Lavoro e previdenza sociale

Organizzazioni di tendenza e reintegrazione nel posto di lavoro

Con la sentenza 26 settembre 2023 il Tribunale di Foggia ha deciso una peculiare vicenda che riguardava un sacrista licenziato per aver partecipato alle trattative per il rinnovo del CCNL applicato dall’ente ecclesiastico datore di lavoro. Nella decisione il Tribunale pugliese ha, tra l’altro, affrontato il tema della possibilità di disporre la reintegra, nel caso in cui il datore di lavoro sia un’organizzazione di tendenza, ponendosi in linea con gli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Con le decisione del 26 settembre us, il giudice del lavoro di Foggia si è pronunciato sulla peculiare vicenda di un sagrestano, con mansioni di «addetto alla preparazione ed assistenza delle sacre funzioni liturgiche, custodia della chiesa, degli arredi e delle suppellettili, pulizia della chiesa e della sacrestia, ordinarie e straordinarie», licenziato per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto.

Il lavoratore aveva impugnato in via d’urgenza il licenziamento intimatogli dalla Fondazione datrice di lavoro, perché discriminatorio e/o ritorsivo.

Il Tribunale, in applicazione del principio della ragione più liquida, ha dapprima rigettato l’eccezione della Fondazione datrice di inammissibilità della tutela cautelare richiesta, in virtù della propria natura di organizzazione di tendenza, che – a parere della Fondazione – avrebbe escluso la possibilità di disporre la reintegra.

Il giudice, al contrario, ha ricordato che l’art. 4L. n. 108/1990 accorda alle organizzazioni di tendenza il privilegio dell’inapplicabilità dell’art. 18 dello Statuto, ma fa salva l’ipotesi (prevista dall’art. 3) del licenziamento discriminatorio.

Il medesimo ha poi aggiunto che, secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, tale norma si applica più in generale ai licenziamenti nulli per illiceità del motivo e, in particolare, a quelli che siano determinati in maniera esclusiva da motivo di ritorsione o rappresaglia.

Con la conseguenza che, in caso di licenziamento ritorsivo, il giudice deve ordinare, anche nei confronti delle organizzazioni di tendenza, la reintegra del lavoratore, a prescindere dal livello occupazionale dell’ente e dalla categoria di appartenenza del dipendente.

Il Tribunale ha poi esaminato il merito della vicenda, verificando l’effettiva sussistenza o meno di un giustificato motivo oggettivo di recesso, il cui onere della prova grava sulla parte datoriale.

Come noto, secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali condivisi e applicati dal Tribunale di Foggia, il controllo giudiziale sulla legittimità del licenziamento deve essere compiuto sia in ordine alla verifica dell’effettiva sussistenza della causa del recesso, sia in ordine alla reale impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, eventualmente anche inferiori.

Nel caso, come quello di specie, di licenziamento per riduzione del personale il controllo giudiziale deve estendersi anche alla verifica del rispetto, da parte del datore di lavoro, dei principi di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare.

Ciò posto il giudice ha rilevato come fosse pacifico che il ricorrente avesse sempre svolto in prevalenza mansioni di accoglienza dei pellegrini e che la Fondazione datrice avesse oltre novanta dipendenti, che si occupavano dell’accoglienza dei pellegrini o di mansioni analoghe (assistenza alle funzioni e pellegrini, ufficio pellegrini, ecc.).

Così come pacifico era il fatto che nell’ottobre 2022 il ricorrente fosse stato eletto membro della Giunta nazionale della Federazione Italiana tra le Unioni Diocesane Addetti al Culto/Sacristi (FIUDAC/S), nonché che nel maggio 2023 quest’ultima e la FACI avessero sottoscritto un nuovo CCNL per i sacristi addetti al culto dipendenti degli enti ecclesiastici, che nell’appendice A conteneva miglioramenti normativi e aumenti contrattuali per i dipendenti di santuari, basiliche e chiese con grandi afflussi di fedeli, come la Fondazione convenuta.

Il Tribunale ha poi evidenziato come, in base a quanto indicato nella lettera di licenziamento, la Fondazione giudicasse illegittime le «revisioni derogatorie della contrattazione collettiva di settore» che – secondo quanto indicato nella comunicazione di recesso – andavano ad incidere notevolmente sulla situazione finanziaria della Fondazione datrice, «andando a colpire l’Ente appena uscito dalla grave crisi pandemica… oltre a creare un’inammissibile ingerenza nell’organizzazione del lavoro della Fondazione, illegittima anche sotto il profilo civilistico».

Per quel che qui interessa, inoltre, nella lettera di recesso si leggeva quanto segue.

«Questa Fondazione con lettera del 7 giugno 2023 indirizzata a FACI, FIUDAC/S ed ENBIFF ha comunicato agli stessi Enti di aver ben compreso che sia Lei la fonte interna delle false informazioni che hanno indotto i soggetti sottoscrittori del CCNL all’elaborazione di un’Appendice contrattuale, che rappresenta un vero e proprio nuovo CCNL ad personam per un Ente ecclesiastico che, evidentemente, viene considerato come una grande società di capitali illimitati da un dipendente come la S.V., più avvezzo a fare il sindacalista occulto di se stesso che il sacrista, cimentandosi in polemica corrispondenza con la FIUDAC/S già nel giugno/luglio 2022, fino agli esiti contrattuali infelici per la Fondazione di cui alla descritta Appendice A».

Con la conseguenza che – a dire della Fondazione – essa si era trovata costretta a rivedere la propria organizzazione di lavoro per il servizio sacristi, «affidandone lo svolgimento integralmente alle suore con rapporto di volontariato, non essendo sostenibili per la Fondazione i costi economici con l’applicazione della regolamentazione contrattuale appena approvata nella parte denominata Appendice A del nuovo CCNL Sacristi».

Ebbene, alla luce delle risultanze documentali, il giudice ha ritenuto che, pur volendo considerare sussistente «la veridicità del presupposto di fatto posto a fondamento del recesso», e cioè la crisi economica, la Fondazione datrice non avesse fornito alcuna prova sia sui criteri oggettivi utilizzati per la scelta del lavoratore da licenziare sia sull’impossibilità di assegnare al ricorrente mansioni diverse, con conseguente illegittimità del licenziamento.

Stante l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo di recesso, il giudice ha verificato la sussistenza del lamentato motivo ritorsivo.

Sul punto il medesimo ha ritenuto che dalla lettera di licenziamento si deducesse chiaramente che il recesso era stato disposto perché, a seguito della partecipazione del lavoratore alle trattative che avevano portato all’approvazione dell’Appendice A del nuovo CCNL, egli non era risultato più gradito alla Fondazione datrice.

Ciò anche alla luce del confronto tra la lettera di licenziamento inviata al ricorrente e quelle inviate ad altri tre lavoratori, anch’essi licenziati per giustificato motivo oggettivo, nelle quali si legge che la Fondazione aveva «ben compreso la fonte interna delle false informazioni che hanno indotto i soggetti sottoscrittori del CCNL all’elaborazione di un’appendice contrattuale, che rappresenta un vero e proprio nuovo CCNL ad personam per un Ente ecclesiastico che, evidentemente, viene considerato come una grande società di capitali illimitati da un suo dipendente, più avvezzo a fare il sindacalista occulto di se stesso che il sacrista, cimentandosi in polemica corrispondenza con la FIUDAC/S già nel giugno/luglio 2022, fino agli esiti contrattuali infelici per la Fondazione di cui alla descritta Appendice A».

Giustamente, dunque, il giudice ha concluso che il vero motivo del licenziamento fosse da rinvenirsi nel ruolo assunto dal ricorrente nelle trattative per l’approvazione del nuovo CCNL e dell’Appendice A e dunque nell’ostilità «del datore di lavoro nei confronti del ricorrente, che nel partecipare alle trattative per il rinnovo del CCNL ha “fornito false informazioni” ed è stato “più… sindacalista di se stesso che… sacrista”».

Riferimenti normativi:

Art. 4L. n. 108/1990

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