Responsabilità civile

Danno da perdita del frutto del concepimento: non esperibile l’ATP

Il Tribunale di Agrigento, decreto 21 settembre 2023, n. 13150 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per accertamento tecnico preventivo proposto da una donna la cui gravidanza si era tragicamente interrotta e dal di lei marito, in funzione propedeutica rispetto all’azione risarcitoria da intraprendere nei confronti del ginecologo di fiducia della gestante e della struttura sanitaria cui veniva addebitata la responsabilità per la perdita del feto. L’analisi di tale pronuncia offre lo spunto per formulare alcune brevi considerazioni sulla condizione di procedibilità prevista dall’art. 8 della L. 8 marzo 2017, n. 24, nonché sulle modalità di liquidazione del danno da perdita del frutto del concepimento.

L’art. 8 della legge c.d. Gelli-Bianco (L. 8 marzo 2017, n. 24) dispone che, prima di avviare una controversia finalizzata al risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria, chi intende ottenere il rimedio compensativo deve assolvere a una condizione di procedibilità. Al riguardo, è consentita una scelta tra l’istanza volta all’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite e l’innesco del procedimento di mediazione. Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Agrigento ruota attorno alla richiesta di accertamento tecnico preventivo formulata, ai sensi della predetta disposizione, da una donna e da suo marito, che erano rimasti coinvolti in una vicenda drammatica; quest’ultima, infatti, mentre era in gravidanza, riportava uno shock cardiocircolatorio da cui conseguiva la perdita del feto che ella portava in grembo. I coniugi, addebitando la responsabilità di quanto verificatosi al ginecologo che seguiva la gestante e alla struttura sanitaria presso la quale costui operava, avevano chiesto all’adito giudice la nomina di un collegio peritale al fine di accertare il nesso causale tra la condotta del medico e il predetto shock, nonché di accertare le relative conseguenze pregiudizievoli, qualificando e quantificando le lesioni da essi istanti riportate. Sennonché, con decreto reso il 21 settembre 2023, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. A differenza di altre ipotesi, in cui un siffatto approdo è dipeso dalla mancata allegazione di inadempienze qualificate dei soggetti evocati in giudizio (si veda Trib. Napoli, ord. 9 novembre 2022), riguardante la c.t. preventiva a fini conciliativi richiesta dalla moglie di un paziente deceduto per aver contratto il COVID-19), la pronuncia di inammissibilità resa dal Tribunale siciliano si basa sulla circostanza che la valutazione di quello che viene ritenuto l’unico pregiudizio nella specie configurabile (quantunque non dedotto in modo specifico), consistente nella perdita del frutto del concepimento, non può essere demandata a un consulente tecnico.

La decisione evidenzia, al riguardo, come venga in rilievo “una posta risarcitoria non suscettibile di valutazione medico legale, non potendosi ancorare alle tabelle di Milano in uso per la liquidazione del danno da rapporto del danno parentale, stante l’impossibilità di equiparare il danno conseguente alla perdita di una persona vivente con la quale si aveva un legame affettivo, con la perdita del concepito (non nato), non ancora dotato di una sua autonomia soggettiva”. Il che discende a propria volta dalla constatazione che “la perdita del frutto del concepimento non costituisce danno alla salute ma lesione del diritto alla genitorialità” (all’uopo è richiamato un precedente di legittimità rappresentato da Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1998, n. 2677, con cui il Supremo Collegio aveva confermato la decisione di merito che aveva condannato un’ostetrica dipendente di un’azienda sanitaria e l’azienda medesima a risarcire ad una gestante, la quale aveva subito la perdita del proprio feto per colpa dei sanitari, il danno morale per la perdita del frutto del concepimento, quantificato in lire trecento milioni, e il danno morale per le sofferenze patite dalla stessa in occasione degli interventi chirurgici, quantificato in lire duecento milioni).

Rispetto a tali considerazioni, va evidenziato che, ai fini della liquidazione del danno derivante dalla perdita dal feto, non può dirsi del tutto irrilevante il ruolo delle tabelle applicabili per la quantificazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale (non solo quelle milanesi, ma tutte quelle rispondenti ai criteri enunciati dalla terza sezione civile della Cassazione con sent. 21 aprile 2021, n. 10579, dove si è ritenuto idoneo un sistema a punti, che preveda l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali vanno contemplate in ogni caso l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso alla tabella). La Suprema Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire che, a fronte della perdita del frutto del concepimento, il giudice di merito può muovere dai parametri tabellari, operando una personalizzazione, sì da riconoscere ai danneggiati una somma inferiore ai valori minimi in ragione della mancata instaurazione di una relazione affettiva, trattandosi di una relazione soltanto potenziale (così, con riferimento all’ipotesi di parto di un feto privo di vitalità, Cass. civ., sez. III, ord. 20 ottobre 2020, n. 22859; si veda anche Cass. civ., sez. III, ord. 15 settembre 2020, n. 19190, secondo cui è plausibile che liquidazione avvenga facendo riferimento ai valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età e quindi operando una decurtazione del 50%).

Inoltre, un punto di contatto tra perdita del rapporto parentale e perdita del frutto del concepimento si può desumere da un’ulteriore decisione con cu i giudici della legittimità sono intervenuti in una causa promossa dagli appartenenti a un nucleo familiare, i quali aspiravano al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti iure proprio in relazione alla mancata nascita del proprio figlio o fratello, attribuendo l’esito infausto della gravidanza “all’omessa diagnosi di ipossia fetale e all’omesso trattamento terapeutico, nonché ai ritardi imputabili agli operatori sanitari, i quali non avevano eseguito prontamente il taglio cesareo che, con elevata probabilità, avrebbe evitato la sofferenza del feto” (Cass. civ. sez. III, ord. 29 settembre 2021, n. 26301). In tale occasione, è stato stigmatizzato il rigetto, da parte della Corte territoriale, delle istanze istruttorie formulate dagli originari attori, in quanto ritenute frutto di un'inammissibile mutatio libelli; ciò in quanto tale statuizione scaturiva dall’erronea convinzione che tutti gli aspetti della sofferenza patita dalla gestante (quali il panico e gli incubi notturni) e il mutamento delle abitudini di vita conseguenti alla morte del feto in utero integrassero un danno “assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti per la perdita del frutto del concepimento”. Orbene, il Supremo Collegio ha esortato i giudici del rinvio a tener conto di quanto affermato nei propri precedenti in tema di danno da perdita del rapporto parentale, “valorizzando appieno l'aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori […] poiché la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l'aspetto più significativo del danno de quo”.

Il Tribunale di Agrigento asserisce altresì che gli aspetti non suscettibili di valutazione in sede di accertamento tecnico preventivo si prestano eventualmente a essere presi in considerazione nel giudizio a cognizione piena. A questo proposito, come emerge dalle “Linee guida in materia di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’articolo 8, Legge 24/2017” diffuse dalla XIII sezione civile del Tribunale di Roma, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, all'esito della rituale instaurazione del contradditorio, soddisfa la condizione di procedibilità e consente al danneggiato di agire come se il procedimento fosse stato esperito. Per quel che concerne, invece, le decisioni con cui il giudice afferma o nega la propria competenza per territorio a provvedere sull’istanza di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi, a norma dell’art. 8, L. 24/2017, la Suprema Corte ha stabilito che esse non assumono alcuna efficacia preclusiva o vincolante nel successivo giudizio di merito (Cass. civ. sez. VI, ord. 16 febbraio 2022, n. 5046).

Riferimenti normativi:

Art. 2059 c.c.

Art. 696 bis c.p.c.

Art. 8, L. 8 marzo 2017, n. 24

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