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Acquisizione del secondary meaning da parte di un marchio debole

Il Tribunale di Torino, con la ordinanza n. 4163/2023 del 14.04.2023, in una causa instaurata per contraffazione di marchi, violazione del diritto d’autore e concorrenza sleale, ha affrontato gli istituti giuridici dei marchi c.d. deboli e del secondary meaning (di cui all’art. 13, co 2°, D. L.vo n. 30/2005, c.d. Codice di Proprietà Industriale, di seguito denominato C.P.I.).

Il marchio c.d. debole, categoria giuridica frutto della elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, è quel marchio che, pur non identificandosi con la denominazione generica del prodotto/servizio, lascia tuttavia trasparire quale prodotto/servizio contraddistingue. Tale tipologia di marchio si contrappone al marchio c.d. forte il quale, invece, è quel marchio che non rivela nulla del tipo di prodotto che contraddistingue (Ex multis, Cass. n. 3984/2004; Cass. Civ. n. 7768/1990).

Il fenomeno del secondary meaning (ex art. 13 C.P.I.) ricorre, invece, quando “una espressione descrittiva, espressiva o comunque di uso comune o generale, e pertanto non proteggibile quale marchio, mantiene il proprio significato originario, ma con l’andar del tempo ne assume un altro, secondario, di segno distintivo della provenienza dei prodotti di una certa impresa: ciò prevalentemente a seguito dell’uso intenso, e per un congruo periodo di tempo, da parte dell’imprenditore e della conseguente associazione creatasi nella mente dei consumatori” (Ex multis, SARTI, “Segni distintivi e denominazioni d’origine” in UBERTAZZI III, 47).

La causa veniva instaurata dalla società Genium s.r.l. (di seguito denominata “Genium”), con ricorso per sequestro (ex art. 129 C.P.I.), ricorso per inibitoria (ex art. 131 C.P.I.), risarcimento danni per concorrenza sleale (ex art. 2598 Cod. Civ.) e per i medesimi suddetti procedimenti cautelari per violazione del diritto d’autore (ex artt. 161-163Legge n. 633/1941, c.d. Legge sul Diritto d’Autore), contro la società Duediemme s.r.l.s. (di seguito denominata “Duediemme”).

In dettaglio, la Genium è una società italiana attiva fin dal 2015 nel settore delle vendite di dispositivi di ossigenoterapia domiciliare. Essa vende i propri prodotti soprattutto tramite siti web ed è titolare del marchio registrato “Oxystore”, del nome a dominio “Oxystore.it” e del corrispondente sito web “Oxystore” (www.oxystore.it).

Nel 2022, la Genium rilevava che la Duediemme, attiva nel settore delle ristrutturazioni degli edifici risultava essere titolare del marchio di fatto “Oxydi”, del nome a dominio “Oxydi.com” nonché del corrispondente sito web (www.oxydi.com).

La Genium, analizzando il sito web della Duediemme, constatava inoltre:

- la somiglianza tra il proprio marchio registrato “Oxystore” ed il marchio di fatto “Oxydi”;

- la pedissequa copiatura di tutti i testi impiegati nelle descrizioni dei prodotti, nei termini e servizi;

- l’utilizzo senza autorizzazione di una copiosa quantità di fotografie ed immagini scattate ed editate da essa stessa (id est, dalla Genium);

- che la Duediemme aveva copiato la grafica del sito web “Oxystore.it”;

- che la Duediemme aveva trascritto per intero il codice sorgente di www.oxystore.it per la realizzazione del proprio sito web www.oxydi.com, all’interno del quale la Duediemme aveva lasciato tracce grossolane, omettendo di eliminare alcuni riferimenti tra cui il link diretto al sito web www.oxystore.it.

La Duediemme costituendosi, con memoria del 27.04.2023, replicava affermando, per quanto qui interessa, che:

a) font colori e dimensione delle lettere dei due marchi “Oxystore” e “Oxydi” fossero diversi;

b) il termine “Oxy” identificasse, per il settore e-commerce in ambito medicale ed estetico, l’abbreviazione del termine anglosassone di “Oxygen” (ossia, “ossigeno”), utilizzato quindi per richiamare le terapie a base di ossigeno medesimo, e che per tale ragione il termine Oxystore fosse generico;

c) fossero numerosi i siti e-commerce contenenti la parola “Oxy” aventi ad oggetto la rivendita di prodotti collegati alla ossigenoterapia.

Il Tribunale di Torino, con la ordinanza in esame, dichiarava, applicando le anzidette categorie giuridiche del marchio c.d. debole e del fenomeno del secondary meaning, insussistente la contraffazione del marchio registrato “Oxystore” da parte del marchio di fatto “Oxydi” per i seguenti motivi.

Anzitutto, definiva il marchio “Oxystore” come marchio c.d. debole atteso che esso contraddistingueva dispositivi per ossigenoterapia ed era costituito da due termini generici e descrittivi, ossia:

- “oxy” che richiama la parola “oxygen”, quasi identica alla corrispondente parola italiana “ossigeno” e descrittiva, in ambito medicale ed estetico, di apparecchi, sostanze o terapie che utilizzano l’ossigeno;

- “store”, che significa “magazzino” e che è diffusa e, quindi, conosciuta nel suo significato anche dai consumatori italiani.

Inoltre, dagli esempi riportati in memoria dalla resistente Duediemme, il Tribunale di Torino rilevava, la diffusione del termine “oxy” nel settore della commercializzazione dei prodotti relativi alla ossigenoterapia o a settori affini.

In secondo luogo, l’ordinanza in esame ha escluso la acquisizione del secondary meaning da parte del marchio “Oxystor” poiché la documentazione prodotta dalla ricorrente Genium, finalizzata a provare la diffusione del marchio “Oxystore”, non era stata idonea a dimostrare la “specifica ulteriore valenza” acquisita dal marchio attoreo nella “percezione dei consumatori” e, quindi, la sua capacità distintiva.

Invero, secondo l’orientamento incontroverso della giurisprudenza di legittimità e di merito, al fine di dimostrare l’acquisizione del secondary meaning da parte di un marchio, non è sufficiente dimostrare la diffusione dei prodotti del titolare del marchio in esame, “essendo invece necessaria una trasformazione del significato del segno nella percezione dei consumatori” (Ex multis, Cass. Civ. n. 53/2022; Trib. Bologna, Sez. specializzata Imprese, n. 1894/2019; Cass. Civ. n. 30491/2017).

La ordinanza del Tribunale di Torino in esame, al fine di descrivere ulteriormente l’oggetto in cui si concretizza il fenomeno del secondary meaning, ha riportato alcune massime giurisprudenziali, delle quali qui si riporta la più recente da essa citata: “Si verifica il c.d. secondary meaning tutte le volte in cui un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintiva per genericità, mera descrittività o mancanza di originalità, si trovi ad acquistare, in seguito, tali capacità, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato...A norma del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 121, l'onere di provare la nullità del titolo di proprietà industriale incombe su chi impugna il titolo: una volta fornita tale prova, pertanto, l'onere di dimostrarne la secondarizzazione grava sulla controparte. Oggetto dell'onere della prova, in questo caso, non è - nonostante che il fenomeno suddetto dipenda dall'uso intenso della parola tanto da divenire distintiva per il pubblico dei consumatori - l'esistenza di investimenti pubblicitari in sé, ma la rinomanza acquisita dal segno” (Cass. Civ. n. 53/2022).

Per le ragioni sopra esposte, quindi, il Tribunale di Torino, con la ordinanza n. 4163/2023, ha ritenuto che il marchio “Oxydi” fosse sufficientemente distinto dal marchio debole “Oxystore”. Pertanto, ha ritenuto insussistente la contraffazione del marchio attoreo da parte del marchio di fatto della Duediemme, ed ha accolto solo parzialmente il ricorso cautelare per inibitoria presentato dalla Genium s.r.l. inibendo alla Duediemme le condotte violanti il diritto d’autore della ricorrente e realizzate tramite l’utilizzo illecito, sul loro sito web www.oxydi.com, sui social e tramite posta elettronica del layout, dei testi e delle immagini indicate dalla ricorrente nel ricorso cautelare.

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