Amministrativo

Processo amministrativo: quali gli effetti della mancata notifica nel giudizio di ottemperanza?

In sede di giudizio di ottemperanza, l'omessa notifica a taluna delle parti non è sanzionata dall’art. 114, comma 1, c.p.a. con l’inammissibilità del ricorso e l’art. 27c.p.a. prevede che il contraddittorio possa sempre essere integrato, quando il giudizio è stato promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna decadenza; prescrivendosi l’azione di ottemperanza in dieci anni, una eventuale pronuncia di inammissibilità comporterebbe la riproponibilità del ricorso entro detto termine e appare quindi conforme al principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost., richiamato dall'art. 2, comma 1, c.p.a., privilegiare, nell'interpretazione delle norme processuali, le soluzioni che agevolino la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 18 dicembre 2023, n. 10948.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi:

Tar Sicilia, sez. III, 24 agosto 2021, n. 2475

Consiglio di Stato, Sez. III, 28 ottobre 2013 n. 5162

Difformi:

Non si rilevano precedenti in materia

Il caso e l’assunto della pronuncia del Consiglio di Stato

La sentenza in esame ha affrontato il tema degli effetti della mancata notifica del ricorso a una delle parti necessarie nel giudizio di ottemperanza, concludendo che l’omessa notifica non è causa di inammissibilità del ricorso, ma comporta solo la necessità di adottare un provvedimento di integrazione del contraddittorio.

Al riguardo, la pronuncia ha affermato due principi.

Il primo è che il motivo d’appello concernente il difetto del contraddittorio è ammissibile, anche se il vizio non è stato dedotto in primo grado, trattandosi di questione che comunque sarebbe rilevabile d’ufficio anche in sede di appello, fermo restando l’obbligo di indicarla alle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a.

Ha richiamato, in proposito, il precedente del Consiglio di Stato, Sez. V, 26 maggio 2015 n. 2667.

Il secondo principio affermato è che, in sede di giudizio di ottemperanza, l'omessa notifica a taluna delle parti non è sanzionata dall’art. 114, comma 1, c.p.a. con l’inammissibilità del ricorso ed è applicabile l’art. 27c.p.a., ai sensi del quale il contraddittorio può sempre essere integrato, quando il giudizio è stato promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna decadenza.

Infatti, sotto il profilo sostanziale, l’azione di ottemperanza si prescrive in dieci anni e una eventuale pronuncia di inammissibilità comporterebbe la riproponibilità del ricorso entro detto termine e appare conforme al principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost., richiamato dall'art. 2, comma 1, c.p.a., privilegiare, nell'interpretazione delle norme processuali, le soluzioni che agevolino la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini.

Sul punto la pronuncia ha richiamato il precedente del Consiglio di Stato, Sez. III, 28 ottobre 2013 n. 5162.

E’ d’obbligo sottolineare come, secondo il portato della sentenza oggi in esame, nel giudizio di ottemperanza, di cui agli artt. 112 e ss c.p.a., la mancata notifica a una delle parti necessarie (diverse dall’Amministrazione) dà luogo a conseguenze diverse rispetto a quanto accade nel giudizio ordinario, nel quale tale omessa notifica deve essere sanzionata con l’inammissibilità qualora il ricorso non sia stato notificato ad almeno uno dei controinteressati, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Le posizioni emerse in giurisprudenza

In proposito sono emersi, anche in tempi relativamente recenti, due orientamenti nella giurisprudenza di primo grado che, pur riconoscendo la specialità del giudizio di ottemperanza, del codice di procedura amministrativa hanno raggiunto conclusioni opposte sul punto.

Ad esempio, Tar Sicilia Palermo Sez. III, 24 agosto 2021, n. 2475 si è espresso in maniera conforme ai principi ora ribaditi dalla sentenza del Consiglio di Stato qui in esame.

Secondo il Tar siciliano, infatti, “l'omessa notificazione del ricorso per ottemperanza ad una delle parti del giudizio definito con la sentenza ottemperanza, non può determinare l'inammissibilità del ricorso, essendo sempre consentita l'integrazione del contraddittorio, qualora non sia decorso il termine decadenziale previsto dall'art. 114c.p.a. per la proposizione dell'azione, cioè dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza, in applicazione della regola generale, di cui all'art. 27c.p.a., ai sensi della quale "Se il giudizio è promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna decadenza, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre entro un termine perentorio"”. Quest’ultima sentenza, peraltro, richiama lo stesso precedente del Consiglio di Stato citato dalla pronuncia qui in esame (Consiglio di Stato, Sez. III, 28 ottobre 2013 n. 5162).

Al contrario, un diverso orientamento è stato espresso da Tar Campania Napoli Sez. VIII, 4 giugno 2020, n. 2190, che ha ritenuto inammissibile un ricorso per l’ottemperanza non notificato a tutte le parti che hanno partecipato al giudizio concluso con l'adozione della sentenza della cui esecuzione si tratta.

Secondo quest’ultima decisione, "ai sensi dell'art. 114cod. proc. amm., il ricorso per ottemperanza va notificato a tutte le parti del giudizio di cognizione, senza distinzione tra le parti necessarie e intervenuti volontari. Non pare condivisibile l'orientamento del primo giudice per cui l'integrità del contraddittorio è assicurata nel giudizio di ottemperanza con l'evocazione delle sole parti necessarie del giudizio di base (amministrazione intimata e controinteressati in senso stretto) perché la norma, con la sua inequivoca lettera (notifica all'amministrazione e a "tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza") delinea una piena simmetria, quanto a contraddittorio processuale, tra giudizio a cognizione ordinaria e giudizio di ottemperanza."; tale pronuncia richiama il precedente del Consiglio di Stato, Sez. VI n. 6075/2012.

Per essere chiari, la differenza tra le due decisioni non riguarda la necessità che il ricorso per l’ottemperanza venga notificato a tutte le parti del giudizio di cognizione, stante il chiaro disposto in tal senso dell’art. 114 c.p.a; bensì riguarda le conseguenze del mancato rispetto di questa regola, ovverosia la necessità da parte del giudice di integrare il contraddittorio per la prima, l’inammissibilità del ricorso per la seconda.

Riteniamo di concordare con la prima soluzione, ribadita dalla sentenza qui in esame, che ci appare maggiormente conforme al carattere di specialità rivestito dal giudizio di ottemperanza, caratterizzato innanzitutto dalla peculiarità della situazione giuridica fatta valere, ovverosia il diritto all’esecuzione del giudicato, a cui fanno seguito notevoli divergenze anche da punto processuale, tanto da renderlo un unicum, come ad esempio la deroga al principio generale del doppio grado di giurisdizione, in quanto nel caso in cui la sentenza da “ottemperare” sia del Consiglio di Stato il giudizio si risolve in un solo grado.

La decisione in esame offre, altresì, degli spunti sul tema della notifica del ricorso nel giudizio di ottemperanza.

La notifica del ricorso nel giudizio di ottemperanza

Nel regime antecedente al codice del processo amministrativo, introdotto dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, la fase introduttiva del giudizio di ottemperanza era disciplinata dagli artt. 90 e 91, R.D. n. 642/1907.

Tali disposizioni prevedevano che fosse sufficiente il solo deposito della domanda per l’esecuzione del giudicato presso la Segreteria dell’organo giudiziario che provvedeva a comunicare all’amministrazione interessata l’avvenuto deposito.

La comunicazione era ritenuta dal legislatore sufficiente a soddisfare l’esigenza del contraddittorio con l’amministrazione interessata.

L’amministrazione poteva trasmettere le proprie osservazioni in ordine alla domanda di esecuzione entro venti giorni dalla ricezione della predetta comunicazione.

Questa soluzione processuale, che non prevedeva la notifica, differiva nettamente dalla procedura seguita per il ricorso ordinario; nondimeno fu ritenuta compatibile con il dettato Costituzionale.

I giudici della Consulta, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, lessero le relative disposizioni come delle norme che imponevano agli uffici giudiziari di comunicare all’amministrazione interessata l’istanza nella sua interezza e in tempo utile, in modo di metterla in condizione di avere una completa ed effettiva conoscenza della domanda e poter articolare tempestivamente gli opportuni mezzi di difesa (Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 441; Corte Cost., 10 marzo 2006, n. 100; Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 441).

In sostanza, veniva posta una sorta di equiparazione tra la comunicazione da parte della segreteria e la notificazione del ricorso; equiparazione idonea ad assicurare le garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie al rispetto dei principi della difesa in giudizio, ex art. 24, comma 2, Cost., e del contraddittorio quale presupposto del “giusto processo”, ex art. 111, comma 2, Cost., a condizione che venisse assicurata una informazione completa e tempestiva del ricorso che ne formava oggetto.

Questa soluzione non presentava problemi di completezza del contraddittorio per l’esecuzione di alcune tipologie di giudicato, nei quali in cui gli effetti rimanevano limitati alle posizioni dell’amministrazione e del ricorrente, in assenza di parti private aventi interessi contrapposti, quali ad esempio quelli di condanna della P.A. al pagamento di somme di denaro adottati dal giudice ordinario.

Al contrario, un problema di completezza del contraddittorio si poneva per l’esecuzione di una diversa categoria di decisioni, ovverosia quella relativa a giudizi caratterizzati dalla presenza di controinteressati, quali a esempio le sentenze di annullamento del giudice amministrativo.

In quest’ultimo caso l’indicata soluzione non teneva conto della necessità che venissero evocati in giudizio i soggetti privati, parti del processo di cognizione sottostante al giudicato, che avrebbero potuto subire un pregiudizio dall’esecuzione della sentenza, perché posti in posizioni contrarie e speculari a quella della parte vincitrice.

Un risalente orientamento aveva a quel tempo affermato che “il giudizio d’ottemperanza, pur avendo carattere giurisdizionale, è retto da norme processuali “ad hoc”, che non implicano, tra l’altro, le stesse forme di contraddittorio sancite in sede di cognizione, di talché è validamente instaurato, ai sensi degli artt. 90 ss. R.D. 17 agosto 1907, n. 642, anche senza la notificazione o la comunicazione del relativo ricorso introduttivo a coloro che hanno rivestito la posizione di controinteressati nel giudizio cognitorio” (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 1998, n. 1526; Tar Campania, Napoli, sez. III, 17 aprile 2007, n. 3886).

Era innegabile, tuttavia, anche alla luce dell’art. 111 Cost., la necessità che anche nella fase dell’esecuzione del giudicato dovesse essere assicurato il rispetto del principio del contraddittorio in relazione ai controinteressati.

In definitiva, l’esigenza di un giusto contraddittorio imponeva di rendere partecipi del giudizio anche i soggetti ai quali l’esecuzione del giudicato avrebbe potuto arrecare pregiudizio e il mezzo idoneo predisposto a tal fine dall’ordinamento era la notifica da parte del ricorrente, anche se lo stesso scopo si riteneva raggiunto mediante l’adempimento, considerato equipollente, della comunicazione del ricorso introduttivo ai controinteressati, da parte della segreteria dell’organo giudiziario adito.

In sostanza, alle soglie dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, si riteneva che in presenza di soggetti controinteressati non fosse sufficiente la comunicazione dell’atto all’amministrazione da parte della segreteria dell’organo giudiziario, ma che fosse necessario evocare in giudizio anche i controinteressati, mediante notifica dell’atto da parte dell’istante o tramite comunicazione a cura della segreteria, a cui tuttavia quest’ultima non era tenuta espressamente ex lege, imponendo l’art. 91, R.D. 17 agosto 1907, n. 642, l’incombente processuale della comunicazione soltanto nei confronti dell’amministrazione competente.

Si era, anzi, giunti in diverse pronunce ad affermare, in nome della necessità del pieno rispetto del principio del contraddittorio, che il ricorrente avesse l’onere di notifica non solo nei confronti dei controinteressati ma anche nei confronti della stessa amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1202; Cons. Stato, sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3689).

La mancata notifica al controinteressato, in assenza di comunicazione veniva risolta, da parte di alcuna giurisprudenza, in termini di inammissibilità del ricorso (Tar Puglia, Bari, sez. I, 1 settembre 2003, n. 3168; Tar Molise, 16 gennaio 2003, n. 1; Tar Sicilia, Catania, 25 marzo 1996, n. 1402), mentre per altra parte poteva trovare in ogni caso spazio l’istituto dell’errore scusabile, con l’integrazione di ufficio del contraddittorio per ordine del giudice (Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2008, n. 6368).

In mancanza, tuttavia, di tale integrazione successiva, l’omessa evocazione in giudizio del controinteressato poteva essere fatta valere da quest’ultimo quale vizio della sentenza di ottemperanza per violazione del contraddittorio (es. Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1202 che ha accolto il ricorso per revocazione presentato da un controinteressato pretermesso).

In sostanza anche nel regime previgente al codice si era affermata, seppure non espressamente codificata, l’esigenza di estendere il contraddittorio anche nei confronti di controinteressati, seppure in senso lato, ed erano emerse le opposte soluzioni, ipotizzabili anche oggi, della necessità di integrare il contradditorio, da un lato, e l’inammissibilità della richiesta di ottemperanza, dall’altro.

Il codice del processo amministrativo ha mutato radicalmente tale sistema prevedendo espressamente che il ricorso per l’ottemperanza debba essere innanzitutto notificato, eliminando l’anomalia su questo punto rispetto al rito “ordinario” del processo amministrativo.

Si è, infatti, passati al sistema attuale a “impulso di parte”, nel quale il soggetto agente è onerato dell’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’amministrazione e delle altre parti, evocandole in giudizio mediante notifica del ricorso.

Nel disporre l’adempimento della notifica, il medesimo codice, nell’ottica di garanzia del contraddittorio, ha tenuto conto delle esigenze dei controinteressati e, più in generale, di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda processuale che ha dato luogo al giudicato, prevedendo al comma 1 dell’art. 114, c.p.a. che il ricorso debba essere notificato oltre che all’amministrazione, anche «a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta».

Il ricorso per l’ottemperanza deve essere, quindi, per espressa disposizione legislativa, notificato a tutti i soggetti che sono stati parti del giudizio definito con la sentenza da ottemperare, nei confronti dei quali la sentenza azionata spiega effetti di cosa giudicata, ai sensi dell’art. 2909 c.c.

Non solo, quindi, ai controinteressati ma anche alle altre parti del giudizio, anche quelle nei cui confronti la sentenza spiega effetti favorevoli, al pari del soggetto che promuove l’azione di ottemperanza, e che quindi avrebbero potuto proporre in via autonoma azione per l’esecuzione.

A questo punto ci si deve chiedere che effetti operi l’omissione della notifica nei confronti di alcune delle parti necessarie.

Ad avviso di chi scrive, la mancata notifica all’amministrazione rende il ricorso inammissibile.

L’art. 114, comma 1, c.p.a. ha, infatti, previsto espressamente la necessità della notifica del ricorso all’amministrazione, per mettere in condizione la stessa di avere contezza della proposizione del ricorso e degli elementi essenziali della questione controversa, al fine della salvaguardia del principio del contraddittorio (Tar Campania, Napoli, sez. IV, 6 marzo 2013, n. 1250; Tar Campania, Napoli, sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 419; Tar, Lazio, Roma, sez. II, 16 maggio 2011, n. 4216).

Al contrario, in conformità con quanto affermato dalla sentenza qui in esame, si deve ritenere che l’omessa notifica alle altre parti del giudizio da cui deriva il giudicato da ottemperare non comporti, invece, l’inammissibilità del ricorso e ciò anche nel caso in cui la notifica non sia stata effettuata nemmeno a uno dei controinteressati.

E’ importante al riguardo osservare che in materia di giudizio di ottemperanza non esiste una previsione analoga a quella contemplata per il rito ordinario dall’art. 41, comma 2, c.p.a., secondo cui la notifica ad almeno uno dei controinteressati rende inammissibile il ricorso.

L’art. 114c.p.a. non sanziona, infatti, con l’inammissibilità l’omessa notifica a una delle parti del giudizio originario.

Il giudice potrà, quindi, sempre ordinare d’ufficio l’integrazione del contradditorio qualora sia stata omessa la notifica a un controinteressato (anche fosse l’unico controinteressato) e, più in generale, a una delle parti del giudizio da cui deriva il giudicato che, come indicato, devono essere tutte evocate in giudizio.

A questo punto vengono in rilievo i due argomenti, già evidenziati nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 28 ottobre 2013, n. 5162 e riproposti in quella in esame.

L’applicabilità del riferimento processuale dell’art. 27c.p.a., ai sensi del quale il contraddittorio può sempre essere integrato quando il giudizio è stato promosso solo contro alcune delle parti e non si è verificata alcuna decadenza.

L’argomento sostanziale, riferito alle conseguenze pratiche da tenere in considerazione nell’interpretazione delle norme, secondo cui, poiché l’azione di ottemperanza si prescrive in dieci anni, un’eventuale pronuncia di inammissibilità consentirebbe comunque all’interessato di riproporre il ricorso, senza che maturi una decadenza sostanziale o processuale e senza che intervenga una causa impeditiva ad esercitare l’azione prima del decorso del termine decennale.

A tale ultimo riguardo, si può osservare che sarebbe contrario al principio di economia processuale concludere per l’inammissibilità del ricorso, a fronte di una violazione, quale la mancata notifica a una parte necessaria, che non comporta una decadenza sostanziale della pretesa, essendo l’azionabilità del giudizio di ottemperanza soggetto solo al rispetto del termine di prescrizione decennale

Una pronuncia di inammissibilità del ricorso non avrebbe, infatti, un effetto preclusivo dell’azione, né incidenza sulla posizione sostanziale delle parti, in quanto ben potrebbe il ricorso essere riproposto negli stessi identici termini, semplicemente notificandolo anche alle parti necessarie precedentemente pretermesse.

Più razionale appare, infatti, consentire, come affermato dalla decisione in esame, l’integrazione del contraddittorio nel giudizio già instaurato; ciò nell’ottica dell’indicato principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo (inteso in senso lato come tempo necessario alla tutelabilità di una pretesa), tenendo ben presente che la giustizia è una “risorsa scarsa” e non è opportuno moltiplicare i giudizi senza un motivo sostanziale, imponendo la riproposizione di un’azione già esercitata per la stessa pretesa e l’apertura di un nuovo processo, qualora ciò sia evitabile mediante il rimedio processuale quale l’ordine di integrazione del contraddittorio, che garantisce appieno la possibilità delle parti di prendere parte al processo.

Si può ancora notare che l’assenza di una norma comminatoria dell’inammissibilità del ricorso in caso di omessa notifica (con conseguente possibilità d’integrazione del contraddittorio) sarebbe argomento teoricamente “spendibile” anche nel caso di omessa notifica del ricorso alla stessa amministrazione inadempiente, non essendo neanche in questo caso prevista l’inammissibilità del ricorso.

In questa ipotesi, tuttavia, la mancata rituale evocazione in giudizio del soggetto tenuto all’esecuzione del giudicato (l’amministrazione) non pare possa consentire l’instaurazione di un valido rapporto processuale, comportando l’inammissibilità del ricorso, senza possibilità di successiva integrazione del contraddittorio.

Sul punto si deve, altresì, osservare che nel caso in cui in primo grado non venga disposto l’ordine di integrazione del contraddittorio la conseguente sentenza sarà annullabile con rinvio al giudice di prime cure.

Sempre in ordine all’ammissibilità dell’azione si deve rilevare che, in forza dell’autonomia del giudizio di ottemperanza rispetto a quello di merito che lo precede, il ricorso per l’esecuzione del giudicato deve essere notificato presso la sede dell’amministrazione, ovverosia presso il suo domicilio legale, e non presso il domicilio eletto nel giudizio da cui deriva il giudicato da eseguire, non rilevando l'elezione di domicilio effettuata relativamente alla fase cognitoria (Tar Campania Salerno Sez. I, 17 aprile 2023, n. 863; Tar Campania, Napoli, sez. III, 9 febbraio 2013, n. 838).

Il ricorso per ottemperanza, infatti, dà vita ad un giudizio autonomo e distinto da quello di cognizione, che deve essere notificato nel domicilio reale dell'Amministrazione coinvolta e non già nel domicilio eletto dalla stessa nel precedente giudizio cognitorio (Consiglio di Stato, sez. V, 7 dicembre 2020, n. 7728).

A ciò fanno eccezione le amministrazioni che usufruiscono del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, nel qual caso il ricorso deve essere notificato, a pena di inammissibilità, presso la sede di quest’ultima, ai sensi della generale normativa sulla rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni statali di cui R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (Tar Sicilia Catania Sez. II, 23/01/2020, n. 174).

Sempre in ordine alla notifica, si può osservare che, a norma dell’art. 59c.p.a., anche la richiesta di attuazione delle misure cautelari deve essere proposta mediante istanza notificata alle altre parti del giudizio nell’ambito del quale il provvedimento cautelare è stato adottato.

In tale ipotesi, tuttavia, instaurandosi la procedura per l’esecuzione nell’ambito di una controversia in corso, la notifica va effettuata presso il domicilio eletto in sede di giudizio di merito e non presso il domicilio reale dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2012, n. 1060).

Si può rilevare, infine, che qualora il giudizio abbia a oggetto l’esecuzione di un’ordinanza di assegnazione adottata all’esito di una procedura espropriativa presso terzi nella quale l’amministrazione è il soggetto terzo pignorato, il ricorso deve essere notificato a tutte le parti del giudizio di pignoramento del cui provvedimento conclusivo si chiede l’esecuzione e, pertanto, sia al terzo pignorato che al debitore originario.

Esito:

Riforma Tar Sardegna, Sez. II, n. 594/2023

Riferimenti normativi:

Art. 111 Cost.

Art. 2, comma 1 c.p.a.

Art. 27c.p.a.

Art. 73, comma 3 c.p.a.

Art. 114, comma 1, c.p.a.

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