Penale

L’attività di verifica dei crediti nel procedimento di prevenzione conferisce al giudice delegato poteri officiosi di accertamento

La sentenza 15 novembre 2023, n. 46099 della Corte di cassazione penale opera una approfondita ricognizione dei poteri come competono al giudice delegato nell’udienza di verifica della domanda di insinuazione proposta dai creditori del proposto o, comunque, dei cespiti confiscati (nella specie società e consorzi). In particolare, la pronuncia riconosce al giudice la facoltà di dichiarare la prescrizione dei crediti azionati (nella specie da due legali per competenze professionali allegate come non saldate), contrariamente a quanto accade nelle procedure concorsuali in cui è onere del curatore provare la sussistenza di fatti estintivi o modificativi della pretesa creditoria. Dall’esclusione del proposto nella fase della verifica dei crediti e dalla mancata assegnazione all’amministratore dei beni confiscati della rappresentanza dello stesso discende la non deferibilità da parte del credito, cui la prescrizione sia stata opposta, di deferire giuramento decisorio.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Corte cost. 28/5/2015, n. 94

Corte cost. 27/2/2019 n. 26

Cass. pen., Sez. V, 24/11/2016, n. 1841 dep. 2017

Cass. pen., Sez. I, 20/3/2018 n. 16145

Cass. pen., Sez. II, 1/4/2022, n. 24311

Cass. civ., Sez. Un., 29/8/2023 n. 25442

Cass. pen., Sez. Un., 22/6/2023, n. 40797

Difformi

Non si rinvengono precedenti

La vicenda processuale posta alla valutazione della Cassazione trae origine dal decreto con cui la Sezione misure di prevenzione (SMP) del tribunale di Roma, ha rigettato le opposizioni proposte da due legali avverso il provvedimento con cui il giudice delegato non aveva ammesso i crediti professionali vantati dai ricorrenti (nei confronti di società oggetto di confisca), sul rilievo officioso dell’intervenuta prescrizione presuntiva dei crediti ai sensi dell'art. 2956, n. 2, c.c.

La questione risolta offre l’occasione per fare un punto aggiornato sulle relazioni tra procedure concorsuali ordinarie e procedimento di prevenzione e sulla sorte, sempre precaria, dei crediti spettanti ai terzi nei confronti delle società oggetto di ablazione antimafia.

Il tribunale aveva convalidato il convincimento del giudice delegato ritenendo legittimo il rilievo d'ufficio della prescrizione presuntiva alla luce della natura pubblicistica del procedimento di accertamento dei crediti in sede di confisca di prevenzione. La vicenda presentava, inoltre, una propria specifica declinazione in forza del fatto

a) che i due legali avevano deferito giuramento decisorio e la relativa richiesta era stata rigettata non essendo proposto, amministratore giudiziario parti del procedimento per l'ammissione al passivo;

b) che le fatture pro-forma, inviate nel tempo, non recavano alcuna espressa intimazione ad adempiere e, quindi, erano prive di efficacia interruttiva.

La Cassazione ha rigettato i ricorsi rilevando, quanto al primo profilo della rilevabilità d’ufficio della prescrizione, la peculiare natura del giudizio di accertamento dei crediti dei terzi caratterizzato dell'obiettivo prevalente della realizzazione dell'effettività della misura reale bilanciato da una soglia minima di tutela dei terzi alla stregua del solo Codice antimafia - ai sensi del secondo periodo del primo comma dell'art. 45 - e rimessa al giudice della prevenzione.

Il bilanciamento, come noto, è realizzato dagli artt. 52 ss. Codice che, traslando le movenze delle procedure fallimentari, affida al giudice della prevenzione il controllo sull'eventuale utilizzo, da parte del proposto, di prestanomi che vantino fittiziamente diritti sui beni soggetti alla misura reale, in modo da riottenerne il controllo. Il punto era stato analiticamente preso in considerazione della Consulta la quale aveva ricordato come il sistema di controllo rafforzato fosse caratterizzato dall’esigenza di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione e tanto valeva a rendere legittime costituzionalmente le disposizioni di cui all'art. 52 quanto ai crediti dei terzi.

Questa specialità del procedimento connota la struttura processuale del giudizio di verifica che presuppone pur sempre l’istanza del creditore di ammissione - con il necessario corredo degli elementi a sostegno della stessa ex art. 58, comma 2) - ma sottopone la domanda a un criterio di accertamento differente da quello del giudizio civile ordinario dei poteri officiosi riconosciuti al giudice della prevenzione dall’art. 59, comma 1. Il cui testo, invero, descrive l’ampiezza del controllo giudiziale e le movenze ex officio del relativo procedimento (“All'udienza fissata per la verifica dei crediti il giudice delegato, con l'assistenza dell'amministratore giudiziario e con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero, assunte anche d'ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell'esclusione”) rese giustificabili dalla detta prevalenza dell’interesse pubblicistico il quale ha una precisa ricaduta nell’art. 58, comma 4, secondo cui “la domanda non interrompe la prescrizione né impedisce la maturazione di termini di decadenza nei rapporti tra il creditore e l'indiziato o il terzo intestatario dei beni”in evidente contrapposizione con la regola civilistica ordinaria e con l’implicita indicazione che la domanda di verifica non è diretta nei confronti del soggetto proposto.

Da questo postulato discende, come vedremo, la soluzione anche agli ulteriori profili dedotti dai ricorrenti anche a proposito della deferibilità del giuramento decisorio, mezzo di prova processuale volto, appunto, a superare l’eccezione di prescrizione da parte del debitore; in questa sequenza procedimentale addirittura escluso dall’udienza di verifica dei crediti (art. 57, comma 2) la cui partecipazione spetta ai soli creditori che abbiano depositato tempestivamente le "istanze di accertamento dei rispettivi diritti" e, facoltativamente, al p.m. e all'Agenzia dei beni confiscati (art. 59, comma 1 e 2).

L'originario debitore, dunque, non riveste il ruolo di parte nell'ambito del procedimento di verifica dei crediti in caso di confisca da lui subita e tanto in ragione dell’evidente considerazione che le ragioni dei creditori sono destinate a realizzarsi sui beni che non appartengono più all'originario debitore, in quanto acquisiti per effetto della confisca al patrimonio dello stato (art. 45, comma 1).

Il ragionamento della Cassazione, come della Consulta invero, appare appannato da un evidente pregiudizio che ha sempre accompagnato la posizione dei creditori nel procedimento di prevenzione ossia il convincimento di una sorta di consilium fraudis tra questi e il proposto. Laddove, piuttosto, non si deve dimenticare che proprio il proposto - anche nella prospettiva di un’eventuale revoca della misura ablativa - potrebbe addurre circostanze idonee a neutralizzare la pretesa dei creditori istanti (pagamenti in nero, compensazioni, accolli).

A ciò si aggiunga che, al contrario di quanto avviene nel giudizio fallimentare per il curatore fallimentare (artt. 42, comma 1, e 43 R.D. 16 marzo 1942 n. 267; e attualmente nel procedimento di liquidazione giudiziale: artt. 142, comma 1 e 143, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), l'amministratore giudiziario non si sostituisce al proposto, non ne assume la rappresentanza donde il venir meno di qualsiasi presenza del proposto in questa delicata fase che può vedere anche il depauperamento dei beni confiscati senza alcuna collusione del proposto.

Si segna, così, una sorta di inestinguibile distinzione nella posizione dei creditori (ma anche dell’originario debitore) tra procedura concorsuale e procedimento di prevenzione che condividono solo la caratteristica data della limitata efficacia dell'accertamento compiuto in ordine ai crediti da ammettere, rilevante ai soli fini del "concorso" (nella procedura del fallimento e della liquidazione giudiziale, come nella sede della liquidazione dei beni confiscati) con la formazione di una sorta di “giudicato endoconcorsuale”, secondo la migliore dottrina comunque non opponibile al debitore in eventuali diversi giudizi.

Mentre imponente è l’onere probatorio che grava sui creditori nelle due procedure: mentre nella legge fallimentare (art. 95, comma 1, R.D. 16 marzo 1942 n. 267; ed oggi nel vigente codice della crisi d'impresa, art. 203, comma 1, seconda parte, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) è onere del curatore allegare i fatti estintivi, modificativi ed impeditivi del diritto vantato dal creditore, e di proporre le relative eccezioni, nulla di tutto ciò ha riscontro nel procedimento di prevenzione. Con l’inevitabile conseguenza che il giudice del fallimento e della liquidazione giudiziale «decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati» (art. 95, comma 3, R.D. 267/1942; art. 203, comma 3, citato), laddove il giudice della prevenzione, «assunte anche d'ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell'esclusione» (art. 59, comma 1).

Marcata la distanza tra i due procedimenti le ricadute sulla vicenda romana sotto esame sono inevitabili, poichè allineate - annota la sentenza in commento - al principio secondo cui i poteri d'ufficio sono i soli “idonei ad evitare che il prevenuto precostituisca creditori di comodo per rientrare surrettiziamente nella disponibilità della ricchezza illecita, vanificando l'efficacia della confisca, poteri che comprendono, in difetto della parte processuale titolare del diritto di eccepire cause estintive o modificative del credito (così come dell'eventuale figura chiamata a rappresentare nel giudizio il debitore), la possibilità per il giudice di fondare la propria decisione su cause estintive, modificative o impeditive del diritto di credito azionato”.

Quindi del tutto corretta la conclusione del tribunale circa la rilevabilità d’ufficio della prescrizione presuntiva ex art. 2956, comma 1, n. 3) c.c. che peraltro si atteggia quale presunzione legale di pagamento (Cass. civ., n. 25838 del 14/10/2019) che rende viepiù il credito meritevole di esclusione.

Infine, e a questo punto quale mero corollario, l'assenza nel procedimento di prevenzione del debitore e di un soggetto che possa tener luogo della veste processuale del proposto, esclude la praticabilità del ricorso al giuramento decisorio da parte del creditore che si sia vista opporre la prescrizione presuntiva del credito azionato; in altri termini - ai sensi dell’art. 2736 c.c. - difetta la «parte», cui è possibile deferire il giuramento, poichè tale qualifica compete solo a colui che ha proposto o nei cui confronti sia stata proposta la domanda giudiziale, come di recente chiarito dalle Sezioni unite civili le quali hanno ammesso la possibilità di deferire il giuramento decisorio al curatore (non de ventate, poiché terzo rispetto al rapporto obbligatorio originario e quindi al fatto del pagamento, ma soltanto de scientia o de notitia), in quanto "al curatore sia pacificamente riconosciuta la qualità di parte processuale, che può eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere dal creditore nel giudizio di accertamento dello stato passivo".

La sentenza annotata, in forza della dedotta assenza del proposto, deduce anche l’impossibilità pratica di deferire il giuramento decisorio a costui e la circostanza che all’udienza di verifica “non sono ammessi incombenti istruttori né tantomeno l'assunzione di prove orali, considerata la natura essenzialmente documentale delle prove richieste per la dimostrazione dei presupposti per l'ammissione dei diritti credito”. Invero, nulla potrebbe escludere che la stessa procedura di verifica possa beneficiare di dati, notizie, informazioni che il debitore/proposto possa disporre per neutralizzare la pretesa creditoria e che questi elementi possano essere “cartolarizzati” dal giudice nel corso della sua attività di accertamento.

In ogni caso la “stella polare” del ragionamento della Cassazione è chiaro: non è all’opera alcuna “presunzione di malafede” a carico dei creditori, ma incoercibile è l’esigenza di verifica dei presupposti dimostrativi dell'estraneità dei diritti di credito rispetto all'attività illecita (anteriorità del titolo, assenza di strumentalità, buona fede del terzo) e, per assicurare questo obiettivo, è indispensabile l'attribuzione al giudice della prevenzione dei ricordati poteri officiosi, funzionali all'accertamento dell'effettività di quei presupposti.

In ogni caso il creditore non ammesso, conclude la Cassazione, “atteso il ristretto ambito di efficacia dell'accertamento condotto dal giudice delegato e dal tribunale della prevenzione (arg. ex art. 58, comma 4, D.Lgs. n. 159/2011) resta titolare del diritto di agire nei confronti del proprio debitore ed in quella sede di conseguire il riconoscimento del diritto di credito, poiché a differenza di quanto avveniva nel fallimento (e adesso avviene in sede di liquidazione giudiziale) le procedure per la soddisfazione dei creditori in caso di sequestro e confisca dei beni del debitore non hanno ad oggetto (necessariamente) l'intero patrimonio del debitore; sicché, qualora nel patrimonio del debitore vi siano beni non sottoposti a sequestro e confisca, il creditore conserva il diritto di agire direttamente nei confronti del debitore per soddisfarsi sui restanti suoi beni in sede di esecuzione forzata individuale (o concorsuale)”.

Riferimenti normativi:

D.Lgs. n. 159/2011

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