Lavoro e previdenza sociale

Ritenuti lavoratori subordinati i riders di una nota piattaforma di delivery

Il Tribunale di Milano, con il decreto 28 settembre 2023, dopo aver qualificato come subordinati i riders di una nota piattaforma di delivery, ha anche accertato il loro pieno diritto all’applicazione in loro favore dell’intera normativa del lavoro subordinato, ivi incluse le tutele di cui all’art. 28Stat. Lav. (condotta antisindacale), della procedura ai sensi dell’art. 1, comma 224 della L. n. 234/2021 (procedura anti-delocalizzazioni) e della L. n. 223/1991 (licenziamenti collettivi).

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Trib. Milano, sent. 19/10/2023, n. 3237

Cass. civ., Sez. lav., 24/1/2020, n. 1663

Trib. Palermo, 20/11/2020, n. 3570

App. Torino, Sez. lav., 4/2/2019, n. 26

Difformi

Trib. Firenze, decr. 9/2/2021 (in tema di inutilizzabilità art. 28Stat. Lav.)

Trib. Torino, Sez. lav., 7/5/2018, n. 778

Trib. Milano, Sez. lav., 10/9/2018, n. 1853

Con la decisione il commento, il Giudice del Lavoro di Milano ha aggiunto una interessante ed innovativa pronuncia con riguardo alla oramai famosa e dibattuta questione relativa all’inquadramento contrattuale dei c.d. riders delle piattaforme digitali e delle tutele giuslavoristiche a questi applicabili.

In particolare, il Tribunale di Milano ha emesso il proprio decreto all’esito di un procedimento ai sensi dell’art. 28 della L. n. 300/1970 (“Statuto dei Lavoratori”) per condotta anti-sindacale, instaurato dalle sedi locali delle principali organizzazioni nazionali di settore (NIDIL CGIL MILANO, FILCAMS CGIL MILANO e FILT CGIL MILANO) nei confronti di una nota società parte di un gruppo multinazionale americano ed attiva nel settore delle consegne a domicilio di prodotti e/o cibo che i clienti possono ordinare tramite app.

Come noto, la consegna dei prodotti avviene tramite i c.d. riders, ovvero fattorini muniti di bicicletta o scooter che hanno il compito di ritirare il prodotto dal ristorante o dal negozio per conto del cliente e portarlo fisicamente da quest’ultimo. L’ordine del cliente al negozio o ristorante avviene per mezzo di una app, di proprietà della società, che comunica allo stesso tempo al rider più vicino fisicamente al luogo del ritiro la consegna da eseguire.

Nel caso di specie, la società aveva comunicato la propria intenzione di uscire dal mercato italiano, recedendo altresì, tra gli altri, dai rapporti in essere con i riders - tutti inquadrati formalmente come collaboratori autonomi - senza espletare le procedure di consultazione normalmente previste dalla legge in caso di licenziamento collettivo, applicabili normalmente in presenza di lavoratori subordinati.

Le summenzionate organizzazioni sindacali, avevano quindi adito l’autorità giudiziaria del lavoro per rivendicare l’antisindacalità della condotta posta in essere dalla società - asserendo la natura ontologicamente subordinata dei rapporti in essere con i riders - proprio per avere questa omesso, prima di recedere dai contratti di collaborazione, di effettuare le comunicazioni periodiche alle organizzazioni sindacali ai sensi della D.Lgs. n. 25/2007, nonché la procedura di cui all’art. 1, commi 224 e ss. della L. n. 234/2021 (ovvero la procedura introdotta con la legge finanziaria del 2021 per i casi di chiusura di ufficio o stabilimento aziendale in imprese che occupano più di 250 dipendenti) e, da ultimo, quella di cui ai sensi della L. n. 223/1991 (ovvero la “tradizionale” procedura di licenziamento collettivo che deve essere avviata dalle imprese che occupano più di 15 dipendenti che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti per ragioni oggettive nell’arco di 120 giorni), con pubblicazione del decreto su almeno quattro quotidiani a tiratura nazionale.

Le stesse chiedevano dunque, tra le molteplici conclusioni, di revocare (e/o comunque dichiarare inefficaci) i recessi dai contratti di lavoro dei rider intimati e di ordinare l’immediato avvio delle summenzionate procedure previste dalla legge per i casi, rispettivamente, di delocalizzazione e licenziamento collettivo.

All’esito dell’instaurazione del contraddittorio e del giudizio, il Tribunale di Milano accoglieva parzialmente le richieste formulate dalle organizzazioni sindacali, con una complessa ed analitica decisione.

In primis, nel proprio decreto, il Giudice del Lavoro di Milano analizza la legittimità attiva delle organizzazioni sindacali ricorrenti, ritenendo come queste fossero, nel caso di specie, pienamente legittimate ad agire non solo perché in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28Stat. Lav. medesimo, ma anche perché, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 10324/1998), queste possono tutelare non solo i diritti sindacali dei propri membri, ma anche di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati.

In realtà, come si legge poi anche nelle ultime pagine del decreto stesso, anche questo capo del decreto è strettamente collegato e presuppone – così come tutto il resto - la riqualificazione del rapporto di lavoro dei riders in lavoro subordinato, principale argomento affrontato dalla decisione (infatti, per lo stesso e speculare motivo, il Tribunale di Firenze aveva negato nel 2021 la legittimazione attiva delle organizzazioni sindacali sul presupposto che i lavoratori fossero tutti autonomi e, dunque, privi del diritto a tale strumento di tutela).

Accertata, dunque, la legittimazione attiva e la configurabilità del giudizio ai sensi dell’art. 28Stat. Lav., il decreto esamina i diversi precedenti – sia europei, che nazionali – che hanno affrontato il tema della qualificazione del rapporto di lavoro dei riders. Vengono quindi richiamati numerosi precedenti della Corte di Giustizia Europea, per lo più per richiamare principi interpretativi generali, tra cui due pronunce del Regno Unito (in particolare, la sentenza del 28/10/2016, n. 2202550 dell’Employment Tribunal of London, confermata finanche dalla Corte Suprema del Regno Unito con sentenza UKSC n. 5, del 19/2/2021), una francese (sent. Cour de Cassation, Chambre Sociale del 4/3/2020, n. 374) e una della Spagna (sentenza del Tribunal Supremo, Sala de lo Social, Pleno, n. 805/2020), tutte risolte nel senso di aver ritenuto di tipo subordinato il rapporto di lavoro dei riders con la piattaforma, in ragione, rispettivamente, del metodo di procacciamento dei clienti, dello stato di dipendenza del lavoratore rispetto alla piattaforma, del metodo di funzionamento dell’algoritmo e del metodo di funzionamento della stessa.

La decisione ripercorre poi analiticamente anche i principali provvedimenti sul tema emessi da Tribunali e Corti italiane, dai primi provvedimenti di Torino e Milano medesima del 2018 che, in un primo momento, avevano escluso la sussistenza di una subordinazione dei riders (rifacendosi finanche alla nota vicenda Mototaxi dei primi anni ’90, arrivata sino in Cassazione), fino ai più significativi della Corte di Appello di Torino del 2019, della Corte di Cassazione e di Palermo del 2020.

Muovendo dalle motivazioni che vengono effettuate, in particolare, nelle ultime sentenze menzionate, il Tribunale di Milano argomenta diffusamente sul perché, nel caso di specie, i riders debbano ritenersi lavoratori subordinati tout court e non autonomi, né comunque men che meno collaboratori etero-organizzati comunque soggetti alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015.

Tale norma, come modificata, da ultimo, dal D.L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella L. 2 novembre 2019, n. 128, rubricata "Collaborazioni organizzate dal committente", prevede attualmente che: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

Sotto tale aspetto, la Suprema Corte di Cassazione del 2020, aveva ritenuto sostanzialmente superfluo l’accertamento dei giudici di merito sulla applicabilità della disciplina del lavoro subordinato ai co.co.co. in essere con i riders se come conseguenza di una situazione di presenza di un rapporto ontologicamente subordinato o in virtù dell’applicazione della previsione di cui all’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 81/2015.

Tale questione, unita al dibattito sulla classificazione dei rapporti soggetti a tale previsione come tertium genus rispetto alla dicotomia lavoro subordinato/lavoro autonomo o come sub-categoria del lavoro subordinato, aveva infatti acceso il dibattito sia a livello giurisprudenziale che, soprattutto, dottrinale.

Molti commenti, peraltro, si erano anche soffermati sulla necessità di trovare, sia per il legislatore, che per la magistratura del lavoro, dei nuovi criteri di valutazione per discernere i casi di subordinazione da quelli di autonomia, alla luce dell’innovazione tecnologica e delle più avanzate modalità di svolgimento dei rapporti di lavoro, impensabili anche solo fino a qualche anno fa.

Il Tribunale di Milano - forse accostandosi più al ragionamento svolto nella decisione del Tribunale di Palermo - dopo aver analizzato in concreto le modalità di svolgimento dei rapporti dei riders in relazione alla piattaforma e all’algoritmo che ne permette il funzionamento, ha constatato come, invece, non sia affatto necessario trovare dei nuovi parametri di valutazione, potendo bene trovare applicazione anche quelli tradizionalmente utilizzati dalla giurisprudenza, alla luce della definizione di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c.

Difatti, ad avviso del Giudice di Milano, già i criteri “tradizionali” di valutazione, applicati al software, sono sufficienti a determinare ogni decisione in materia di qualificazione del rapporto, essendo i controlli e le direttive impartite dal software utilizzato dalla società addirittura ben più stringenti e penetranti rispetto al lavoro che non utilizza tale strumento. Ad esempio, la decisione cita alcuni aspetti emersi nell’ambito del giudizio, quali: la circostanza secondo cui non fossero i riders a decidere quali consegne effettuare e quando, dato che i criteri di assegnazione delle consegne utilizzati dall’algoritmo comunque non tenevano in considerazione le preferenze dei singoli individui (peraltro, stando alla decisione, senza possibilità di poter sindacare nel merito le assegnazioni); il fatto che i fattorini dovessero – prima di iniziare ogni volta i turni di consegna – attendere un periodo di tempo in cui erano a disposizione del datore; l’obbligo di utilizzo della app da installare sugli smartphone; il costante assoggettamento dei riders ai criteri di valutazione da parte dei clienti (con il costante rischio di essere esclusi dall’utilizzo della piattaforma in caso di valutazioni negative) nonché a stringenti vincoli contrattuali sulle modalità di prestazione da accettare tra i termini di utilizzo della app medesima.

Determinante è poi, sul punto, la valutazione sulla libertà del singolo rider di accettare o meno la consegna da fare richiesta di volta in volta dalla piattaforma app.

A riguardo, il Tribunale di Milano, allineandosi sostanzialmente al precedente del Tribunale di Palermo del 2020, ha ritenuto che, seppur formalmente liberi di lavorare o meno ed, eventualmente, di scegliere quando farlo, i riders avevano così tali e tante conseguenze negative in caso di mancata connessione alla piattaforma (in aggiunta al fisiologico mancato guadagno che non avrebbero ricevuto, appunto, non lavorando) che, in concreto, non si potevano affatto ritenere effettivamente liberi di farlo, al pari dei lavoratori subordinati.

Per tale ragione e dopo aver valutato anche tutti gli ulteriori elementi del caso prima elencati, il Giudice di Milano ha quindi ritenuto applicabili al caso di specie le protezioni di cui alle normative in materia di anti-delocalizzazioni e di licenziamenti collettivi, oltre alla stessa disciplina in materia sindacale e, soprattutto, di condotta anti-sindacale (ovvero, proprio il tipo di procedimento utilizzato dalle organizzazioni sindacali per convenire in giudizio la società), respingendo solamente la domanda in materia di violazione degli obblighi periodici di consultazione ai sensi del CCNL, non applicando la società convenuta alcun CCNL ed, essendo, pertanto, tali obblighi in concreto non eseguibili in mancanza di tale presupposto.

A tal riguardo, prosegue il Giudice, a tale conclusione (ovvero, l’applicabilità dell’intera disciplina in materia di lavoro subordinato, senza limitazioni o distinzioni) si sarebbe comunque arrivati anche nel caso in cui, nel caso di specie, il giudice non avesse proceduto ad una riqualificazione “piena” del rapporto, ma avesse utilizzato la norma di cui all’art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015 per ritenere i riders collaboratori etero-organizzati comunque soggetti alla intera disciplina prevista per il lavoro subordinato. Sotto tale profilo, infatti, il decreto di Milano supera le precedenti pronunce che avevano sancito l’applicabilità solo di taluni istituti propri del lavoro subordinato, sancendo l’applicabilità di tali regole nella loro interezza, senza eccezioni.

In questo senso, segnaliamo l’ancora più recente decisione del Tribunale di Milano dello scorso 19 ottobre 2023, che ha confermato l’impianto del decreto oggi in commento, affermando l’applicabilità delle regole del lavoro subordinato anche sotto il profilo previdenziale.

Ciò detto, prescindendo comunque dai tecnicismi della normativa e dalle categorizzazioni teorizzate dalla dottrina, risulta evidente l’affermazione di un orientamento giurisprudenziale sempre più consolidato nel senso di garantire ai riders tutte le tutele proprie del lavoro subordinato, ciò anche in linea con i precedenti dei tribunali stranieri e di quelli europei. Occorre dunque prendere atto di tale valutazione e tenere in considerazione i ragionamenti sottesi a tali decisioni in casi analoghi.

Riferimenti normativi:

Art. 28Stat. Lav.

Art. 1, comma 224L. n. 234/2021

L. n. 223/1991

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