Tributario

Statuto del contribuente: la nuova disciplina sul contraddittorio e sui vizi degli atti impositivi

È stato pubblicato in G.U. il 3 gennaio 2024 il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 che, in attuazione della L. n. 111 del 2023 (la legge delega della c.d. Riforma fiscale), va a modificare lo Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000). In questo articolo andremo ad analizzare la nuova disciplina in tema di contraddittorio, vizi degli atti impositivi e di prova acquisite oltre il termine per l’esercizio dell’attività di accesso, ispezione e verifica.

Il principio del contraddittorio

Il d. Lgs. n. 219 del 2023 introduce l’innovativa previsione di cui all’ art. 6 bis, rubricato “principio del contraddittorio”, secondo il quale “salvo quanto previsto dal comma 2, tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”.

Il periodo successivo esclude tale contraddittorio per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nonché “i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione”.

La novella dà attuazione alle indicazioni della Consulta (Corte Cost. n. 47 del 2023 ma si vedano anche Corte Cost. n. 71 del 2015 e n. 201 del 1995) secondo la quale “Nonostante la scelta legislativa di inserire la nuova disciplina dell'«invito obbligatorio» a comparire nell'ambito del procedimento di accertamento con adesione, si deve evidenziare come essa denoti un'evoluzione del sistema tale per cui l'attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un'ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale. Dall'analisi che precede emerge come il legislatore abbia introdotto – seppur con diversi limiti applicativi – un meccanismo di portata generale; tuttavia, avendo fatti salvi i moduli di partecipazione del contribuente alla formazione dell'atto impositivo previsti dalla normativa vigente, si è determinato un sistema composito del contraddittorio nel procedimento tributario”; e ancora “ la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all'evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale”.

Onde consentire tale dialogo tra Ufficio e contribuente, il comma 3 precisa che “per consentire il contradditorio, l'amministrazione finanziaria comunica al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo schema di atto di cui al comma 1, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo. L'atto non è adottato prima della scadenza del termine di cui al primo periodo. Se la scadenza di tale termine è successiva a quella del termine di decadenza per l'adozione dell'atto conclusivo ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per l'esercizio del contraddittorio e il predetto termine di decadenza decorrono meno di centoventi giorni, tale ultimo termine è posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio”.

Il successivo comma 4 puntualizza poi che “l'atto adottato all'esito del contraddittorio tiene conto delle osservazioni del contribuente ed è motivato con riferimento a quelle che l'Amministrazione ritiene di non accogliere”.

La disposizione in commento modifica radicalmente le relazioni endoprocedimentali – ante contenzioso – tra contribuente e Ufficio, e presenta profili di complessità e innovazione, oltre che di novità, davvero importanti. Si può per ora affermare certamente che si introduce un più ampio obbligo di contraddittorio, in forza del quale pare superata la distinzione tra accertamenti previo accesso e accertamenti "a tavolino", dal momento che per entrambi detto obbligo va ora rispettato.

La generalizzazione - originariamente riferita ai "provvedimenti", ma infine più opportunatamente riferita agli "atti impugnabili" ai sensi dell'art. 19d. Lgs. n. 546 del 1992 - esclude dall’obbligo di cui si tratta i soli controlli "automatizzati" o "sostanzialmente automatizzati", così facendo venire meno ogni riferimento alla "parzialità" dell'avviso di accertamento attualmente prevista dalla disposizione di cui all'art. 5-ter, d. Lgs. n. 218 del 1997.

L’individuazione analitica di tali atti è stata poi attribuita a un decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, adesso comprensiva anche degli atti di "pronta liquidazione", quali gli avvisi di liquidazione ai fini dell'imposta di registro di atti giudiziari.

Il d. Lgs. n. 219 del 2023 garantisce quindi anche l'effettività del contraddittorio poiché impone il rispetto di un termine congruo a favore del contribuente per replicare alle conclusioni cui l'Amministrazione è giunta al termine dell'attività istruttoria, nonché, con previsione anche qui innovativa, dell’espresso obbligo per la parte pubblica non solo di tener conto delle osservazioni, ma di prendere posizione espressa in ordine alle stesse nell’atto che reca la pretesa impositiva.

Senza dubbio si tratta di un obbligo, in sostanza, di motivazione rafforzata dell’avviso di accertamento, che consentirà al contribuente di meglio comprendere le ragioni degli Uffici – garantendone il diritto di difesa e che parimenti obbligherà gli Uffici a una puntuale e analitica, non puramente formale o generica, analisi delle osservazioni.

Viene così meno il requisito della c.d. "prova di resistenza", in attuazione del criterio riguardante l’ampliamento della tutela prevista dall'art. 12, comma 7 dello Statuto, ora abrogato. Ne deriva che la previsione della illegittimità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus rimane sancita dall’art. 7-bis dello Statuto, da interpretarsi congiuntamente con l’art. 6-bis comma 1, che prevede come annullabili gli avvisi di accertamento emessi in violazione delle norme, tra l’altro, relative alla partecipazione del contribuente all’attività di controllo. Viene quindi elevato a previsione legislativa un principio enunciato dalla Corte di Legittimità (Cass. civ., SS.UU., n. 18184/2013).

Si produce in tal modo, in un’ottica complessiva, una ampia generalizzazione della tutela del contribuente, già accordata anch’ essa a suo tempo dalla giurisprudenza di Legittimità (Cass. sent. n. 701 e 702 del 2019) sia pure limitatamente all’attività di controllo più invasiva svolta dai verificatori presso il contribuente – non quindi “a tavolino” – e conclusasi con la redazione, dapprima, del processo verbale di constatazione.

Infine, resta fermo che ove sussistano ragioni di “fondato pericolo per la riscossione" di cui all’art. 6-bis comma 2 non trova applicazione il contraddittorio in argomento, in quanto la sua attuazione risulta recessiva di fronte all’esigenza di non compromettere definitivamente gli interessi dell’Amministrazione all’apprensione del tributo.

La sua natura generale e il riferimento agli atti impugnabili consentono, inoltre, di estendere da ora l’obbligo il contraddittorio a tutti i procedimenti di rimborso, anche diversi da quelli relativi a tributi armonizzati.

L’ampiezza dell’applicazione del principio del contraddittorio è davvero generalizzata ma risulta comunque gradata nel suo contenuto con riguardo alla tipologia di controllo: all'art. 6, comma 5, la parola: «nulli» è sostituita dalla parola «annullabili», con ciò mantenendo pur sempre la previsione di illegittimità per gli atti della riscossione non preceduti da dialogo tra Ufficio e contribuente, sia pure nella forma meno grave della annullabilità.

Di altrettanto rilevante importanza appare poi la previsione di cui all’art. 6-bis comma 3 dello Statuto, secondo la quale il termine per le controdeduzioni od osservazioni da parte del contribuente può consentirgli anche di richiedere di “accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo”. Si tratta con tutta evidenza di un vero e proprio diritto di accesso, funzionale alla predisposizione di osservazioni più informate e mirate.

Sono chiare qui le influenze della giurisprudenza della Corte dell’Unione, secondo la quale il contribuente deve essere messo in condizione di conoscere, a richiesta, gli elementi sui quali detta decisione si fonda, ivi compresi quelli relativi a procedimenti connessi (Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, causa C-198/16, Ispas; Corte di Giustizia UE, 16 ottobre 2019, causa C-189/18, Glencore) onde permettere una analitica conoscenza, comprensione e ricostruzione dell’intero procedimento di controllo. Il riferimento al “fascicolo” pare infatti ricomprendere ogni informazione istruttoria comunque connessa alla raccolta di informazioni suscettibili di indirizzare l’azione di accertamento; dovrebbe quindi comprendere anche le fonti di innesco di tale attività, incluse le operazioni compiute dagli Uffici nei confronti di altri soggetti purché rilevanti ai fini del controllo del contribuente.

La nuova disciplina dei vizi degli atti impositivi

In attuazione dell'art. 4, comma 1, lett. g), della Legge delega n. 111 del 2023, si introduce una disciplina generale delle invalidità degli atti dell'Amministrazione finanziaria. Le nuove regole se, da un lato, presentano aspetti positivi legati alla scelta di campo emergente dallo schema nel senso di un modello "duale" delle invalidità, dall'altro, presentano diversi profili di criticità tecnica e redazionale, suscettibili di possibili miglioramenti.

Il provvedimento governativo inserisce, nel corpo dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000), gli artt. 7-bis, 7-ter, 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies, regolanti - rispettivamente - i regimi di "annullabilità", "nullità" e "irregolarità" degli atti dell'Amministrazione finanziaria (i primi tre) e la disciplina dei vizi dell'attività istruttoria e dei vizi delle notificazioni (gli ultimi due).

Si evince qui la volontà del legislatore delegato di fornire una regola applicabile alle forme di "invalidità" degli atti e delle attività poste in essere dall’Amministrazione Finanziaria in sede di attuazione amministrativa del prelievo fiscale. E ciò sia per quanto riguarda l’attività istruttoria, sia per quanto riguarda il contenuto dell’avviso di accertamento o dell’atto che comunque ne riepiloga i risultati e ne compendia le conclusioni, sia in ultimo anche per l’attività di messa a conoscenza del contribuente della pretesa, con la notifica del provvedimento che la manifesta.

Così procedendo, si dà origine a un innovativo modello di validità (o per converso di invalidità) degli atti dell’Amministrazione Finanziaria, che assume caratteri in parte propri degli atti amministrativi, in parte esclusivi di quelli degli Uffici finanziari, dei quali rispecchia la particolare attività (sull’ampio tema della "invalidità" giuridica si vedano F. Pepe, Basi concettuali e metodologiche per lo sviluppo di una teoria generale (e plurale) dell'invalidità del settore tributario, in Riv. dottr. fisc., n. 1/2022, pag. 116 ss.; sul tema, in generale, cfr. altresì S. Zagà, Le invalidità nel diritto tributario, Padova, 2012; F. Farri, Forma ed efficacia nella teoria degli atti dell'Amministrazione finanziaria, Wolters Kluwer Italia, 2015).

Appare in primo luogo evidente come risulti sconfessata la tradizionale impostazione "monistica" delle invalidità tributarie - incentrata sull'unico regime di "nullità", costituente in realtà illegittimità, degli atti impositivi viziati (segnala l’utilizzo fuorviante del concetto di "nullità" nella legislazione fiscale, da intendersi correttamente quale "annullabilità-illegittimità" E. Marello, Per una teoria unitaria dell'invalidità nel diritto tributario, in Riv. dir. trib., 2001, I, pag. 379; in tema M. Basilavecchia, La nullità degli atti impositivi: considerazioni sul principio di legalità e funzione impositiva, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2006, I, pag. 356; L. Del Federico, La rilevanza della legge generale sull'azione amministrativa in materia di invalidità degli atti impositivi, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 729; sull'unicità del regime di invalidità tributarie e sulla eguale rilevanza dei vizi, cfr. P. Russo, Le conseguenze del mancato rispetto del termine di cui all'art. 12, ultimo comma della Legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., 2011, I, pag. 1088; F. Pistolesi, La 'invalidità' degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, pag. 1131 ss.).

Sin qui, in applicazione del sistema normativo vigente, la Corte di Legittimità aveva più volte chiarito come (tra molte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18448 del 18/09/2015) in materia tributaria, alla sanzione della nullità comminata dall'art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 o da altre diposizioni non si applica il regime di diritto amministrativo di cui agli artt. 21 septies della l. n. 241 del 1990 e 31, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010, che risulta incompatibile con le specificità degli atti tributari relativamente ai quali il legislatore, nella sua discrezionalità, ha configurato una categoria unitaria d'invalidità-annullabilità, sicché il contribuente ha l'onere della tempestiva impugnazione nel termine decadenziale di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, onde evitare il definitivo consolidarsi della pretesa tributaria, senza che alcun vizio possa, poi, essere invocato nel giudizio avverso l'atto consequenziale o, emergendo dagli atti processuali, possa essere rilevato di ufficio dal giudice.

La nuova impostazione concettuale si fonda ora su una “bipartizione” – che registra la dualità dei dei vizi in argomento – analoga alle previsioni del diritto amministrativo agli artt. 21-septies e 21-octies della l. n. 241 del 1990 e delle successive sue modificazioni.

In primo luogo infatti vengono individuati i vizi suscettibili di essere "dedotti, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado e non [...] rilevabili d'ufficio", ossia quelli derivanti dalla "violazione di legge, ivi incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione e sulla validità degli atti”, come prevede l'art. 7-bis rubricato proprio espressamente “annullabilità" degli atti dell'Amministrazione finanziaria”.

Il regime della annullabilità costituisce quello per così dire ordinario dei vizi dell’atto tributario; detti vizi devono essere eccepiti con il ricorso introduttivo in giudizio a pena di decadenza e non possono essere rilevati d’ufficio dal giudice.

L’elencazione dei generi di vizi contenuti nella disposizione appena citata, secondo quanto riportato nel dossier parlamentare, dovrebbe avere una funzione meramente esemplificativa. Non sembra, pertanto, vigere un regime di tassatività delle ipotesi che danno luogo alla annullabilità, non essendo necessario che una tale conseguenza sia espressamente prevista da una norma di legge.

In secondo luogo, sono individuati i "vizi di nullità" che "possono essere sempre eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito", come prevede l'art. 7-ter rubricato espressamente “nullità degli atti dell’Amministrazione finanziaria”.

I vizi di nullità costituiscono un regime eccezionale dei vizi in argomento, risultando tali solo nei casi previsti espressamente dalla legge; possono essere sempre eccepiti senza limiti di tempo in ogni stato e grado di giudizio, oltre che suscettibili di esser rilevati d’ufficio dal giudice, con l’unico limite della prescrizione del credito del contribuente. La disposizione disciplina espressamente l’ambito temporale della nuova definizione di nullità, stabilendo che questa opera soltanto ove espressamente previsto da una norma di legge che sia peraltro anche successiva alla entrata in vigore del nuovo art. 7-ter.

La disposizione in commento, sotto questo profilo, risulta del tutto peculiare: essa prevede una specifica norma transitoria in un atto normativo sistematico, avente portata generale quindi rivolto a tutti gli atti del sistema dei tributi, quale è lo Statuto dei diritti del contribuente.

Pare infatti possibile che unicamente per ragioni temporali, legate al momento di entrata in vigore della legge che li prevede come tali, alcuni vizi siano previsti come ragioni di nullità, piuttosto che nel nuovo regime “normale” di annullabilità”. Se ciò avvenisse nel corso dello svolgimento dei giudizi di impugnazione, tali atti – per ragioni non ragionevolmente prevedibili – risulterebbero travolti da ragioni di invalidità del tutto sopravvenute al loro confezionamento.

Infine, il legislatore della riforma quale categoria che appare assumere, alla luce della sua autonomia concettuale portata residuale, individua in terzo luogo le mere "irregolarità", identificate nella "mancata o erronea indicazione delle informazioni di cui all'art. 7, comma 2" dello Statuto del contribuente, ossia di quelle informazioni volte a facilitare il privato nella successiva eventuale attività di acquiescenza all’atto o di impugnazione dello stesso di fronte al giudice tributario.

Venendo al contenuto delle violazioni, intese come difformità dal modello legale suscettibili di ripercuotersi in modo negativo sulla pretesa veicolata dall’atto dell’Amministrazione Finanziaria – quelle costituenti "annullabilità" sono riferite a trasgressioni di qualsiasi norma attinente alla dimensione formale e attuativa del prelievo, vale a dire procedimentale. Vengono così esclusi da tale categoria i vizi di merito, che riguardano la fondatezza" della pretesa, sotto il profilo della credibilità e ragionevolezza delle argomentazioni in fatto e/o in diritto poste dall'Amministrazione alla base delle proprie pretese.

Tali vizi, comunque in grado di portare alla rimozione dell’atto, risultano ora oggetto di tutela per il contribuente che li eccepisca nel ricorso dall'art. 7, comma 5-bis d. Lgs. n. 546 del 1992 (C. Glendi, L'istruttoria del processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana! in IPSOA Quotidiano del 24 settembre 2022).

Detta disposizione, infatti, da un lato ripartisce l'onere della prova tra Ufficio e contribuente nella fase giurisdizionale; dall’altro prevede che solo l’esistenza di soglia minima di "fondatezza" della pretesa risultante dalla convergenza della prova del fatto che giustifica la pretesa e il dato normativo sostanziale che la descrive nei requisiti di contenuto, fa concludere per l’assolvimento dell’onere che grava sull’Amministrazione. Ove ciò manchi, si verifica l’"annullamento" dell'atto impositivo (in tema F. Tundo, La tela di Penelope delle riforme fiscali, tra giustizia e Legge delega: epicedio della certezza del diritto?", in Riv. tel. dir. trib. del 7 novembre 2023, parte prima e 9 novembre 2023, parte seconda).

Si osserva quindi, in concreto, una tipizzazione dei regimi di invalidità degli atti dell’Amministrazione Finanziaria che ha come effetto quello di impedire all’interprete da un lato di negare l’esistenza dei vizi indicati nelle surrichiamate disposizioni; dall’altro di obbligare lo stesso interprete a valutare - di volta in volta - l'esistenza o meno del singolo vizio e la sua ascrivibilità ora all’una ora all’altra categoria. E l’operazione intellettuale di sussunzione del vizio nel luogo concettualmente corretto comporta sia la modulazione delle cause di nullità degli atti impositivi, sia la loro chiara previsione (come prevede l'art. 7-ter al comma 1) da parte di successive norme di legge.

Si tratta sotto questo profilo di una norma in parte ancora “in bianco”, potendo il legislatore integrare analiticamente la previsione delle cause di nullità nel prosieguo.

Certo, da ora in poi la più grave conseguenza della nullità per l’atto affetto da tali vizi dovrà destare particolare attenzione in capo al personale dell’Amministrazione Finanziaria (F. Pepe, "Delega fiscale: prospettive di riforma delle invalidità degli atti impositivi", in Il fisco, n. 21/2023, pagg. 2023-2024). Dal punto di vista del significato terminologico, la "nullità" di cui all’art. 7-ter chiarisce infatti la natura insanabile processualmente, al punto da derogarsi ai termini decadenziali di impugnazione e da consentire il rilievo d’ufficio dei vizi di nullità da parte del giudice in ogni stato e grado del processo, con conseguente inidoneità dell'atto alla produzione dell'effetto giuridico obbligatorio nei confronti del destinatario.

Ne deriva in ultimo quale effetto più dirompente la ripetibilità delle somme eventualmente versate, salva la prescrizione del credito, dunque considerate "indebite".

Inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti oltre il termine per l’esercizio dell’attività di accesso, ispezione e verifica ex art. 12 c. 5 dello Statuto

L'art. 7-quinquies, stabilendo che "non sono utilizzabili ai fini dell'accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all'art. 12, comma 5, o in violazione di libertà costituzionalmente riconosciute" introduce ex lege in modo espresso e personalizzato nel sistema tributario, per la prima volta, un nuovo concetto – riecheggiante l’istituto processual-penalistico della "inutilizzabilità" – di elementi di prova illegittimamente acquisiti.

Sino ad ora, non vigeva in materia di attività istruttoria tributaria alcuna disposizione analoga all’art. 191 c.p.c., secondo il quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento”.

Peraltro, la disposizione in esame pare accogliere una qualificazione delle violazioni che qui rilevano in senso restrittivo, limitando quindi la conseguente inutilizzabilità o al mancato rispetto, per la sua acquisizione, al termine di cui all’art. 12 comma 5 dello Statuto, o alle violazioni esclusivamente lesive di libertà costituzionali (in argomento Cass., ord. n. 14701/2018, n. 27149/2011, n. 38750/2021; ord. n. 10175/2022; contra, nel senso dell'invalidità derivata, Cass., SS.UU., n. 8587/2016). Evidentemente, sarà necessario qui verificare in quali casi la giurisprudenza riterrà sussistenti dette lesioni dei diritti fondamentali, in quanto l’elemento del vulnus ad essi risulta dirimente al fine di farne derivare l’invalidità delle acquisizioni probatorie.

Analogo effetto demolitorio la riforma collega all’atto fondato su elementi di prova acquisiti in violazione del divieto di permanenza "oltre termine" dei verificatori presso il contribuente, con ciò potenziando la garanzia di cui al citato art. 12 , comma 5, rispetto alla sua de-quotazione da parte del "diritto vivente” (si veda Cass., ord. n. 18390/2018; in dottrina, A. Viotto, La permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, in Riv. dir. trib., 2013, I, pag. 203 e seguenti).

Anche sotto questo profilo, la riforma segna sul punto una rivoluzione copernicana.

Ad oggi, la giurisprudenza di Legittimità (Cass. n. 10979/2019 tra molte) è infatti del tutto irremovibile – tra le critiche della dottrina (A. Colli Vignarelli, Violazione del termine di permanenza dei verificatori nella sede del contribuente e nullità dell’accertamento, in Riv. dir. trib., 2014, I, 251 ss.) nell’escludere ogni conseguenza invalidante della violazione anzidetta. Ciò sulla base di due osservazioni. In primo luogo, si ritiene che “in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati. Secondariamente, l’anzidetto termine “è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione.

Con la nuova previsione normativa, il legislatore pare aver deciso per la scelta più radicale, quella della inutilizzabilità quale causa di nullità degli atti tributari così prodotti (poiché il vizio riguardante le acquisizioni in argomento è suscettibile di rilievo anche officioso in ogni stato e grado del procedimento). Da un lato, quindi – a meno di non interpretare l’uso del termine “procedimento” come riferito solo alla vicenda procedimentale in senso proprio, vale a dire prima del processo di fronte al giudice tributario – le operazioni di accesso, ispezione e verifica risultano da ora in poi meritevoli di particolare attenzione da parte degli Uffici, potendo un vizio nella istruttoria avere conseguenze radicali sull’avviso di accertamento che ne derivi.

Invero, la riforma ha scelto sul punto una via di radicale illegittimità senza alcuna gradazione in ordine alla rilevanza concreta degli elementi in argomento.

Essa infatti non distingue neppure, come la dottrina in parte suggeriva, tra acquisizioni di elementi di prova essenziali ai fini della manifestazione della pretesa per maggiori tributi, che viene così a fondarsi esclusivamente su di essi, e acquisizioni di elementi di prova per così dire secondari a tali fini (in argomento, si vedano Bodrito A. – Contrino A. – Marcheselli A., Torino, 2012, 510, ove indicazioni di dottrina e giurisprudenza, e, da ultimo, Boria P., Diritto tributario, Torino, 2016, 408 ss.; Tinelli G., Istituzioni di diritto tributario. I principi generali, CEDAM, 2016, 308 ss.; Melis G., Lezioni di diritto tributario, Torino, 2017, 321 ss; Beghin M., Diritto tributario, Padova, 2018, 307 ss.).

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