Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista.
È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche (tra le altre Altalex, Quotidiano Giuridico, NTPLus, 24OreAvvocato, AlVolante, InSella, D… continua a leggere
E’ nullo l’accordo sottoscritto dal marito in sede di separazione personale dei coniugi e omologato, se condizionato dalle minacce da parte della benestante famiglia della moglie. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 20 febbraio 2024, n. 4440.
L’accordo di separazione consensuale
Un uomo ha convenuto in Tribunale la moglie, dal quale è separato, per sentir accogliere la domanda di annullamento, ex art. 1427 c.c. e, per l'effetto, dichiarare nullo per vizio del consenso ex art. 1434 c.c., l'accordo di separazione consensuale raggiunto dai coniugi e omologato, che lo stesso aveva firmato nonostante non fosse stato previsto un assegno di mantenimento in suo favore e, inoltre, in ragione del suo stato di disoccupazione, non era stata prevista la contribuzione al mantenimento della figlia, affidata in modo condiviso ai genitori ma collocata presso la madre. Il Tribunale rigettava la domanda e la Corte territoriale respingeva l'appello.
La Corte di Cassazione ha tuttavia accolto il ricorso dell'uomo, rinviando la causa, per la decisione, al giudice territoriale.
Le minacce e le intimidazioni
L'attore aveva esposto che, a seguito della separazione, era stato allontanato dai dagli affari di famiglia nonostante lo stesso, formalmente assunto come impiegato, avesse svolto funzioni dirigenziali occupandosi sia delle aziende di famiglia che delle altre aziende del suocero. I suoi tentativi di recuperare il rapporto coniugale erano stati ostacolati, e aveva ricevuto minacce a opera di ignoti e atti intimidatori culminati nell’avergli fatto trovare un gatto impiccato dietro il bungalow dove si era sistemato.
Lo stesso aveva dichiarato di essersi sentito costretto a sottoscrivere l'accordo separativo congiunto che gli era stato sottoposto, senza la possibilità di vedersi riconosciuto il mantenimento e neppure ottenere migliori condizioni di quelle già previste, sicché il processo di formazione della sua volontà era stato condizionato.
Lo stesso aveva rappresentato che la separazione a quelle condizioni era un'imposizione che lo aveva privato di ogni diritto economico, nonostante l'abissale differenza economica e patrimoniale dei coniugi.
La violenza morale che invalida il consenso
La Cassazione ha rammentato, in tema di violenza morale, come vizio che invalida il consenso, che i requisiti ex art. 1435 c.c. possono atteggiarsi in modo vario, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito oppure mediante un comportamento intimidatorio.
In ogni caso, a dir dei giudici romani, è necessario che la minaccia sia stata diretta a estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione della stessa.
Richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, viene ribadito che il contratto non può essere annullato ex art. 1434 c.c., ove la determinazione della parte sia stata indotta da timori meramente interni, ovvero da una personale valutazione di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti come idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie opzioni.
La motivazione del giudice di merito
Per La Corte di Cassazione i giudici territoriali non hanno correlato la disamina delle deposizioni testimoniali agli elementi rilevanti per l'accertamento richiesto, che riguardava la prospettata coartazione della volontà del ricorrente in epoca antecedente e coeva al momento della firma dell'accordo, giacché, per affermare che era stato smentito il timore manifestato, è stato assegnato rilievo a ciò che accadde dopo la sottoscrizione dell'accordo, sia in relazione all'andamento della frequentazione familiare con la figlia che ai rapporti economici e lavorativi con la ex.
La Cassazione ha inoltre rilevato che non si rinviene alcuna valutazione sui fatti narrati dall'uomo neppure per smentirne l'attendibilità, e difetta ogni apprezzamento sui rapporti economici tra le parti prima e dopo la separazione.
Altresì, la corte territoriale non aveva valutato la posizione economica della donna su cui l'uomo si era soffermato deducendone l'avvenuto pregiudizio, e sulla rilevanza economica e sociale della donna, mentre è risultata apparente la motivazione sull'assenza di capacità intimidatoria di quanto riferito da un testimone e sul contesto sociale e culturale.
La Cassazione ha quindi annullato la sentenza rinviando la causa alla Corte d'appello, che dovrà applicare i principi esposti, in sede di rinvio.