemente assillati dal pensiero di dover relazionare al capo dell’ufficio sul rispetto del termine dei tre giorni e dalla minaccia della scure della possibile revoca dell’assegnazione, con le connesse responsabilità professionali e disciplinari.

In questo senso, infatti, appare altamente significativo che la riforma abbia previsto che, entro tre giorni dalla comunicazione della revoca dell’assegnazione, il magistrato originariamente titolare dell’indagine possa presentare osservazioni scritte al Procuratore della Repubblica (evidentemente per giustificare tale ritardo e nell’ottica di presagibili conseguenze negative per sé).

Il meccanismo di revoca e riassegnazione dei fascicoli, se applicato con freddo automatismo, rischia, poi, di essere anche foriero di ingiustificate disparità di trattamento tra i singoli magistrati dell’ufficio, nella misura in cui la riassegnazione di quote (anche notevoli) di fascicoli ad altri colleghi potrebbe determinare un sensibile aggravio del loro carico di lavoro, costringendoli così a dover sopportare in proprio il peso di altrui scelte, inefficienze e responsabilità.

Perplessità suscita anche l’obbligo, da parte dei singoli Procuratori Generali, di acquisire, con cadenza trimestrale, i dati sul rispetto del termine dei tre giorni da parte delle Procure della Repubblica del distretto, giacché non si vede né come tali dati – a monte – potrebbero essere estrapolati ed aggregati da parte delle singole Procure, peraltro con tempistiche così onerose per gli uffici giudiziari, né – a valle – come il Procuratore Generale potrebbe comunque intervenire per porre rimedio alle eventuali criticità rilevate (se non, ancora una volta, sul piano disciplinare).

In realtà, nella sua originaria formulazione, il disegno di legge era diretto a modificare l’art. 372 c.p.p., relativo al potere di avocazione delle indagini preliminari da parte del Procuratore Generale, introducendo un’ulteriore ipotesi di avocazione per il caso in cui il PM non avesse assunto le informazioni dovute dalla persona offesa entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. E, in tal caso, sarebbe stata la segreteria di ciascun PM a dover trasmettere, ogni settimana, al Procuratore Generale i dati relativi ai procedimenti nei quali non fossero state assunte le informazioni nei termini previsti, nell’ambito degli elenchi previsti dall’art. 127 disp. att. c.p.p.

Ma l’evidente farraginosità del sistema ideato e la sua impossibilità di realizzazione pratica hanno portato il legislatore a modificare tale impostazione, prevedendo quindi che anziché il Procuratore Generale siano i singoli Procuratori della Repubblica ad intervenire sui propri Sostituti in caso di mancato rispetto del termine dei tre giorni, revocando loro le assegnazioni e disponendo la riassegnazione dei procedimenti ad altri magistrati dell’ufficio.

Ciononostante, le criticità sopra evidenziate sul piano della tutela delle persone offese e sotto il profilo dell’organizzazione degli uffici giudiziari rimangono.

La realtà è, allora, che per assicurare una maggior tutela alle vittime di tali reati occorrerebbe piuttosto investire massicciamente sulle risorse umane, sia degli uffici giudiziari che delle singole forze di p.g., per potenziarne gli organici e le strutture deputate alla trattazione dei “codici rossi”, così da incrementarne l’operatività, velocizzarne le tempistiche ed aumentarne le capacità di risposta, in modo da far fronte a quella che rappresenta un’autentica emergenza di qualsiasi Procura della Repubblica e di qualunque realtà territoriale.

L’unico rimedio alle inevitabili inefficienze del sistema è infatti l’incremento della sua potenzialità di tutela, non lo spostamento di competenze e responsabilità affinché vi sia chi provveda in luogo di altri.

Per queste ragioni, la riforma approvata rischia di rappresentare non soltanto un provvedimento privo di concreta effettività per le vittime di reato, ma anche di tradursi in una misura destinata soltanto a rallentare e complicare inutilmente le attività degli uffici requirenti, già gravati da carichi di lavoro al limite della sostenibilità, senza apportare alcun serio beneficio per l’intero sistema.

Riferimenti normativi:

D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 106

Copyright © - Riproduzione riservata

Novità editoriali

Vedi Tutti
Ricorso penale per cassazione
Risparmi 12% € 65,00
€ 57,00
Commentario breve al Codice penale
Risparmi 5% € 250,00
€ 237,50
Diritto penale e processo
Risparmi 20% € 295,00
€ 236,00
Codice di procedura penale commentato
Risparmi 5% € 320,00
€ 304,00
eBook - Riforma Cartabia
€ 19,90
Organismo di Vigilanza
Risparmi 5% € 90,00
€ 85,50
ilQG - Il Quotidiano Giuridico
Risparmi 52% € 250,00
€ 118,80
Prova scientifica e processo penale
Risparmi 30% € 75,00
€ 52,50
Codice penale commentato
Risparmi 30% € 290,00
€ 203,00
La Diffamazione
Risparmi 30% € 90,00
€ 63,00
Procedura Penale
Risparmi 30% € 92,00
€ 64,40
I reati urbanistico-edilizi
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Intercettazioni: remotizzazione e diritto di difesa nell'attività investigativa
Risparmi 30% € 34,00
€ 23,80
Responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/01)
Risparmi 30% € 57,00
€ 39,90
Diritto penale delle società
Risparmi 30% € 120,00
€ 84,00
Ordinamento penitenziario commentato
Risparmi 30% € 160,00
€ 112,00
Le invalidità processuali
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Misure di prevenzione
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Trattato di diritto penale - Parte generale Vol. III: La punibilità e le conseguenze del reato
Risparmi 30% € 95,00
€ 66,50