L’accordo sul compenso dell’avvocato va fatto per iscritto

L'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta "ad substantiam" a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'art. 13, comma 2, della legge n. 247 del 2012 (recante la nuova disciplina sull’ordinamento professionale forense), che, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico, ha lasciato invariato (con la previsione di cui al successivo comma 6 dello stesso articolo 13) quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall'accettazione nella medesima forma e, dall'altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c. Lo si legge nella sentenza della Cassazione n. 29432 del 24 ottobre 2023.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:

Conformi:

Cass. n. 717/2023

Cass. n. 16383/2023

Difformi:

Non si rinvengono precedenti in precedenti

M. A. M., in proprio e quale legale rappresentante della ditta M., proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Salerno, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’Avv. E. A. per il pagamento dell’importo di euro 6.691,98 (oltre interessi e spese), a titolo di asserito saldo del compenso assunto come spettantele in relazione all’attività professionale svolta nell’interesse dell’opponente nell’ambito del procedimento n. R.G. 7743/2014 dinanzi al Tribunale di Salerno, avente ad oggetto un’opposizione ad ordinanza-ingiunzione.

A fondamento dell’avanzata opposizione la M., nella duplice qualità prospettata, deduceva che, per l’esercizio della suddetta attività difensiva, aveva corrisposto all’avv. A. la somma di euro 600,00, da ritenersi preventivamente concordata tra le parti, che aveva regolarmente corrisposto con conseguente emissione di regolare fattura da parte della professionista, dovendosi, perciò, ritenere che il pagamento fosse avvenuto a saldo del compenso in questione e non a titolo di acconto.

Si costituiva in giudizio l’avv. A., la quale contestava l’opposizione e faceva rilevare che l’adeguatezza del suo compenso in base alle tariffe professionali era comprovato dalla documentazione prodotta in giudizio, senza che potesse aver valore alcun accordo verbale intercorso tra le parti.

Il Tribunale di Salerno, in composizione collegiale, accoglieva totalmente l’opposizione, con la conseguente revoca dell’impugnato decreto ingiuntivo e la derivante condanna dell’opposta al pagamento delle spese giudiziali.

Avverso la suddetta ordinanza l’avv. A. ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio l’ordinanza impugnata.

Rileva, in primo luogo, il collegio come sia rimasto pacifico il dato che tra la professionista ricorrente e la sua cliente non fosse stato concluso alcun contratto in forma scritta per la determinazione del compenso professionale; ciò nonostante, il Tribunale ha ritenuto che il semplice rilascio della fattura ad opera dell’avvocato per la somma di euro 600,00 oltre accessori di legge (ancorché nella stessa fosse stata inserita la dicitura “compenso totale”), costituisse idonea prova del soddisfacimento della pretesa della professionista, così prescindendo dall’indispensabilità della produzione di apposito contratto stipulato nella forma scritta comprovante la conclusione di un accordo tra le parti sulla quantificazione, nel precisato importo, della misura effettiva e totale spettante alla ricorrente per il compenso forense in ordine al patrocinio in una precedente causa (come in precedenza indicata) svoltasi dinanzi al Tribunale di Salerno.

Il requisito della forma scritta prescritto a pena di nullità dall’art. 2233, comma 3, c.c. per l’accordo tra professionista e cliente sulla determinazione consensuale dei compensi in deroga a quelli previsti per legge, non può essere sostituito con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c., presupponendosene, perciò, sempre la sua preesistenza.

Al riguardo ed in via generale, va rimarcato che l'art. 13 della nuova legge professionale forense (la L. n. 247/2012), per quanto concerne i criteri di determinazione del compenso professionale, accorda preferenza alla volontà delle parti, da un lato stabilendo che «l'incarico può essere svolto a titolo gratuito» (comma 1) e che «la pattuizione dei compensi è libera» (comma 3), fermo il divieto del patto che attribuisca all'avvocato «come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa» (comma 4), e dall'altro lato ribadisce la natura meramente sussidiaria dei "parametri" forensi, i quali «si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta» (comma 6). Sotto il profilo processuale e, in particolare, del riparto dell'onere probatorio, ciò significa che, ove dovessero sorgere contestazioni in ordine alla debenza o all'entità del compenso, spetta alla parte che vi ha interesse dimostrare l'esistenza di un valido accordo sul punto (concluso, quindi, nel rispetto delle forme previste dall'ordinamento).

Grava, quindi, sul committente-cliente la prova dell'eventuale accordo sulla gratuità della prestazione, così come della pattuizione, necessariamente in forma scritta, di un compenso in misura inferiore rispetto a quella che deriverebbe dall'applicazione dei parametri forensi, mentre incombe sul professionista-avvocato l’onere della prova di aver pattuito – sempre nella forma per iscritto - un compenso in misura ad essi superiore. Deve, quindi, essere qui ribadito il principio di diritto alla stregua del quale, ai sensi dell'art. 2233, comma 3 (come sostituito dall'art. 2, comma 2-bis, D.L. n. 223/2006, conv., con modif., dalla L. n. 248/2006), c.c., l'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta "ad substantiam" a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'art. 13, comma 2, L. n. 247/2012 (recante la nuova disciplina sull’ordinamento professionale forense), che, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico, ha lasciato invariato (con la previsione di cui al successivo comma 6 dello stesso articolo 13) quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall'accettazione nella medesima forma e, dall'altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c.

Esito:

Cassa, con rinvio, avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno, in composizione collegiale, pubblicata in data 8 maggio 2019

Riferimenti normative:

Art. 2223 c.c.

Art. 2724 c.c.

Art. 2725 c.c.

Art. 13, L. n. 247/2012

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