Responsabilità civile

Assicurazione sulla vita: irragionevole il termine di prescrizione biennale

Con la sentenza n. 32 del 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. – dell’art. 2952, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, nella parte in cui prevede un termine di prescrizione biennale per far valere i diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita, poiché, a fronte della prevalente funzione del contratto di assicurazione sulla vita di risparmio previdenziale, correlata all’alea della durata della vita, non è giustificata ed è lesiva delle finalità perseguite la previsione di un sì breve termine di prescrizione per acquisire somme che derivano dal meccanismo di accumulo del risparmio e che spettano al verificarsi di eventi – la morte o la sopravvivenza alla data di scadenza dell’assicurazione – che non implicano, in genere, alcuna complessità di accertamento.

Il caso

Con ordinanza del 31 maggio 2023, la Corte d’appello di Firenze sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2952, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, nella parte in cui prevede un termine di prescrizione biennale per far valere i diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.

Il giudice a quo assumeva che il breve termine di prescrizione imposto per le polizze vita sarebbe risultato manifestamente irragionevole, in quanto non avrebbe reso effettivo il possibile esercizio di diritti derivanti da un contratto che ha una funzione di risparmio previdenziale, specie da parte dei beneficiari, in caso di decesso dell’assicurato, tanto più che – nel periodo di vigenza della disposizione – le assicurazioni non disponevano di strumenti informatici che consentissero loro di accertare lo stato degli assicurati delle polizze vita, e non erano tenute ad attivarsi per informare i beneficiari della polizza.

Peraltro, in ragione dell’obbligo posto a carico delle società di assicurazioni di procedere, una volta decorso il termine di prescrizione, alla devoluzione delle somme non reclamate dai beneficiari al fondo dei “rapporti dormienti”, sarebbe stato inibito a tali imprese di effettuare il pagamento degli importi dovuti, omettendo di eccepire la prescrizione. Oltretutto, a differenza di quanto disposto dalla sopravvenuta normativa, non applicabile ratione temporis ai rapporti in questione, i beneficiari non venivano neppure avvisati del versamento al fondo dei “rapporti dormienti”, né potevano rivolgersi a tale fondo.

In definitiva, ad avviso del giudice rimettente, sarebbe stato concepito un meccanismo che introduce una sorta di automatico e irreversibile “esproprio”, a favore di un fondo statale, in pregiudizio dei diritti dei beneficiari ai quali erano indirizzate le somme frutto del risparmio dei contraenti, e questo in patente contraddizione con la speciale protezione che il legislatore, in attuazione del dovere della Repubblica di tutelare il risparmio previdenziale, assicura invece alle stesse polizze vita in altri ambiti.

Il giudice chiedeva, pertanto, un intervento ablativo con riferimento alle polizze vita, che avrebbe avuto come conseguenza l’espansione del termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c.

La decisione della Corte costituzionale

Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma censurata per contrasto con il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e, al tempo stesso, con i diritti che derivano dal risparmio previdenziale, tutelato dall’art. 47 Cost., nella parte in cui non prevede l’esclusione, dal termine di prescrizione biennale, dei diritti che derivano dai contratti di assicurazione sulla vita, per i quali opera la prescrizione decennale.

La Corte ha premesso che nella disciplina della prescrizione il legislatore gode di ampia discrezionalità che gli consente di perseguire finalità pubblicistiche e, al contempo, di bilanciare gli interessi privatistici delle parti che si contrappongono. Può, in particolare, stabilire lunghi termini di prescrizione, così come può, invece, prevedere termini brevi, magari associati ad una flessibilità del termine di decorrenza ed eventualmente abbinati – sul modello di altri ordinamenti giuridici – ad un termine finale che non si può oltrepassare. Nondimeno, tale ampia discrezionalità incontra un limite: quello di non poter essere esercitata in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso. Tale limite è stato ritenuto valicato dalla disposizione censurata.

Quindi, la Corte ha evidenziato che l’art. 2952, comma 2, c.c. prevede che gli “altri diritti”, rispetto a quelli indicati al primo comma, derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda. A tali “altri diritti” si ascrive, in particolare, quello che, insieme al pagamento dei premi (evocato al comma 1), dà attuazione alla funzione del contratto: vale a dire, il diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al terzo beneficiario.

Ha altresì precisato la Corte che la formulazione della previsione censurata è quella vigente dopo la sostituzione del comma 2 dell’art. 2952 c.c. disposta dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quella prevista dall’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito. Nello specifico, la disciplina introdotta nel 2008 ha elevato a due anni il termine di prescrizione, che originariamente era di un anno, mentre la riforma del 2012 ha escluso da tale prescrizione biennale i diritti che derivano dal contratto di assicurazione sulla vita, ai quali si applica la prescrizione decennale.

Ora, in base all’assunto del Giudice delle leggi, l’art. 2952, comma 2, c.c. fa perno su due elementi: la durata biennale del termine di prescrizione e il termine di decorrenza identificato nel fatto su cui il diritto si fonda. Il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione biennale è dunque costituito da un parametro che, nel caso delle somme dovute dall’assicuratore all’assicurato o al beneficiario, si identifica negli eventi – la morte o la sopravvivenza alla data di scadenza del contratto – che consentono l’acquisizione del diritto maturato in virtù dell’assicurazione e, nel caso del terzo beneficiario, della designazione. Ed ancora il carattere oggettivo del dies a quo nell’assicurazione sulla vita non è messo in discussione dal diritto vivente (Cass. civ., sez. 3, ord. 21 ottobre 2022, n. 31144; sez. 6, ord. 15 settembre 2020, n. 19112; sez. 3, ord. 25 agosto 2020, n. 17672). Anzi, esso viene giustificato con l’esigenza, propria delle imprese assicurative, di avere certezza circa il momento in cui il diritto può essere fatto valere, onde poter approntare un’organizzazione tecnico-giuridica idonea a garantire il tempestivo pagamento delle somme spettanti agli assicurati.

Tanto premesso, la Corte ha osservato che l’abbinamento a tale dies a quo oggettivo di un termine di prescrizione breve presenta, nel contesto delle polizze vita, profili di manifesta irragionevolezza. Da un lato, infatti, non si riscontra, rispetto ai diritti che derivano dall’assicurazione sulla vita, quella esigenza di un pronto accertamento del diritto che può giustificare una prescrizione breve. Dall’altro, l’assicurazione sulla vita abbraccia fattispecie nelle quali il titolare del diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore è di frequente un terzo beneficiario, il quale ben potrebbe ignorare di essere titolare del diritto e, dunque, potrebbe risultare particolarmente pregiudicato da un termine di prescrizione breve.

Sotto il primo profilo, la Corte ha rilevato che nell’assicurazione sulla vita non ricorre la medesima necessità di rapida verifica del fatto costitutivo del diritto, che emerge nell’ambito dell’assicurazione contro i danni. Nel contesto di quest’ultima tipologia contrattuale, il diritto all’indennizzo in tanto spetta, in quanto siano accertati l’evento lesivo coperto dall’assicurazione, il nesso di causalità e i danni per i quali si richiede l’indennizzo. Per converso, l’assicurazione sulla vita non svolge una funzione indennitaria rispetto al verificarsi di un sinistro, ma ha una prevalente funzione di risparmio previdenziale, correlata all’alea della durata della vita. Tramite l’accantonamento dei premi e il loro eventuale rendimento, infatti, il contratto offre una tranquillità economica all’assicurato o a terzi, al verificarsi di eventi della vita (dell’assicurato o di terzi), quali il decesso o la sopravvivenza alla scadenza del contratto.

A ulteriore conforto di tale ricostruzione, è stato sottolineato che le somme dovute dall’assicuratore non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare (art. 1923, comma 1, c.c.) e il contratto deve regolare i diritti di riscatto e di riduzione della polizza (art. 1925 c.c.), istituti non applicabili alle altre assicurazioni.

A fronte, pertanto, della prevalente funzione del contratto di assicurazione sulla vita, secondo la Corte, non è giustificata la previsione di un sì breve termine di prescrizione per acquisire somme che derivano dal meccanismo di accumulo del risparmio e che spettano al verificarsi di eventi – la morte o la sopravvivenza alla data di scadenza dell’assicurazione – che non implicano, in genere, alcuna complessità di accertamento.

Ha continuato la Consulta nel senso che la pretesa che un tale diritto sia esercitato in tempi molto brevi si risolve in una eccessiva difficoltà, se non in una impossibilità di farlo valere, posto, in particolare, che nessuna previsione di legge stabilisce che l’assicurato debba informare il beneficiario della designazione. Al contrario, il legislatore ha stabilito che l’assicurato possa sempre revocare il beneficio (art. 1921 c.c.), finanche tramite testamento (art. 1920 c.c.), salvo che l’evento si sia verificato o l’assicurato abbia rinunciato per iscritto alla revoca e il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio. Si riscontra, dunque, una situazione che ha forti similitudini con l’istituto dell’accettazione dell’eredità, allorché colui che ha il diritto di accettare non sappia di essere stato designato quale erede dal testamento. In tal caso, però, il legislatore compensa l’oggettività del dies a quo – che decorre dall’apertura della successione e, dunque, dalla morte del de cuius, salva l’ipotesi della istituzione condizionale che fa principiare il computo del termine a partire dal verificarsi della condizione – con la previsione del termine decennale di prescrizione (art. 480, comma 1, c.c.).

Né, ha puntualizzato la Corte, un obbligo di informazione sussisteva in capo allo stipulante. In disparte la riconducibilità o meno alla regola di correttezza di un tale dovere di informazione – ciò che il diritto vivente aveva escluso (Cass. civ., sez. 6, ord. 26 settembre 2018, n. 23069) –, in ogni caso, esso non sarebbe stato esigibile prima del 2018. Infatti, solo con l’art. 20-quinquies, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito – che è intervenuto sull’art. 3 del d.P.R. n. 116 del 2007 – è stato disposto che le imprese di assicurazione verifichino, entro il 31 dicembre di ciascun anno, tramite servizio di cooperazione informatica con l’Agenzia delle entrate, esclusivamente per i dati strettamente necessari, l’esistenza in vita degli assicurati e che, in caso di corrispondenza tra il codice fiscale dell’assicurato e la persona deceduta, le imprese si attivino per la procedura di corresponsione della somma assicurata al beneficiario, inclusa la ricerca del beneficiario ove non espressamente indicato nella polizza (art. 3, comma 1-bis, del citato d.P.R.). Sennonché, quando tale disciplina è stata introdotta, la disposizione censurata già non era più in vigore.

Peraltro, ha altresì sostenuto la Corte che, in ogni caso, l’eventuale violazione del dovere informativo assicura al più una tutela risarcitoria, sicché opportunamente la previsione dell’obbligo di informazione è stata aggiunta alla nuova disciplina, che ha introdotto nel 2012 il termine di prescrizione decennale, rendendo così possibile e non eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti, di cui all’art. 2952, comma 2, c.c., derivanti dall’assicurazione sulla vita.

Infine, il Giudice delle leggi ha prospettato un’ulteriore ragione atta a delineare un quadro di estrema difficoltà, se non talora di impossibilità, a far valere i diritti regolati dalla norma censurata. Si tratta del coordinamento sistematico di tale previsione con quella secondo cui gli importi non reclamati entro il termine di prescrizione debbano essere devoluti al fondo costituito con i rapporti “dormienti”, di cui all’art. 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005. Tanto è stato stabilito, in particolare, l’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, che ha aggiunto, all’art. 1 della legge n. 266 del 2005, il comma 345-quater (poi ulteriormente modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del d.l. 9 ottobre 2008, n. 155, convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2008, n. 190). L’intervento è stato contestuale alla introduzione, con l’art. 3, comma 2-ter, del medesimo d.l. n. 134 del 2008, sopra citato, della disposizione recante la norma censurata, che ha portato il termine di prescrizione degli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione da uno a due anni.

In base alla ricostruzione della Corte, prima di tale novella, se è vero che il termine di prescrizione di cui all’art. 2952, comma 2, c.c., risultava, nel caso del contratto di assicurazione, ancora più breve (uno anziché due anni), nondimeno si era diffusa una prassi che di fatto garantiva una tutela. Le imprese di assicurazione non sollevavano l’eccezione di prescrizione ed eseguivano la prestazione nei confronti dei beneficiari, quando questi non avessero potuto avere tempestiva conoscenza del proprio diritto, sempre che le richieste di liquidazione fossero pervenute entro dieci anni dalla morte dell’assicurato o dalla scadenza del contratto. Prassi suggerita dallo stesso ISVAP, oggi IVASS, in base all’art. 13 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 – che aveva rilevato come la maggior parte dei casi di richieste non tempestive dipendessero dal fatto che i beneficiari non erano a conoscenza dell’esistenza della polizza, avendo ritrovato la documentazione solo in un momento successivo al decesso dell’assicurato (punto 8 della circolare n. 403/D del 16 marzo 2000). Per converso, il sopravvenuto obbligo di devolvere al fondo costituito con i rapporti “dormienti” le somme che non fossero state richieste, entro il termine di prescrizione, ha indotto le imprese assicurative a eccepire la prescrizione e ha impedito ai beneficiari di poter confidare finanche nella tutela offerta dall’art. 2940 c.c., che esclude la ripetizione dei debiti prescritti che siano stati spontaneamente adempiuti.

La Corte ha, poi, aggiunto che la norma censurata lede, al contempo, l’art. 47 Cost., che tutela il risparmio in tutte le sue forme, poiché sacrifica diritti che, in virtù del contratto di assicurazione sulla vita, derivano dal risparmio previdenziale.

Vero è che l’art. 1882 c.c. dà una definizione ampia dell’assicurazione sulla vita, facendo riferimento al contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana, tuttavia, la funzione che primariamente si rinviene in concreto nei contratti ascrivibili a tale tipo negoziale – e che è riflessa nella disciplina dettata dal Libro IV, Titolo III, Capo XX, Sezione III, del codice civile – è quella di preservare il risparmio in funzione previdenziale e di operare una capitalizzazione correlata al c.d. rischio demografico (Cass. civ., sez. 2, sent. 22 ottobre 2021, n. 29583; sez. 3, sent. 15 aprile 2021, n. 9948; sez. 1, sent. 14 giugno 2016, n. 12261; Sez. un., sent. 31 marzo 2008, n. 8271).

La tutela del risparmio è, infatti, sempre soggetta a possibili bilanciamenti, purché non venga irragionevolmente compressa. È, del resto, emblematico che lo stesso legislatore, nel sostituire la disposizione censurata con la legge n. 221 del 2012, di conversione del d.l. n. 179 del 2012, che ha escluso dall’applicazione del termine di prescrizione biennale, di cui all’art. 2952, comma 2, c.c., i diritti che derivano dal contratto di assicurazione sulla vita, abbia voluto esplicitare le ragioni dell’intervento, facendo riferimento all’esigenza di superare possibili disparità di trattamento tra i consumatori nel settore delle polizze vita. La norma oggi vigente ha, dunque, applicato ai diritti di cui all’art. 2952, comma 2, c.c., che derivano dalla assicurazione sulla vita, la prescrizione ordinaria, distinguendo la loro disciplina da quella dei diritti derivanti dai contratti di assicurazione contro i danni.

Esito del giudizio di costituzionalità:

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2008, n. 166, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, nella parte in cui non prevede l’esclusione, dal termine di prescrizione biennale, dei diritti che derivano dai contratti di assicurazione sulla vita, per i quali opera la prescrizione decennale.

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