Penale

Illegittimo il sequestro dei beni dell’indagato per corruzione per un ammontare superiore alla tangente incassata

Pronunciandosi su un caso “lituano” in cui si discuteva della legittimità delle decisioni delle autorità giudiziarie che avevano, per quanto qui di interesse, disposto il sequestro dei conti bancari di un soggetto, indagato per corruzione, compresi i suoi redditi futuri, e della sua automobile per circa due anni, senza tener conto delle sue condizioni di salute e personali, per un ammontare superiore rispetto all'importo corrispondente alla richiesta risarcitoria presentata dalla persona offesa (Ministero della Salute), la Corte EDU ha ritenuto all'unanimità, che vi era stata la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, oltre ad una serie di violazioni ulteriori della CEDU (Corte EDU, Sez. II, 19 dicembre 2023, n. 14139/21 – N. c. Lituania).

Il caso

Il caso, deciso il 19 dicembre 2023, traeva origine dal ricorso (n. 14139/21) contro la Lituania, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione e.d.u., da Š.N., un cittadino lituano residente a Vilnius.

Dal 2013 al 2019 è stato presidente e successivamente membro del consiglio della Associazione lituana dei malati di cancro. È stato consigliere giuridico del presidente della Lituania nel 2014-2016. Ha inoltre fatto parte dei consigli di amministrazione di diversi enti pubblici operanti principalmente nel settore della sanità pubblica. Nel febbraio 2020, a causa della diffusione del virus covid-19, in Lituania è stato dichiarato lo stato di emergenza e il blocco nazionale. Le autorità si sono affrettate per garantire le forniture mediche necessarie per affrontare la pandemia. Durante questo periodo, il ricorrente aveva negoziato l'acquisto di test covid-19 per la Lituania e stipulato un contratto con un'azienda farmaceutica spagnola per ricevere 1 euro (EUR) per ciascuno dei test covid-19 dell'azienda venduti al governo lituano. Sono stati acquistati 303.360 test per un costo complessivo di 5.157.120 euro. Il ricorrente veniva pagato entro il mese di giugno 2020.

Il 21 luglio 2020 il Servizio investigativo speciale informava il ricorrente di essere sospettato di accuse di corruzione e lo ha posto in custodia cautelare. Tale decisione era stata adottata a causa del presunto pericolo di fuga o di inquinamento probatorio, ed era stato eseguito d’urgenza essendo impossibile ottenere un ordine di carcerazione da parte del tribunale. La sua abitazione e la sua auto venivano perquisite in virtù di un decreto del tribunale.

Il 22 luglio 2020, su richiesta del pubblico ministero, il giudice delle indagini preliminari disponeva la misura degli arresti domiciliari nei confronti del ricorrente dalle 22:00 alle 6:00 del mattino, con divieto di comunicare con determinate persone e di avvicinamento al Ministero della Salute o a qualsiasi istituzione sotto la sua egida (va notato che all'epoca era in cura per il cancro). Il ricorrente era stato poi rimesso in libertà dalla sua custodia cautelare dopo circa 33 ore in totale. Egli si era lamentato della sua detenzione provvisoria, ma il procuratore capo aveva stabilito che ciò era consentito anche senza un’ordinanza del tribunale in virtù dell'articolo 140 § 2 del codice di procedura penale. L’uomo aveva interposto appello davanti all’A.G. senza successo. Aveva presentato ricorso anche contro l'ordinanza di custodia cautelare. Nell'agosto 2020 gli era stato consentito di entrare negli ospedali pubblici amministrati del Ministero della Salute per motivi di cura e successivamente rilasciato dagli arresti domiciliari.

Nel frattempo, nel luglio 2020, il pubblico ministero aveva ordinato il sequestro dei conti bancari e dell'auto del ricorrente a garanzia del soddisfacimento del profitto del reato, sequestro dunque finalizzato alla confisca anche in forma “allargata” o “estesa”. A seguito delle sue istanze, il pubblico ministero gli aveva consentito di utilizzare 607 euro al mese per le spese personali. Si era quindi rivolto al tribunale, lamentando che tale importo non copriva i suoi bisogni primari, che richiedevano oltre 6.000 euro al mese, sostenendo che il sequestro di beni di valore superiore al valore della presunta tangente era sproporzionato. L’impugnazione non aveva però avuto successo. Nel febbraio 2021 i giudici avevano aumentato l'importo di cui poteva usufruire a 1.000 euro al mese, cifra che egli considerava comunque insufficiente. Solo il 25 marzo 2022 l’autorità giudiziaria aveva limitato il sequestro dei fondi al presunto importo della tangente.

Il 21 luglio 2020 il Servizio investigativo speciale divulgava un comunicato stampa in cui nominava il ricorrente, rivelando parte della sua storia lavorativa e dettagliando le accuse contro di lui. Ne era seguita un’ampia copertura mediatica. Anche personaggi pubblici di alto livello, tra cui il presidente della Lituania, il ministro della Sanità e diversi membri del Seimas, avevano commentato il caso sui media, così come il pubblico ministero. Nell'agosto 2020 il ricorrente era stato avvertito dal pubblico ministero di non rivelare alcuna informazione sulle indagini preliminari a persone non autorizzate. Si era però lamentato, inutilmente, con la procura e poi con i tribunali di questo squilibrio nei media, sostenendo che poiché il pubblico ministero stava rendendo pubbliche le informazioni, gli si sarebbe dovuta dare la possibilità di replicare.

Nel maggio 2023 il ricorrente era stato assolto da tutte le accuse dal tribunale di primo grado. Il caso risulta tuttora pendente davanti alla corte d'appello.

Il ricorso e le norme violate

Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi sugli articoli 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 5 § 1 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 6 § 2 (presunzione di innocenza), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 10 (libertà di espressione) della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (tutela della proprietà), il ricorrente si lamentava di essere stato interdetto dall’accedere alle cure ospedaliere nonostante fosse affetto da cancro; che la sua detenzione era stata illegale e non necessaria; che il Presidente, il Ministro della Sanità e diversi membri del Seim avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche che implicavano la sua colpevolezza; che le autorità inquirenti avevano divulgato ai media informazioni eccessive sul caso, compreso il suo nome completo, danneggiando così la sua reputazione; che era stato ufficialmente avvertito di non divulgare informazioni sulle indagini preliminari, anche se molte informazioni erano già di dominio pubblico; infine, che il sequestro dei beni di sua proprietà era stato sproporzionato.

Il ricorso veniva depositato presso la Corte europea dei diritti dell'uomo il 15 febbraio 2021.

La decisione della Corte di Strasburgo

La Corte di Strasburgo ha anzitutto esaminato la censura sollevata ai sensi dell’art. 5CEDU.

Non vi era controversia tra le parti sul fatto che dalle ore 8.01 del 21 luglio 2020 alle ore 17.15 del 22 luglio 2020 il ricorrente era stato posto in stato di arresto e quindi privato della libertà. Quella custodia era stata decisa dal Servizio investigativo speciale (sulla base dell'articolo 140 § 2 del codice di procedura penale) senza un ordine del tribunale. L'articolo 140 § 2 del codice di procedura penale permetteva alle autorità di polizia di porre qualcuno in stato di arresto fino a 48 ore senza un ordine del tribunale laddove, tra le altre condizioni, non era possibile ottenere urgentemente tale ordine. Nel caso del ricorrente, nessuna delle autorità o dei tribunali nazionali aveva fornito una spiegazione adeguata del motivo per cui non era stato possibile ottenere un ordine del tribunale date le circostanze. Inoltre, anche la legge lituana richiedeva la necessità di una motivazione per giustificare la necessità di un ordine di arresto di qualsiasi durata per impedire al sospettato di fuggire o di interferire nel procedimento, ma le autorità non avevano giustificato con argomentazioni pertinenti le censure avanzate dal ricorrente con le quali aveva contestato la necessità del suo arresto. Per tali ragioni, l’arresto del ricorrente non era conforme alla legge e aveva violato il suo diritto alla libertà e alla sicurezza.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 8CEDU, la Corte ha ammesso che fornire informazioni al pubblico sulla vicenda abbia contribuito a un dibattito di interesse pubblico, in questo caso riguardante l’acquisto di test Covid-19. Tuttavia, ha ritenuto rilevante il fatto che il ricorrente non era stato un politico o non ricopriva una carica pubblica all'epoca (era stato docente universitario, amministratore di una società privata e consulente autonomo). Il suo precedente ruolo pubblico non lo aveva reso, per la Corte, paragonabile a un politico o a un pubblico ufficiale, mentre la sua notorietà non era tale da giustificare la divulgazione della sua identità. Inoltre, la divulgazione della sua identità aveva notevolmente aumentato l’interesse dei media per il caso. Non aveva avuto modo di proteggere la sua identità quando era stato scortato in tribunale da agenti di polizia con le braccia apparentemente ammanettate dietro la schiena. Le immagini di quella “traduzione” erano state poi pubblicate, portandolo all'attenzione del pubblico. Nel complesso, le informazioni fornite e il modo in cui erano state rilasciate dalle autorità inquirenti non erano state giustificate dalla necessità di informare il pubblico e avevano causato un grave danno alla reputazione del ricorrente. C'era stata quindi violazione del suo diritto al rispetto della vita privata.

Per quanto poi qui di interesse, con riferimento alla violazione dell’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU (protezione della proprietà), la Corte ha ritenuto che il sequestro di tutti i conti bancari del ricorrente, contenenti 350.000 euro (per un periodo non aveva potuto accedere ad un centesimo di quanto depositato) e di qualsiasi reddito futuro, nonché della sua automobile, doveva essere considerata misura eccessivamente dura e restrittiva. Quella misura era stata disposta senza alcuna considerazione per le sue esigenze, ed era stato rivalutata solo a seguito delle sue stesse istanze alla Procura.

La Corte ha osservato che quando il ricorrente aveva chiesto che gli fossero rilasciati mensilmente 6.000 euro per le sue necessità, compresi i farmaci contro il cancro e per la difesa legale nel procedimento penale in corso, le autorità si erano rifiutate senza fornire motivazioni. I tribunali nazionali avevano giustificato le restrizioni con la possibilità di future azioni civili che coinvolgessero o confiscassero quella proprietà (le azioni civili possono essere presentate entro un termine lungo secondo la legge lituana), dunque per il pericolo di dispersione delle somme. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il sequestro dei beni del ricorrente e di tutte le entrate future era stato disposto senza una valutazione della proporzionalità della misura e non aveva assicurato un giusto equilibrio tra l'interesse pubblico e i suoi diritti fondamentali. C’era stata quindi violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

Infine, quanto agli ulteriori articoli della CEDU di cui il ricorrente aveva lamentato la violazione, la Corte ha anzitutto ritenuto che la restrizione all'ingresso negli ospedali doveva aver causato stress e ansia al ricorrente in considerazione della sua diagnosi di cancro. Tuttavia, ha ritenuto che la situazione non fosse stata sufficientemente grave da giustificare l’applicazione dell’articolo 3, poiché la restrizione era stata revocata entro tre settimane e il ricorrente non aveva dimostrato che ciò avesse avuto un effetto sulla sua salute. Non vi era stata quindi alcuna violazione di tale disposizione.

La doglianza del ricorrente ai sensi dell'articolo 6 § 2 è stata invece dichiarata inammissibile per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Il ricorrente non aveva confutato la tesi avanzata dal Governo secondo cui egli avrebbe potuto intentare una causa civile per la tutela del suo onore e della sua dignità contro lo Stato nei confronti dei personaggi pubblici che si erano espressi lasciando intendere che lui era colpevole: Il non averlo fatto, quindi, rendeva la domanda improcedibile.

Infine, per quanto concerneva la dedotta violazione dell’ art. 10, la Corte ha riscontrato una violazione. Ha ritenuto che, poiché una parte significativa delle informazioni in questione era già di dominio pubblico e dei media, spettava alle autorità fornire una spiegazione più dettagliata al ricorrente su ciò che poteva o non poteva rivelare. La Corte ha ribadito la necessità di obblighi di non divulgazione nelle indagini penali in generale, ma ha ritenuto che le restrizioni in questo caso non si fossero dimostrate proporzionate o necessarie in una società democratica.

All’esito, pertanto, la Corte EDU ha disposto che la Lituania dovesse corrispondere al ricorrente, a titolo di equa soddisfazione ex art. 41CEDU, la somma di euro 768,94 a titolo di danno patrimoniale e di euro 26.000 a titolo di danno morale.

I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi

Del tutto particolare la questione esaminata dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame, conclusosi con l’accertata violazione, per quanto qui di interesse, del diritto alla protezione della proprietà, tutelato dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU, in una vicenda che aveva visto sfortunato protagonista un uomo che, durante il periodo della pandemia da Covid-19, si era reso intermediario tra il Ministero della salute lituano e un’azienda spagnola, per la fornitura di kit antigenici rapidi per la diagnosi del virus, percependo la somma di 1 euro a kit.

Era stato accusato di corruzione e arrestato, ma rilasciato qualche giorno dopo, senza tuttavia che l’arresto fosse adeguatamente giustificato dall’asserito pericolo di fuga o di inquinamento probatorio. La notizia era stata data in pasto ai media, dipingendolo come corrotto e, soprattutto, facendolo apparire come colpevole. Nonostante ciò, gli era stato vietato di parlare in pubblico dei fatti per i quali le indagini erano in corso, così privandolo della possibilità di “dire la sua” alla stampa ed ai mass media, senza alcun ragionevole motivo.

Nel frattempo, l’autorità giudiziaria gli aveva sequestrato tutti i beni, privandolo anche di quanto necessario per curarsi dalla grave malattia di cui era affetto, sequestro ritenuto del tutto sproporzionato dalla Corte EDU in quanto eccedente l’importo della presunta tangente che era stato accusato di aver incamerato illegalmente. E proprio su quest’ultimo punto, su cui verte il presente contributo, i giudici europei dei diritti umani sono stati particolarmente (e giustamente) severi con lo Stato lituano. L’aver infatti privato il ricorrente di tutti i suoi averi, senza valutare le personali esigenze di vita e di salute, eccedendo peraltro l’importo del presunto profitto conseguito dell’illecito asseritamente commesso (ricordiamo che il ricorrente è stato assolto in primo grado e che pende attualmente l’appello), viola(va) il principio di proporzionalità, con conseguente ingiusto sacrificio del diritto di proprietà del ricorrente.

Si tratta di questione che, al di là del caso concreto, presenta interesse anche per il nostro ordinamento che, tuttavia, grazie all’illuminata giurisprudenza della nostra di Cassazione, impedisce, nel nostro sistema, che simili situazioni possano verificarsi. Ad esempio, è pacifico nel nostro ordinamento che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, il soggetto destinatario del provvedimento ablativo, nel caso di sproporzione tra il valore economico dei beni da confiscare indicato nel decreto di sequestro e l'ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza al fine di ottenere una riduzione della garanzia, presentando apposita richiesta al PM, al GIP, ovvero appello al tribunale del riesame (tra le tante: Cass. pen., Sez. III, n. 10567 del 12/7/2012, dep. 2013, CED Cass. 254919 – 01).

Si è poi aggiunto, proprio al fine di mantenere il sacrificio patrimoniale nel tempo più limitato possibile, che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, il necessario rispetto del canone di proporzionalità non esaurisce la sua rilevanza nel divieto di aggredire beni di valore superiore al profitto confiscabile, ma impone altresì di considerare se il vincolo, pur legittimamente adottato, si protragga nel tempo eccedendo quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito di garantire l'effettività dell'ablazione in attesa della definizione del giudizio di merito, non potendo la misura - pur in assenza di un limite di durata analogo a quello stabilito per il sequestro probatorio dall'art. 262 c.p.p. - risolversi in un'esasperata compressione dei diritti costituzionalmente presidiati di proprietà e di libera iniziativa economica privata, privando il soggetto ad oltranza dei propri beni (Cass. pen., Sez. VI, n. 1645 del 21/11/2022, dep. 2023, CED Cass. 284158 – 01, relativo a fattispecie di sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente del profitto di reati tributari, protrattosi per oltre nove anni).

Sul punto è peraltro assai chiara la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

La Corte non dubita mai infatti che la confisca dei beni altrui impegna la responsabilità dello Stato e costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della proprietà. Si applica pertanto l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda, mutatis mutandis; K. c. Turchia, 16/3/2021, n. 21392/08 e altri 2, § 142). La confisca dei beni ordinata nel corso di un procedimento penale è considerata dalla Corte una misura comportante il controllo dell'uso dei beni, rientrando quindi nell'ambito di applicazione del secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda A. G. c. Azerbaigian, 2/2/2023, n. 30352/11, § 53; C. c. Romania, 28/2/2023, n. 911/16, § 48, e i casi ivi citati).

La Corte ricorda poi che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione richiede che qualsiasi ingerenza da parte di un'autorità pubblica nel rispetto dei beni sia legittima. I principi generali relativi al requisito di legalità sono stati riassunti nella sentenza L. c. Slovenia [GC], 11/12/2018, n. 36480/07, §§ 94-95, e i casi ivi citati). La Corte ricorda inoltre che il principio di legalità presuppone anche una certa qualità delle disposizioni applicabili del diritto interno. Le norme giuridiche su cui si basa l’ingerenza dovrebbero essere sufficientemente accessibili, precise e prevedibili nella loro applicazione. In particolare, una norma è “prevedibile” quando prevede una misura di tutela contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri (ibid., § 95). Devono, inoltre, esistere limiti al potere del pubblico ministero di sequestrare i beni dell'indagato nel corso del procedimento penale (cfr. Zlínsat, spol.s rov c. Bulgaria, 15/6/2006, n.57785/00, § 99), come l'obbligo di stabilire un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i beni ottenuti attraverso la presunta attività criminale e i beni sequestrati, o quello di assicurare il giusto equilibrio tra, da un lato, la necessità di garantire un’azione civile o l'eventuale confisca dei beni e, dall'altro, la capacità dell'indagato di soddisfare i propri bisogni primari (confrontare N. e altri c. Bulgaria (dec.), 10/9/2013, n. 663/11, § 56).

In assenza di tali elementi, la Corte nutre dubbi sul fatto che il diritto interno offra una protezione adeguata contro l’arbitrarietà (si veda, mutatis mutandis: M. c. Lettonia, 11/6/2020, n. 17483/10, § 73; I. c. Croazia, 24/6/2021, n.77668/14, § 74). Comunque sia, la Corte ritiene che la questione della qualità della legge sia secondaria rispetto alla questione della necessità della misura impugnata (si veda, mutatis mutandis: Sekmadienis Ltd. c. Lituania, 30/1/2018, n. 69317/14, § 68, e la giurisprudenza ivi citata).

Se, poi, l'ingerenza statale cerca di garantire la possibilità di soddisfare una pretesa civile nel procedimento penale o la possibilità di ottenere la confisca del profitto, qualora si accerti che alcuni dei beni siano ottenuti illegalmente, la Corte è solita ammettere che si tratta di scopi legittimi nell’interesse pubblico (si veda C. c. Romania, 5/4/2022, n. 54491/14, § 73, e C., sopra citata, § 52). Quanto, poi, al requisito della “proporzionalità”, per la Corte EDU un'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni altrui deve sempre trovare un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e le esigenze della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. In particolare, deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito da qualsiasi misura privante dei suoi beni (si veda, tra molte altre sentenze: V. e P. c. Lettonia [GC], 25/10/2012, n. 71243/01, § 108). Sul punto, la Corte ritiene che il sequestro di tutti i beni e di qualsiasi reddito futuro, oltre che dei mezzi di locomozione, è, per sua natura, una misura dura e restrittiva, capace di pregiudicare in misura significativa i diritti di chi ne è colpito (si veda S. c. Malta, 3 marzo 2022, n. 51853/19, § 114, e la giurisprudenza ivi citata).

La Corte ritiene che spetti alle autorità nazionali valutare adeguatamente le circostanze individuali del ricorrente e i documenti giustificativi a sostegno delle richieste di assicurare il minimo vitale (si veda, mutatis mutandis: A. c. Bulgaria, 7/11/2019, n. 32644/09, § 103). A questo proposito, la Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza consolidata, il suo compito non è normalmente quello di controllare in abstracto le leggi e le prassi pertinenti, ma di determinare se il modo in cui sono state applicate nei confronti del ricorrente ha dato luogo ad una violazione della Convenzione (si veda: R. Z. c. Russia [GC], 4/12/2015, n. 47143/06, § 164).

La Corte non ammette che il sequestro di tutti i beni e di tutti i suoi redditi futuri, senza stabilire un ragionevole rapporto di proporzionalità tra questi e l’importo ottenuto attraverso la presunta attività criminale (il profitto), rispetti il giusto equilibrio richiesto tra gli interessi concorrenti (vedi, mutatis mutandis, D. c. Croazia, 17/5/2016, n. 38359/13, §§ 79-80). Ove tale misura dia chiaramente la precedenza all’interesse pubblico ad ottenere la garanzia del proprio credito (si veda, mutatis mutandis: JGK Statyba Ltd e G. c. Lituania, 5/11/2013, n. 3330/12, § 143), tale rapporto non è ovviamente rispettato e la misura è illegittima con violazione dell’Articolo 1 del Protocollo n. 1 CEDU.

Esito del ricorso:

Accolto parzialmente

Precedenti giurisprudenziali:

Corte e.d.u., K. c. Turchia, 16 marzo 2021, n. 21392/08 e altri 2

Corte e.d.u., A. G. c. Azerbaigian, 2 febbraio 2023, n. 30352/11

Corte e.d.u., C. c. Romania, 28 febbraio 2023, n. 911/16

Corte e.d.u., L. c. Slovenia [GC], 11 dicembre 2018, n. 36480/07

Corte e.d.u., Zlínsat, spol.s rov c. Bulgaria, 15 giu-gno 2006, n.57785/00

Corte e.d.u., N. e altri c. Bulgaria (dec.), 10 settembre 2013, n. 663/11

Corte e.d.u., M. c. Lettonia, 11 giugno 2020, n. 17483/10

Corte e.d.u., I. c. Croazia, 24 giugno 2021, n.77668/14

Corte e.d.u., Sekmadienis Ltd. c. Lituania, 30 gennaio 2018, n. 69317/14

Corte e.d.u., C. c. Romania, 5 aprile 2022, n. 54491/14

Corte e.d.u., V. e P. c. Lettonia [GC], 25 ottobre 2012, n. 71243/01

Corte e.d.u., S. c. Malta, 3 marzo 2022, n. 51853/19

Corte e.d.u., A. c. Bulgaria, 7 novembre 2019, n. 32644/09

Corte e.d.u., R. Z. c. Russia [GC], 4 dicembre 2015, n. 47143/06

Corte e.d.u., D. c. Croazia, 17 maggio 2016, n. 38359/13

Corte e.d.u., JGK Statyba Ltd e G. c. Lituania, 5 novembre 2013, n. 3330/12

Riferimenti normativi:

Convenzione e.d.u., art. 3 (non violazione)

Convenzione e.d.u., art. 5 § 1 (violazione)

Convenzione e.d.u., art. 8 (violazione)

Convenzione e.d.u., art. 10 (violazione)

Convenzione e.d.u., art. 1 del Prot. n. 1 (violazione)

Convenzione e.d.u., art. 6 § 2 (irricevibile)

Copyright © - Riproduzione riservata

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