Penale

Legittima la condanna sulla trascrizione di messaggi di WhatsApp se non vi è contestazione

In tema di prove penali, i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ex art. 234 c.p.p., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non applicandosi né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza ex art. 254 c.p.p. Ne discende che gli stessi possono essere utilizzati per fondare un giudizio di condanna, senza che il giudice abbia l’obbligo di giustificarne l’utilizzo, salvo che sulla loro acquisizione od utilizzabilità vi sia contestazione (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 21 settembre 2023, n. 38678).

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. pen., Sez. VI, 16/3/2022, n. 22417

Cass. pen., Sez. VI, 12/11/2019, n. 1822 dep. 2020

Difformi

Non si rinvengono precedenti

La Corte di Cassazione si sofferma, con la sentenza in commento, su un tema processuale già oggetto di esame in precedenti occasioni da parte della giurisprudenza di legittimità, in particolare afferente alla utilizzabilità ed acquisibilità di quelle particolari prove documentali frutto delle nuove applicazioni tecnologiche.

Sul punto i Supremi Giudici, in una fattispecie nella quale la Corte d'appello, riformando la decisione del Tribunale, aveva assolto un imputato per insussistenza del fatto dal reato di maltrattamenti in famiglia ritenendo sussistente un ragionevole dubbio circa la condotta di maltrattamenti contestata, hanno disatteso la tesi difensiva della parte civile, secondo cui erroneamente i giudici di appello avevano valutato in senso favorevole all’imputato il contenuto dei messaggi di WhatsApp fra lui e la vittima, prodotti però soltanto nel giudizio d'appello da parte della difesa dell'imputato perché questi non era stato in grado di recuperarli, escludendo che la Corte di appello li avesse acquisiti secondo modalità non corrette, atteso che la mera stampa di una serie di messaggi ha valore probatorio in sé, a prescindere dalla verifica se la stessa sia stata o meno effettuata secondo le linee-guida dettate dallo standards ISO/IEC 27037.

Il fatto

La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte di appello, per quanto qui rileva, aveva assolto un imputato per insussistenza del fatto dal reato di maltrattamenti in famiglia ritenendo sussistente un ragionevole dubbio circa la condotta di maltrattamenti contestata. La Corte d'appello aveva valutato che la produzione documentale dell'imputato facesse dubitare della fondatezza dell'accusa. Aveva rilevato che le relazioni dello psichiatra e dello psicologo descrivevano l'imputato come profondamente sofferente per la separazione coniugale e per la difficoltà di mantenere le relazioni con i figli così da richiedere una appropriata terapia farmacologica e aveva osservato che questa condizione contrastasse con il quadro di una personalità egoista e disinteressata ai bisogni del nucleo familiare emersa dalle altre prove assunte.

In questo contesto aveva ritenuto che la revoca delle prove testimoniali presentate in primo grado dalla difesa rendesse necessario acquisire la produzione documentale offerta nel grado di appello dall'imputato, anche considerando che tutti i testi escussi avevano fornito delle dichiarazioni tratte da quanto appreso dalla stessa persona offesa nel periodo di massima crisi della coppia.

In questo contesto, si valutava che i contenuti delle conversazioni su WhatsApp fra l’imputato e la vittima mostravano un rapporto fra i coniugi e dell'imputato con i figli antitetico rispetto a quello al quale si riferivano le accuse mossegli e la presentazione della querela relativa ad un episodio di violenza «non appar[iva] aliena dal sospetto di possibili strumentalizzazioni essendo coeva alla pendenza del procedimento di separazione personale fra i coniugi».

Il ricorso

Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la difesa della parte civile, in particolare sostenendo che la reformatio in melius della sentenza di primo grado con assoluzione dell'imputato è derivata dalla valutazione del contenuto dei messaggi di WhatsApp fra lui e la vittima prodotti soltanto nel giudizio d'appello da parte della difesa dell'imputato perché questi non era stato in grado di recuperarli (il che pareva improbabile) prima della conclusione del primo grado di giudizio.

Si eccepiva che la Corte di appello non li avesse acquisiti secondo modalità corrette perché la mera stampa di una serie di messaggi non ha valore probatorio in sé se non ne viene verificata la attribuibilità con una perizia che dimostri la provenienza dal dispositivo telefonico da cui si dicono tratti, acquisendo il dispositivo con tutti i dati che esso contiene e non soltanto la conversazione che interessa e si sottolineava che la raccolta della prova digitale deve essere effettuata secondo le linee-guida dettate dallo standards ISO/IEC 27037.

La decisione della Cassazione

La Cassazione, come anticipato, ha disatteso la tesi difensiva.

In particolare, la S.C. ha premesso che per la concreta utilizzabilità della trascrizione delle conversazioni via WhatsApp, la necessità di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto (Cass. pen., Sez. V, n. 2658 del 6/10/2021, dep. 2022, M. Rv. 282771). Nel caso in esame, hanno poi aggiunto i Supremi Giudici, la produzione documentale, costituita dai messaggi di WhatsApp, era stata chiesta dalla difesa dell'imputato con l'atto di appello, al quale risultava allegata, e la difesa della parte civile non si era opposta alla produzione ma aveva chiesto che nel caso di acquisizione fosse prodotta una perizia per verificare la provenienza delle conversazioni.

In definitiva, per la Cassazione, la difesa della parte civile non aveva contestato i contenuti delle conversazioni in sé considerati e la loro idoneità, come ritenuto dalla Corte di appello, a condurre a una rivalutazione del quadro probatorio rispetto alla sentenza di primo grado. Né aveva sviluppato argomentazioni circa la non decisiva rilevanza, nella prospettiva della assoluzione, dei contenuti delle conversazioni via WhatsApp acquisite.

La sentenza merita di essere senz’altro condivisa. Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità si è, sul punto, espressa, affermando il principio per cui ai fini dell'utilizzabilità della trascrizione delle conversazioni via "WhatsApp" effettuata dalla persona offesa, la necessità di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilità della persona offesa e dell'attendibilità delle sue dichiarazioni accusatorie (Fattispecie in tema di atti persecutori, in cui la Corte ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva ritenuto superflua la richiesta difensiva di accertamento tecnico e di estrazione dei dati del traffico telefonico delle utenze interessate, non essendovi ragione di dubitare dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi: Cass. pen., Sez. V, n. 2658 del 6/10/2021, dep. 2022, CED Cass. 282771 – 01). Ove, peraltro, come avvenuto nel caso di specie, nessuna contestazione venga mossa alla loro acquisizione ed il giudice ne motivi la necessità acquisitiva in relazione agli atti del processo, nessun rilievo può essere mosso.

Riferimenti normativi:

Art. 234 c.p.p.

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