Responsabilità civile

Colpa medica, come risarcire il danno “tanatologico catastrofale – terminale”

Il danno “tanatologico catastrofale – terminale” (o “da agonia”) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'intensità della sofferenza medesima. È quanto si legge nella sentenza del Tribunale di Udine del 22 agosto 2023, n. 730.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI:

Conformi:

App. Catanzaro sez. II, 28 giugno 2023, n. 798

Trib. Milano sez. I, 10 febbraio 2023, n. 1089

Trib. Messina sez. II, 27 gennaio 2023, n. 179

Difformi:

Non si rinvengono precedenti in termini

Il fatto

Il Tribunale di Udine è adito in una vicenda che si ascrive nella responsabilità contrattuale in ambito medico trattandosi del decesso di un paziente.

La decisione del Tribunale di Udine

Dei diversi profili giuridici trattati in sentenza dal Giudice ci soffermiamo ad analizzare in questa sede solo quello relativo ai profili risarcitori, con riferimento, in particolare, al danno non patrimoniale cd. “tanatologico catastrofale – terminale” (o “da agonia”).

La morte di un (prossimo) congiunto determina per i (prossimi) congiunti-superstiti un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, in particolare in conseguenza dell'irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con il congiunto defunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale) anzitutto (anche se non solo) nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore) cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro (come per i coniugi in particolare previsto dall'art. 143 c.c.; per il genitore dall'art. 147 c.c., e ancor prima da un principio immanente nell'ordinamento fondato sulla responsabilità genitoriale - Corte Cost. 13 maggio 1998, n. 166 - da considerarsi in combinazione con l'art. 8, L. n. 184/1983; per il figlio nell'art. 315 c.c.) (Cass. civ. 12 giugno 2006, n. 13546; App. Catanzaro sez. II, 28 giugno 2023, n. 798).

Come il Supremo Collegio ha avuto modo di porre in rilievo, tale evento (morte) determina per i congiunti superstiti la perdita di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre (padre) e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (v. Cass. civ. 9 maggio 2011, n. 10107), con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29, 30 Cost.

In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il Giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussiste il profilo del danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l'interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti con il congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legale parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso (ex multis, Cass. civ. 5 novembre 2020, n. 24689).

Da tale perdita può al congiunto superstite derivare un danno morale (sofferenza interiore o emotiva) e/o un danno biologico relazionale, laddove venga a risultare intaccata l'integrità psicofisica del medesimo con riflessi sulla sua capacità di relazionarsi con il mondo esterno.

Escludendo che sia possibile limitare la "società naturale", cui fa riferimento l'art. 29 Cost., al ristretto ambito della sola famiglia nucleare, la Corte di Cassazione ha avuto occasione di precisare che il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza (ex multis, Cass. civ. 19 novembre 2018, n. 29784; Cass. civ. 15 febbraio 2018, n. 3767).

La Suprema Corte (v. Cass. civ. sez. III, ord. 30 agosto 2019, n. 21837 cui espressamente l’adito Giudice di Udine si riporta) ha avuto modo di sottolineare (v. Cass. civ. 19 ottobre 2016, n. 21060), all'esito della pronunzia a Sez. Unite, n. 15350 del 2015, che per la configurabilità del c.d. danno tanatologico subito dalla vittima per la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine (danno morale terminale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico - Cass. civ. sez. Unite, 11 novembre 2008, n. 26972), assume rilievo il criterio dell'intensità della sofferenza provata (v. Cass. civ. 20 agosto 2015, n. 16993; Cass. civ. 8 aprile 2010, n. 8360; Cass. civ. 23 febbraio 2005, n. 3766; Cass. civ. 1 dicembre 2003, n. 18305; Cass. civ. 19 ottobre 2007, n. 21976), a prescindere dall'apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima.

Allorquando tra le lesioni colpose e la morte intercorra un "apprezzabile lasso di tempo" sarà poi risarcibile, e "per il tempo di permanenza in vita" (v. Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632), il danno biologico terminale (v. Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163).

Diversamente dal danno morale terminale, il danno biologico terminale, quale pregiudizio della salute che anche se temporaneo è massimo nella sua entità ed intensità (v. Cass. civ. 23 febbraio 2004, n. 3549) in quanto conduce a morte un soggetto in un sia pure limitato ma apprezzabile lasso di tempo (Cass. civ. 23 febbraio 2005, n. 3766), è "sempre esistente", per effetto della "percezione, anche non cosciente", della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita (v. Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163).

Il c.d. danno tanatologico costituisce dunque danno subito da colui che perde la vita, il diritto di credito al relativo risarcimento venendo dal medesimo acquisito in vita è trasmesso iure hereditatis (v. Cass. civ. 23 febbraio 2004, n. 3549; Cass. civ. 1 febbraio 2003, n. 18305).

A tale stregua, esso si differenzia radicalmente dal danno da perdita del rapporto parentale, che – come anticipato - è il danno subito iure proprio dai parenti per la venuta meno della relazione parentale che li legava rispettivamente al defunto.

In conclusione, può dirsi che:

- il danno biologico cd "terminale" individua il pregiudizio alla salute di natura temporanea che sussiste per il tempo della permanenza in vita qualora tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo, mentre il danno morale cd. "catastrofale" consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile prescindendo dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra lesioni e decesso, rilevando solo l'intensità della sofferenza medesima (Trib. Milano sez. I, 10 febbraio 2023, n. 1089);

- costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale - non altrimenti specificato - e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ma unitariamente ristorato (Trib. Messina sez. II, 27 gennaio 2023, n. 179);

- non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla perdita di chances di sopravvivenza, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilità civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte (Trib. Milano sez. I, 20 gennaio 2023, n. 388).

Riferimenti normativi:

Art. 143 c.c.

Art. 147 c.c.

Art. 2 Cost.

Art. 29 Cost.

Art. 30 Cost.

Copyright © - Riproduzione riservata

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