Lavoro e previdenza sociale

Deve essere reintegrata la lavoratrice licenziata perché non gradita al nuovo datore

Il Tribunale del lavoro di Venezia con la sentenza n. 531 del 13 settembre 2023, dopo avere ritenuto privo di valido fondamento il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una dipendente motivato dalla crisi economica, lo ha dichiarato radicalmente nullo poiché i motivi reali del recesso erano riconducibili alla volontà del datore di lavoro di estromettere la lavoratrice perché ritenuta scomoda in quanto moglie del precedente gestore del ristorante cui era addetta.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass., Sez. lav., 20/5/2021, n. 13781

Cass., Sez. lav., 2/10/2020, n. 21194

Cass., Sez. lav., 23/9/2019, n. 23583

Cass., Sez. lav., 5/4/2016, n. 6575

Cass., Sez. lav., 26/5/2015, n. 10834

Cass., Sez. lav., 8/8/2011, n. 17087

Trib. lav. Milano, 18/11/2021, n. 2798

Trib. lav. Nola, ord. 28/12/2020

Trib. lav. Monza, ord. 9/2/2016

Trib. lav. Modena, ord. 27/10/2014

Difformi

Cass., Sez. lav., 4/3/2021, n. 6085

Cass., Sez. lav., 16/2/2021, 4055

Cass., Sez. lav., 25/1/2021, n. 1514

Cass., Sez. lav., 4/6/2018 n. 14197

Cass., Sez. lav., 1/6/2017, n. 13857

Cass., Sez. lav. 27/2/2015, n. 3986

Cass., Sez. lav., 9/3/2011, n. 5555

Cass., Sez. lav., 5/8/2010, n. 18283

App. lav. Bari, 7/7/2022, n. 1476

Trib. lav. Bologna, ord. 17/6/2021

Trib. lav. Trento, 27/4/2018, n. 102

Nel caso esaminato dal Tribunale del lavoro di Venezia nella sentenza n. 531 del 13 settembre 2023 una lavoratrice, addetta con qualifica di banconiera in un ristorante, era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo a seguito della lamentata contrazione del lavoro a causa della pandemia da covid-19.

Ritenendo illegittimo il recesso, la lavoratrice si era dunque rivolta al Tribunale perché accertasse non soltanto la carenza della motivazione addotta dal datore di lavoro, ma anche la nullità del licenziamento in quanto determinato da un motivo illecito determinante.

A suo dire – infatti – le ragioni del licenziamento risiedevano nella volontà aziendale di escludere dall’azienda una dipendente ritenuta “scomoda” perché espressione della precedente gestione del ristorante, in quanto moglie del precedente gestore e sua collaboratrice.

In conseguenza di questa impostazione, la ricorrente richiedeva, in prima istanza, la reintegrazione nel posto di lavoro con il pagamento di tutte le retribuzioni intercorrenti tra licenziamento e riammissione in servizio e, solo in via subordinata, la corresponsione dell’indennità risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 23/2015 (c.d. jobs act).

Di contro, la società che gestiva il ristorante, nel costituirsi in giudizio, ha negato di avere mai avuto un atteggiamento vessatorio nei confronti della ex dipendente ed ha sostenuto la legittimità del recesso a fronte della contrazione della clientela e dell’insufficienza dei ricavi rispetto agli investimenti fatti per la nuova apertura del ristorante.

Il Giudice ha però accolto la domanda principale della lavoratrice e, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015 sul licenziamento discriminatorio, ne ha disposto la reintegrazione al lavoro con la corresponsione delle retribuzioni maturate medio tempore ed il versamento dei relativi contributi previdenziali.

La norma richiamata prevede espressamente non soltanto la nullità del licenziamento “discriminatorio” ai sensi dell’art. 15 della legge n. 300/1970 ma anche la nullità riconducibile ad altri casi espressamente previsti dalla legge

Nello specifico, nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto che si trattasse di quello che, nell’evoluzione della giurisprudenza, viene definito un licenziamento “ritorsivo” (o per rappresaglia), in quanto, a mente dell’art. 1345 c.c., determinato da un'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore.

Secondo la giurisprudenza, il motivo ritorsivo deve essere “determinante”, ossia deve costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed “esclusivo”, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto a giustificazione del recesso deve risultare insussistente nel riscontro giudiziale (Cass. 16/2/2021, n. 4055).

Infatti, qualora venga invece accertata la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, idonea a legittimare il licenziamento, l’eventuale esistenza di un concorrente motivo illecito, da provarsi comunque da parte del lavoratore, anche a mezzo di presunzioni, deve ritenersi irrilevante (Cass. 4/6/2018 n. 14197).

Il Tribunale di Venezia ha dunque correttamente impostato la questione, dapprima vagliando la motivazione indicata nella lettera di licenziamento e, una volta accertata l’assenza di un giustificato motivo oggettivo, ha valutato se vi fossero gli estremi per il riconoscimento di un licenziamento ritorsivo (con le ben più gravi conseguenze sul piano risarcitorio).

Così, in sintesi, contrariamente a quanto sostenuto dal datore di lavoro, il recesso non è stato ritenuto supportato da giustificato motivo per le seguenti ragioni:

- la lavoratrice era stata assunta nell’ottobre 2020 ed era stata licenziata nel gennaio 2022;

- dal bilancio della società che era stato depositato in giudizio risultava che nell’anno 2021 erano stati prodotti utili idonei a coprire le perdite dell’anno precedente;

- nel 2021 erano stati effettuati nuovi investimenti ed assunzioni, anche con il livello della ricorrente e poco prima del licenziamento.

Superato questo passaggio, il Giudice ha pertanto affrontato la questione relativa al licenziamento ritorsivo, ricordando che, come da consolidata giurisprudenza della Cassazione, spetta al lavoratore l’onere di provare la sussistenza di un motivo illecito determinante, prova che, comunque, può essere data anche attraverso presunzioni (Cass. 23/9/2019, n. 23583).

Sul punto, è peraltro importante ricordare che, secondo la Corte di Cassazione, il Giudice, una volta accertata l'illegittimità del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, ha il dovere di verificare in fatto la sussistenza del motivo illecito, indagine che invece, nel caso esaminato, era stata omessa nel giudizio di merito (Cass. 16/1/2020, n. 808).

Nella fattispecie in commento, il Tribunale di Venezia ha ritenuto utili elementi presuntivi:

- l’evidente insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro;

- la coincidenza temporale del recesso con le nuove assunzioni di personale avente lo stesso inquadramento della lavoratrice licenziata;

- la messa in cassa integrazione della lavoratrice in concomitanza con altre assunzioni;

- il contemporaneo licenziamento del figlio della lavoratrice;

- una dichiarazione contenuta nella memoria difensiva della società nella causa intentata dal figlio ove si riportava che questa “… non aveva alcun interesse a "spendere" le figure del ricorrente e della madre con i propri clienti e fornitori ed, anzi, era assolutamente interessata a rendere ben evidente il completo distacco tra l'attuale gestione e le precedenti”.

Come ricordato sopra, l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, di conseguenza, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso incombe sul lavoratore.

Si tratta – evidentemente – di un onere molto impegnativo, considerato che ben difficilmente il datore di lavoro motiverà il licenziamento indicando specificamente il motivo di astio o di vendetta verso il lavoratore.

Pertanto, la giurisprudenza ammette che il motivo illecito possa essere provato anche per presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti (Cass. 17/6/2020, n. 11705).

Così, la citata Cass. n. 23583/2019 ha ritenuto nullo, perché ritorsivo, il licenziamento, motivato con la chiusura del reparto produttivo cui era addetto il lavoratore, intimato in occasione del suo rientro da una lunga malattia; nel corso della causa era infatti emerso che non esisteva un vero e proprio reparto di appartenenza del lavoratore e che il dipendente era stato adibito soltanto marginalmente alle lavorazioni che si intendevano soppresse.

È stato considerato ritorsivo anche il licenziamento motivato dall'esternalizzazione delle attività assegnate al dipendente se, in realtà, la posizione lavorativa non era stata soppressa ed il recesso era stato in realtà disposto a seguito del rifiuto del lavoratore di accettare una proposta di novazione del contratto con riduzione della retribuzione (Cass. 20/5/2021, n. 13781).

Nella giurisprudenza di merito:

- è stato considerato ritorsivo il licenziamento per giusta causa per fatti risalenti nel tempo di una lavoratrice che poco prima aveva rivendicato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una differente società appartenente allo stesso imprenditore (Trib. lav. Milano 18/11/2011, n. 2798);

- è stata riconosciuta la natura ritorsiva del licenziamento per giusta causa irrogato ad una dipendente – in precedenza qualificata come collaboratrice autonoma in forza di molteplici contratti a progetto – in quanto dovuto essenzialmente alla mancata adesione della lavoratrice alla richiesta datoriale di rinunciare ai diritti relativi ai periodi pregressi (Trib. lav. Modena 27/10/2014);

- è stata dichiarata l’illegittimità di un licenziamento formalmente motivato da una riorganizzazione aziendale ma, in realtà, determinato, anche in questo caso, dalla mancata accettazione da parte di un dipendente della proposta datoriale di trasformazione del rapporto di lavoro da subordinato ad autonomo (Trib. lav. Monza 9/2/2016);

- è stato ritenuto ritorsivo il licenziamento di un lavoratore che aveva registrato alcune conversazioni con i propri superiori per contestare una dequalificazione professionale, essendo le registrazioni legittime se effettuate per finalità di tutela dei propri diritti (Trib. lav. Nola 28/12/2020).

La natura ritorsiva del licenziamento non è stata invece riconosciuta:

- ad un produttore assicurativo, licenziato per mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati, secondo cui il recesso era l’ingiusta reazione ad un colloquio svoltosi con il datore di lavoro in cui il dipendente aveva lamentato la riduzione dello stipendio, l’adozione di un provvedimento disciplinare di un giorno di sospensione per mancato raggiungimento degli obiettivi di produzione, la modifica delle mansioni e la privazione dell’ufficio con gli strumenti di lavoro (App. lav. Bari 7/7/2022, n. 1476);

- in un caso in cui, nel consegnare la comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro aveva fatto riferimento ad alcune critiche che il lavoratore aveva precedentemente rivolto alla società (Trib. lav. Bologna 17/6/2021);

- al dipendente di una carrozzeria licenziato subito dopo che erano fallite le trattative intavolate con il suo datore di lavoro per l’acquisizione dell’attività da parte dello stesso lavoratore (Trib. lav. Trento, 27/4/2018, n. 102).

Si ricorda – infine – che la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio (per razza, per religione, per credo politico, ecc.), che può quindi accompagnarsi ad altro motivo di recesso legittimo ed essere comunque nullo (Cass. 7/11/2018, n. 28453).

Infatti, secondo i Giudici di legittimità, la discriminazione discende direttamente dalla violazione di norme interne o comunitarie ed opera, a differenza del motivo ritorsivo, in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore a prescindere dalla volontà e del motivo illecito del datore di lavoro (Cass. 5/4/2016, n. 6575).

Riferimenti normativi:

Art. 2D.Lgs. n. 23/2015

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