Procedura civile

C.T.P. a fini di composizione della lite: illegittima l’esclusione per i crediti derivanti da ogni altro fatto o atto idoneo

Con la sentenza n. 222 del 2023 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. – dell’art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c., nella parte in cui ammette la consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite per i soli crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall’art. 1173 c.c. sulle fonti delle obbligazioni, poiché tale esclusione dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione e alla violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia della difesa, cui non osta l’ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale.

Il caso

Con ordinanza del 16 marzo 2021, il Tribunale di Bari sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c., nella parte in cui non prevede che l’espletamento della consulenza tecnica in via preventiva possa essere richiesto ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione, oltre che di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito, di obbligazioni derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

Ad avviso del rimettente, tale previsione si sarebbe posta in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, escludendo irragionevolmente detta ultima categoria di crediti – i quali, al pari di quelli nascenti dal contratto o dal fatto illecito, sono coessenziali alla realizzazione del sistema dei diritti –, si sarebbe risolta in un’evidente aporia o, comunque, in un’incoerenza interna dell’istituto.

La disposizione censurata avrebbe realizzato, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento tra i titolari di posizioni sostanziali di eguale natura, il cui tratto differenziale, da individuarsi nella fonte, non solo sarebbe risultato illogicamente più marcato tra le due categorie di obbligazioni per le quali la consulenza tecnica preventiva è ammessa, di quanto non lo sia tra ciascuna di esse e la categoria esclusa, ma si sarebbe atteggiato in modo del tutto neutro per la funzionalità e l’utilità dello strumento processuale ex art. 696-bis c.p.c.

Sarebbe stato, inoltre, violato l’art. 24 Cost., in quanto l’ingiustificata restrizione dell’ambito applicativo del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. soltanto ad alcune categorie di crediti avrebbe inciso negativamente sulla pienezza del potere di agire in giudizio dei titolari dei diritti esclusi, i quali sarebbe rimasti privi di uno strumento alternativo all’ordinaria tutela giurisdizionale – nonché ad essa eventualmente preordinato (laddove non fosse stata raggiunta la conciliazione) –, che ne avrebbe permesso una più pronta ed efficace realizzazione.

La decisione della Corte costituzionale

Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dopo le parole «da fatto illecito» non prevede «o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico».

In ordine alla funzione dell’istituto, la Corte ha premesso che l’art. 696-bis c.p.c. – come inserito dall’art. 2, comma 3, lett. e-bis), n. 6, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80 – consente alla parte interessata di richiedere, prima dell’inizio del giudizio e anche in assenza del presupposto dell’urgenza di cui all’art. 696 c.p.c., l’espletamento di una consulenza tecnica avente ad oggetto l’accertamento e la determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. La stessa disposizione attribuisce al consulente tecnico designato dal giudice il compito di promuovere, sulla base dell’elaborato peritale, la definizione concordata della lite. Se la conciliazione è raggiunta, l’accordo transattivo confluisce in un verbale, al quale lo stesso giudice attribuisce, con proprio decreto, efficacia di titolo esecutivo. In caso contrario, la relazione tecnica depositata dal consulente può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo (ed eventuale) processo di merito, con l’efficacia propria della consulenza tecnica d’ufficio ex artt. 191 e ss. c.p.c.

Quindi, la Corte ha valorizzato il contrasto esistente nella dottrina e nella giurisprudenza di merito in ordine alla portata applicativa dell’istituto. Una parte della dottrina ha rilevato, infatti, l’incongruità della scelta legislativa di delimitarne lo spazio applicativo, selezionando ex ante le situazioni giuridiche soggettive rispetto alle quali è ammesso, e ha proposto di superare tale formulazione ricorrendo all’interpretazione estensiva o al procedimento analogico ovvero attribuendo portata meramente esemplificativa alle ipotesi espressamente considerate dalla norma in esame. La tesi che reputa praticabile il procedimento analogico esclude che alla disciplina della consulenza conciliativa possa ascriversi carattere eccezionale. Sicché l’art. 696-bis c.p.c., nella parte in cui ammette che, in determinati casi, l’accertamento tecnico possa essere espletato prima del giudizio, perché tale anticipazione può favorire la composizione della controversia, esprimerebbe un principio generale, capace di estendersi per analogia a fattispecie simili, dovendo negarsi che il legislatore, nel menzionare il contratto e il fatto illecito, abbia inteso escludere dall’ambito applicativo dell’istituto le obbligazioni di fonte diversa, non costituendo l’origine causale una valida ragione giustificativa del trattamento processuale differenziato.

Una diversa impostazione è, invece, incline ad escludere che la inequivoca formulazione dell’art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c. si presti ad una dilatazione semantica o all’applicazione analogica a situazioni giuridiche soggettive diverse da quelle ivi esplicitate. Il campo di applicazione privilegiato della consulenza conciliativa sarebbe, quindi, da individuarsi nelle liti relative alla esecuzione di contratti – e, in particolare, di contratti di prestazione d’opera o di appalto, qualora la parte contesti l’esattezza dell’adempimento o le conseguenze risarcitorie dell’inadempimento parziale o totale – ovvero in quelle in materia di responsabilità civile e, in particolare, nelle cause di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli. Ciò in quanto in tali controversie le questioni di fatto risultano spesso preponderanti rispetto a quelle di diritto, potendo per questo rivelarsi particolarmente prezioso, anche in vista di una definizione anticipata della lite, l’intervento di un esperto in grado di valutare tecnicamente il fatto dannoso o l’entità del danno, fornendo alle parti una prognosi sufficientemente attendibile sul possibile esito della causa di merito.

Anche nella giurisprudenza di merito si registra una tendenza ad interpretare in senso letterale la limitazione oggettiva operata dalla norma e dunque ad ammettere la consulenza in funzione conciliativa soltanto nelle liti in cui si faccia questione di crediti di fonte contrattuale ed extracontrattuale, denegandola, per converso, in relazione alle pretese creditorie nascenti da altre fattispecie, come l’indebito oggettivo (Trib. Bologna ord. 4 febbraio 2022; Trib. Torino ord. 28 ottobre 2019; Trib. Trani ord. 12 febbraio 2009).

Esposto questo quadro di sintesi, il Giudice delle leggi ha rilevato come il legislatore, per definire l’ambito di applicazione della consulenza tecnica preventiva, abbia fatto ricorso ad un duplice criterio selettivo, individuando sia il tipo di attività demandata all’ausiliario del giudice (l’accertamento e la determinazione), sia le situazioni soggettive i cui fatti costitutivi possono formare oggetto di indagine e valutazione tecnica. La disposizione in oggetto si riferisce ad una precisa classe di diritti soggettivi, quelli di credito, per di più ritagliando, all’interno di questa, una sottoclasse ancora più specificamente connotata sotto il profilo genetico, ossia quella dei crediti che sorgono dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o fa fatto illecito.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha considerato come certamente plausibile l’esito ermeneutico al quale il giudice a quo è pervenuto – argomentando pianamente sulla base del dato letterale –, in ordine alla impossibilità di sperimentare una interpretazione costituzionalmente orientata che implichi l’espansione semantica o l’applicazione analogica della disposizione oggetto di censura.

Quindi, nel merito, la Corte ha ritenuto che le questioni siano fondate in riferimento ad entrambi i parametri invocati dal rimettente, appunto perché la limitazione dell’ambito oggettivo di operatività della consulenza preventiva operato dalla disposizione contrasta con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l’art. 24 Cost., in quanto realizza una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione.

In primis, con la consulenza tecnica conciliativa il legislatore ha in sostanza offerto alle parti la possibilità di ottenere, in via preventiva rispetto all’instaurazione del processo, una valutazione tecnica in ordine all’esistenza del fatto e all’entità del danno, nell’auspicio che, proprio sulla scorta di tale valutazione, le parti possano trovare un accordo – al quale il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo – che renda superflua l’instaurazione del giudizio contenzioso (sentenza n. 202 del 2023; nello stesso senso sentenza n. 87 del 2021). Nel caso, poi, in cui non si pervenga a tale accordo, la relazione depositata dall’ausiliario può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo processo di merito, con l’efficacia propria della consulenza tecnica d’ufficio ex artt. 191 e ss. c.p.c.

Il procedimento introdotto dall’art. 696-bis c.p.c. si inscrive, altresì, nella tendenza legislativa, registratasi negli ultimi anni, alla diffusione e al potenziamento dei rimedi di Alternative Dispute Resolution (ADR), di cui sono espressione paradigmatica le procedure di mediazione, di negoziazione assistita e di trasferimento della lite alla sede arbitrale, con precipuo riguardo alle controversie di responsabilità sanitaria, la cui disciplina individua l’avvio di detto strumento quale condizione di procedibilità della domanda.

Segnatamente nel sistema delle misure di definizione conciliativa delle controversie è possibile distinguere tra meccanismi che, ponendosi all’esterno del processo contenzioso, consentono una composizione del conflitto alternativa all’accesso alla giurisdizione, e forme di conciliazione endoprocessuale, al cui fruttuoso esperimento segue una deviazione dello stesso giudizio contenzioso verso una regolamentazione concordata della lite sostitutiva della decisione.

L’articolato procedimento regolato dall’art. 696-bis c.p.c. risponde alla specifica esigenza della parte interessata di conseguire la soddisfazione dei propri diritti e interessi disponibili senza accedere al giudizio contenzioso. Analogamente alla conciliazione giudiziale, la composizione della lite raggiunta in seno al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. non costituisce un’alternativa alla tutela giurisdizionale, ma una diversa forma con la quale la giurisdizione realizza la propria funzione. In definitiva, la consulenza tecnica preventiva consente una tutela complementare a quella accordata attraverso la decisione giudiziale. Essa costituisce, pertanto, una peculiare declinazione del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost., senza che a tale inquadramento osti la natura processuale dell’interesse protetto o l’assenza di contenuto decisorio nelle statuizioni giudiziali che impostano l’accertamento tecnico e la conciliazione che ne scaturisce.

Per l’effetto, la Corte ha evidenziato che la ragione giustificatrice dell’art. 696-bis c.p.c. va rinvenuta nella esigenza di aggiungere alla tutela giurisdizionale una forma complementare di attuazione dei diritti, per mezzo della quale il conflitto è definito in via negoziale, ma all’esito di un apposito procedimento nel quale la conciliazione è coadiuvata dall’esperto in posizione di terzietà ed è impostata, diretta e convalidata dal giudice.

Ebbene, ha divisato la Consulta, la scelta di limitare lo strumento in esame alle sole controversie relative ai crediti ex contractu ed ex delicto, così privando delle peculiari utilità connesse al suo esperimento i titolari di tutti gli altri crediti di fonte diversa, non rinviene né nel titolo né nel contenuto dei diritti ammessi una valida ragione di diversificazione. E tanto perché le obbligazioni correlate ai diritti di credito esclusi dall’art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c. condividono con quelle collegate ai crediti dallo stesso ammessi la substantia di specifici obblighi giuridici, in forza dei quali un soggetto è tenuto ad una determinata prestazione patrimoniale per soddisfare l’interesse di un altro soggetto. D’altro canto, l’obbligazione costituisce una nozione giuridica unitaria, che si identifica autonomamente, a prescindere dalla fonte dalla quale scaturisce.

La Corte ha ancora esposto che la discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite della non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle soluzioni adottate. Per converso, la previsione oggetto di censura palesa un deficit di ragionevolezza strumentale, posto che la selezione delle fattispecie ammesse al rimedio si rivela eccessiva – sacrificando inutilmente e arbitrariamente la posizione dei titolari dei crediti esclusi – rispetto alla pur legittima finalità di contenere l’impiego dell’istituto in modo da evitare approfondimenti tecnici inutili o meramente esplorativi. Alla segnalata esigenza sopperisce, infatti, la verifica di ammissibilità affidata al giudice, la quale investe sia la rilevanza dell’accertamento rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, sia la coincidenza del quid disputatum con i soli aspetti tecnici della questione di fatto.

In ogni caso, secondo la Corte, il limite alla discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali è da ritenersi, nella specie, valicato in quanto, per i titolari dei crediti non ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 696-bis c.p.c., la delimitazione oggettiva operata dal comma 1, primo periodo, di tale disposizione si traduce nella negazione di una forma di tutela dotata di specifica utilità e, in considerazione delle sue caratteristiche di giurisdizionalità, non surrogabile dalle pur contigue misure di composizione alternativa delle liti, così determinando un’ingiustificabile compressione del diritto di agire.

In conclusione, ha sostenuto il Giudice delle leggi che la disposizione censurata, ammettendo la consulenza tecnica preventiva per i soli crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall’art. 1173 c.c., dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione e alla violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia ex art. 24 Cost., cui non osta l’ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale.

Esito del giudizio di costituzionalità:

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile nella parte in cui dopo le parole «da fatto illecito» non prevede «o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico».

Riferimenti normativi

Art. 3 Cost.

Art. 24 Cost.

Art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c.

Art. 1173 c.c.

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