Penale

Correttivo alla Riforma Cartabia: le novità in tema di riti alternativi

Il D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, attuando una previsione della legge delega n. 134/2021, ha “corretto” la “Riforma Cartabia”, occupandosi anche della disciplina dei riti alternativi. Le novità relative a tali profili sono minime e sono volte a rimediare a difetti coordinamento tra le norme del codice di rito che sono state riformate dal D.Lgs. n. 150/2022. Esse, pertanto, non incidono in modo significativo sulle disposizioni risultanti dalla riforma del 2022, le quali non sembrano essersi rivelate in grado di aumentare il numero dei riti speciali, sebbene si continui a confidare anche su questi per il recupero di efficienza del processo penale ed il raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano per la ripresa dell'Europa. Rimane inalterata la sensazione che la riforma abbia solo rideterminato gli spazi assegnati all'uno o all'altro procedimento deflattivo, modificando il rapporto di proporzione tra gli stessi, senza alcun reale beneficio per il complessivo sistema giustizia e senza ridurre i carichi del rito dibattimentale.

Premessa

L’art. 1, comma 4 della legge delega n. 134/2021 prevedeva che il Governo, entro due anni dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega e nel rispetto dei principi e criteri direttivi per essa stabiliti, potesse emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi. Tale facoltà è stata esercitata con il D.Lgs. n. 31/2024 con cui sono stati apportate modifiche anche alla disciplina dei riti alternativi al dibattimento.

Va subito anticipato che si tratta di un mero intervento integrativo o correttivo della precedente riforma che, pertanto, si sviluppa nel rispetto dei principi e criteri direttivi della legge delega e che non consiste in modifiche radicali degli istituti.

La legge delega n. 134/2021, in particolare, nell’ambito degli interventi finalizzati al perseguimento del recupero dell’arretrato pendente sugli uffici giudiziari, prevedeva anche la riforma dei riti alternativi al dibattimento individuati come uno strumento determinante per rendere più veloce il processo. L’Italia, infatti, ha assunto l’impegno di ridurre in cinque anni del 40% il tempo medio di durata dei procedimenti civili e del 25% di quelli penali nonché di ridurre del 90% l’arretrato che grava sugli uffici giudiziari. Si tratta di obiettivi fondamentali perché dal loro raggiungimento dipende il conseguimento dei fondi previsti dal Piano per la ripresa dell'Europa (cfr. M. Cartabia, Ridurre del 25% i tempi del giudizio penale: un’impresa per la tutela dei diritti e un impegno con l’Europa, per la ripresa del Paese, in www.sistemapenale.it, 31 maggio 2021).

Il legislatore delegante, pertanto, fissava alcuni criteri direttivi volti a migliorare l'accesso ai riti deflattivi, ampliandone i limiti di ammissibilità o incentivandone la scelta con maggiori vantaggi premiali.

La delega è stata esercitata con il D.Lgs. n. 150/2022.

Ad un anno dall’entrata in vigore della riforma non sembra che sia aumentato il numero dei procedimenti definiti con i riti speciali, non essendo emerso un significativo cambiamento di tendenze.

Del resto, le novità introdotte nella disciplina di questi istituti sono state poche e soprattutto non sono sembrate in grado di determinare radicali sconvolgimenti nell’approccio ai riti alternativi.

Le modifiche normative, più che ridurre i carichi dibattimentali, sembrano aver semplicemente ridisegnato gli spazi di un rito a vantaggio di altro procedimento deflattivo, senza un reale beneficio complessivo per il processo penale (F. Zacché, I riti alternativi nella legge delega e l'obiettivo giustizia -25%, in A. Marandola (a cura di), Riforma Cartabia e processo penale. La legge delega tra impegni europei e scelte valoriali, Milano, 2022, p. 101).

La dottrina, d’altronde, aveva criticato la legge delega n. 134/2021, ritenendo che, proprio in relazione ai riti alternativi, si fosse mancata l’occasione della riforma (A. Bassi, I riti speciali nella riforma Cartabia: un’occasione mancata?, in www.ilpenalista.it, 25 ottobre 2021; G. Varraso, La legge “Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, in www.sistemapenale.it, 8 febbraio 2022).

L’intento perseguito dal legislatore delegante, invero, era anche quello di realizzare uno degli obiettivi originari del codice di procedura penale del 1988: evitare il dibattimento per i reati di gravità medio-bassa, riservando il modello processuale connotato dal contraddittorio dibattimentale nella formazione della prova per i reati più gravi, compresi quelli di criminalità organizzata.

Tali intendimento, tuttavia, non sembra aver trovato riscontro neppure dopo le riforme del 2022, essendo tuttora possibile ravvisare il sostanziale ribaltamento della prospettiva codicistica: la celebrazione del dibattimento per i reati meno gravi, puniti con pene modeste, suscettibili astrattamente di rientrare nell’ambito della sospensione condizionale della pena e, comunque, di essere eseguite con modalità alternative alla detenzione in carcere, anche in virtù del progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 656 c.p.p.; l’accesso ai riti alternativi, in particolare al giudizio abbreviato, da parte degli imputati chiamati a rispondere di reati severamente puniti, ai quali la riduzione di un terzo della pena appare particolarmente vantaggiosa.

Questo capovolgimento del modello processuale, che è stata fonte di gravi distorsioni anche in termini di pubblicità del processo e di conseguente controllo da parte dell’opinione pubblica, non è mutato neppure dopo le riforme del 2022. Anzi, essa sembra essere stato accentuato dalla previsione dell’art. 442, comma 2-bis, c.p.p., che prevede l’ulteriore riduzione di un sesto della pena in caso di mancata impugnazione di una sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato.

Le novità in tema di giudizio abbreviato

Con il decreto legislativo correttivo della “Riforma Cartabia”, il legislatore è tornato sulla disciplina del giudizio abbreviato condizionato, sostituendo le parole “ai prevedibili tempi dell'istruzione”, con quelle “all'istruzione” (art. 2, comma 1, lett. p), del D.Lgs. n. 31/2024).

Appare opportuno fare un passo indietro. L’accesso al giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, come è noto, presuppone la presenza di due presupposti: la necessità dell’integrazione ai fini del giudizio finale sull'imputazione e la sua compatibilità con la finalità di economia processuale proprie del rito.

Il secondo requisito, secondo l’interpretazione della norma accolta anche dalla Corte costituzionale, impone al giudice di effettuare un confronto tra il rito speciale ed il giudizio ordinario dibattimentale: si tratta di un concetto di relazione che esige di avere riguardo all’onerosa formazione della prova in dibattimento, mentre non va eseguita una comparazione con il giudizio abbreviato “puro” o “secco” (Corte cost., n. 115 del 9/5/2001). In questa prospettiva, il giudizio abbreviato, anche se subordinato a consistente integrazione probatoria, si traduce sempre in una consistente economia processuale rispetto alla più onerosa formazione della prova in dibattimento, con la conseguenza che il rilievo selettivo di questo requisito per l’accesso al giudizio abbreviato dovrebbe essere molto svilito (secondo la sentenza della Corte costituzionale dapprima citata, "qualunque atto istruttorio necessario è più economico quando assunto nel contesto del rito abbreviato").

Un indirizzo giurisprudenziale, peraltro, ha continuato a ritenere che la valutazione circa la compatibilità dell'integrazione probatoria richiesta con le finalità di economia processuale proprie del procedimento attiene al rapporto interno tra l'integrazione stessa ed il rito, senza alcuna proiezione futura sull'eventuale dibattimento (cfr. Cass. pen., Sez. III, n. 24670 del 3/5/2023). Si afferma che, in tema di giudizio abbreviato condizionato, la compatibilità della integrazione probatoria con le finalità di economia processuale proprie del procedimento debba essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta del rito e non ex post, in base ai tempi del dibattimento tenutosi a seguito del rigetto della stessa (tra le altre, Cass. pen., Sez. III, n. 3993 del 1/12/2020, in CED Cass. 280873).

Pertanto, è stato ritenuto legittimo il diniego di accesso al rito abbreviato quando la condizione riguarda l’esame di un numero talmente elevato di testimoni da rendere incompatibile il rito speciale con le esigenze di economia processuale. Secondo questa impostazione, il rito speciale si rivela incompatibile con le esigenze di economia processuale ed addirittura "diseconomico" rispetto alla durata ragionevolmente prevedibile del giudizio celebrato nelle forme ordinarie (Cass. pen., Sez. III, n. 28141 del 17/5/2012; Cass. pen., Sez. I, n. 315 del 12/11/2018, dep. 2019; Cass. pen., Sez. III, n. 28693 del 23/2/2017).

Per verificare la sussistenza del requisito in esame, inoltre, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice deve valutare la complessità qualitativa e quantitativa non solo delle prove richieste dall'imputato, ma anche di quelle a controprova che, presumibilmente, il pubblico ministero sarà indotto a chiedere; non può invece tenere conto delle prove che egli stesso potrebbe decidere di assumere ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p., trattandosi di una complicazione istruttoria meramente eventuale, non pronosticabile al momento della decisione sull'ammissibilità del giudizio abbreviato e dipendente non dalle richieste probatorie dell'imputato, ma dall'esito delle prove assunte (Cass. pen., Sez. III, n. 219 del 21/10/2004, dep. 2005; Cass. pen., Sez. I, n. 5942 del 26/11/2008, dep. 2009). Anche il riferimento alla probabile contro-prova che sarebbe richiesta dal pubblico ministero è stato adoperato per negare l’accesso al rito speciale in esame.

In questo contesto, l’art. 1, comma 10, lett. b), n. 1, della legge delega n. 134/2021, al fine di incentivare il ricorso al rito speciale, aveva assegnato al legislatore delegato il compito di modificare la regola di giudizio per l’accesso al rito abbreviato subordinato a un’integrazione probatoria, prevedendone l’ammissione “se l’integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e se il procedimento speciale produce un’economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale”.

In attuazione di questo criterio direttivo della legge delega, l’art. 24, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 150/2022 ha riformato l’art. 438, comma 5 e 6-ter, c.p.p.

In particolare, l’art. 438, comma 5, c.p.p. è stato modificato in modo da recepire, in modo puntuale, il criterio prognostico della delega, che impone di mettere in rapporto il supplemento probatorio richiesto nel corso del giudizio abbreviato con l’istruzione dibattimentale da svolgersi in dibattimento. Il giudice, in base alla norma come riformulata, dispone il giudizio abbreviato se, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili, l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione “e il giudizio abbreviato realizza comunque una economia processuale, in relazione ai prevedibili tempi dell’istruzione dibattimentale”.

La modificazione dell’art. 438, comma 5, c.p.p., pertanto, ha inciso sul secondo presupposto del giudizio abbreviato condizionato: l’ammissione del rito speciale va disposta se la prova richiesta determina comunque una economia processuale rispetto ai prevedibili tempi dell’istruttoria dibattimentale.

L’esplicito riferimento ai tempi del giudizio dibattimentale, certamente più lunghi pure rispetto a quelli di un giudizio abbreviato in cui sia stata richiesta una consistente integrazione probatoria, nell’intenzione del legislatore, dovrebbe determinare un ampliamento dell’area di ammissione dell’abbreviato subordinato a tale integrazione. Se posto nel paragone con il dibattimento e i suoi tempi, il giudizio abbreviato integrato, difatti, produce sempre un’economia processuale.

La modifica, nella prassi, però, potrebbe assumere uno scarso significato, valendo solo a ribadire che il criterio effettivo di ammissione del rito abbreviato “condizionato” è solo il primo, cioè quello rappresentato dalla necessità della prova ai fini della decisione.

Con il decreto legislativo correttivo della “Riforma Cartabia”, il legislatore è tornato su questo punto, sostituendo le parole “ai prevedibili tempi dell'istruzione”, con quelle “all'istruzione” (art. 2, comma 1, lett. p), del D.Lgs. n. 31/2024).

Il rito condizionato pertanto, deve essere ammesso dal giudice quando, “tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili”, l'integrazione probatoria richiesta “realizza comunque una economia processuale in relazione all'istruzione dibattimentale”. Si intende limitare il giudizio di ammissione del rito alla valutazione della mera consistenza della attività istruttoria che dovrebbe svolgersi in dibattimento, senza assegnare alcun rilievo ai tempi che prevedibilmente sarebbero necessari per l’assunzione delle prove in tale fase dibattimentale.

Si ritiene conseguibile il risultato di una economia processuale anche quando le prove che dovrebbero essere raccolte in dibattimento potrebbero essere limitate e, di conseguenza, potrebbero necessitare di un breve tempo.

La necessità dell’integrazione probatoria

Non sembra che la modifica normativa illustrata presenti una particolare capacità di incentivare l’accesso al rito alternativo.

Il presupposto della necessità della prova ai fini della decisione, infatti, rimane il criterio centrale per il giudizio di ammissione del rito abbreviato subordinato ad una integrazione probatoria.

Il giudice deve verificare che l’integrazione probatoria sia necessaria per la decisione.

Con quest’espressione s’intende che essa si deve rivelare “indispensabile per valutare un qualsiasi aspetto della re iudicanda”, purché sia un profilo centrale o di rilievo, ancorché poco esplorato o comunque bisognevole di approfondimento (Cass. pen., Sez. Un., n. 44711 del 27/10/2004). In concreto, l’integrazione probatoria deve andare a colmare una lacuna investigativa relativa ad aspetti essenziali del giudizio.

La prova necessaria per la decisione, pertanto, è tale in forza di presupposti più stringenti dei normali canonidi pertinenza, rilevanza e non superfluità previsti dall’art. 190 c.p.p. Occorre un’oggettiva utilità della prova richiesta a fornire un risultato probatorio funzionale al completo accertamento dei fatti (così come delimitati dal perimetro di cui all’art. 187 c.p.p.) (Cass. pen., Sez. Un., n. 44711 del 27/10/2004).

La valutazione della necessità della prova richiesta, poi, va compiuta in riferimento a tutte le imputazioni e non soltanto rispetto a talune contestazioni (Cass. pen., Sez. VI, n. 17884 del 2/4/2009) e le ulteriori acquisizioni probatorie devono essere soltanto integrative, e non sostitutive, del materiale già acquisito e utilizzabile come base cognitiva, in quanto strumentali ad assicurare il completo accertamento dei fatti rilevanti nel giudizio (Cass. pen., Sez. I, n. 10016 del 13/7/2018).

Più in generale, la giurisprudenza ha chiarito che l’integrazione probatoria nel rito abbreviato, sia d’ufficio, sia su richiesta dell’imputato, è espressione della fondamentale esigenza di completezza dell’accertamento probatorio rinvenibile nell’ordinamento, sul presupposto che, se le informazioni probatorie a disposizione del giudice sono più ampie, è più probabile che la sentenza sia più equa e che il giudizio si mostri aderente ai fatti (In questi termini, Cass. pen., Sez. II, n. 43329 del 18/10/2007, che richiama Cass. pen., Sez. Un., n. 41281 del 17/10/2006).

Nonostante la rigidità del requisito, peraltro, la prassi giurisprudenziale sembra orientata ad escludere qualsiasi automatismo preclusivo: potrebbe essere indispensabile escutere anche il teste già ascoltato nelle indagini su profili poco chiari o non analizzati. Potrebbe essere necessaria la trascrizione di una conversazione intercettata, soprattutto dopo che il difensore ha potuto esercitare il diritto di ricevere copia delle tracce audio delle registrazioni e, dunque, è stato messo in condizione di valutare la correttezza di quanto riportato nei cd. brogliacci. In questi casi, che comunque sono ipotesi limite, è onere dell’imputato motivare specificamente la sua richiesta.

Per mera completezza, va ricordato che è affetta da nullità generale ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., deducibile in appello ai sensi dell'art. 180 dello stesso codice, l'ordinanza con cui il giudice accoglie solo in parte la richiesta di integrazione probatoria posta quale condizione dell'istanza di rito abbreviato (Cass. pen., Sez. II, n. 39170 del 9/6/2021, in CED Cass. n. 282193-01). Quando è presentata richiesta di giudizio abbreviato condizionato, al giudice è demandato il controllo sulla fondatezza della domanda, al fine di verificare se l'integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale del rito, ma, all'esito di tale controllo, non gli è riconosciuta soluzione diversa dall'accoglimento o dal rigetto dell'istanza (Cass. pen., Sez. II, n. 19619 del 13/2/2014, in CED Cass. n. 259932-01). È nulla la decisione del giudice, che, investito di una istanza di abbreviato condizionato, ammetta soltanto il supplemento istruttorio reputato sufficiente, ovvero, sul presupposto che l'integrazione probatoria richiesta sia errata, impossibile o inesistente giuridicamente, il rito abbreviato semplice (Cass. pen., Sez. I, n. 231885 del 16/12/2022).

L’ulteriore riduzione della pena nel caso di mancata impugnazione

In attuazione di una direttiva della legge delega è stato introdotto nell’art. 442 c.p.p., il nuovo comma 2-bis, secondo cui “quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione”. L’obiettivo perseguito con l’ulteriore sconto della pena è chiaramente quello di limitare le impugnazioni meramente dilatorie.

Il riferimento contenuto nella legge delega alla mancata impugnazione “da parte dell’imputato” è stato inteso, ovviamente, come mancata impugnazione tanto dell’imputato, quanto del suo difensore, perché:

- l’art. 571 c.p.p., nel disciplinare unitariamente la “impugnazione dell’imputato”, fa riferimento tanto all’impugnazione personale dell’imputato (comma 1), quanto all’impugnazione proposta dal suo difensore (comma 3);

- il beneficio è riconosciuto in ogni caso di mancata impugnazione dell’imputato, quale che sia lo strumento prescelto (appello o ricorso per cassazione), rendendo evidente che, nel caso di ricorso in cassazione, non possa che riferirsi alla impugnazione del difensore, il solo legittimato a proporlo (artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, c.p.p.);

- la ratio deflattiva dell’intervento – che collega alla acquiescenza, e al connesso risparmio di tempo e risorse processuali, l’ulteriore trattamento premiale in relazione alla pena inflitta – sarebbe totalmente frustrata ove si accedesse a una interpretazione diversa del criterio di delega, che consentisse all’imputato di fruire di uno sconto di pena quando l’appello non fosse proposto personalmente da lui, ma dal difensore a farlo nel suo interesse.

All’art. 676 c.p.p. è conseguentemente inserita la nuova competenza del giudice dell’esecuzione il quale, secondo il rito previsto dall’art. 667, comma 4, c.p.p. e, dunque, de plano, provvede all’applicazione della riduzione della pena prevista dall’art. 442, comma 2-bis, c.p.p.

L’art. 2, comma 1, lett. dd), del D.Lgs. n. 31/2024 ha soppresso la modifica dell’art. 676, comma 1, c.p.p., inserendo un nuovo comma 3-bis, secondo cui “Il giudice dell'esecuzione è, altresì, competente a decidere in ordine all'applicazione della riduzione della pena prevista dall'articolo 442, comma 2-bis. In questo caso, il giudice procede d’ufficio prima della trasmissione dell’estratto del provvedimento divenuto irrevocabile”.

La nuova disposizione permette al giudice dell’esecuzione di provvedere d’ufficio alla riduzione di un sesto in caso di mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa ai sensi dell’articolo 442 c.p.p., così evitando una inutile attivazione di un procedimento di esecuzione su istanza di parte a fronte di una riduzione obbligatoria per legge. Appariva prevalente, infatti, l’orientamento dei giudici di merito, secondo il quale la riduzione, da disporre da parte del giudice dell’esecuzione, presupponeva la proposizione di apposita domanda e non poteva, quindi, essere ordinata di ufficio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la applicabilità della nuova disposizione di cui all'art.442 comma 2-bis c.p.p. si verifica solo nel caso in cui la decisione di condanna emessa in rito abbreviato sia divenuta irrevocabile dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022 e, dunque, dopo il 30 dicembre del 2022 (Cass. pen., Sez. I, n. 4870 del 18/10/2023, dep. 2024).

Inoltre, il novello art. 442, comma 2-bis, c.p.p. non si applica retroattivamente ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione, né a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, essendo soggetto al principio tempus regit actum. Ciò non viola il principio di retroattività della lex mitior, che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene, che li sanzionano (mentre l'art. 442, comma 2-bis c.p.p. ha natura mista, cioè processuale e sostanziale), né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, in quanto il trattamento sanzionatorio difforme tra chi nel corso del primo grado ha optato per il rito dibattimentale e colui che, invece, ha chiesto il giudizio abbreviato e poi non ha presentato impugnazione avverso la relativa condanna non può essere percepito come ingiusto, in quanto conseguenza di diverse scelte processuali (tra le altre, cfr. Cass.pen., Sez. I, n. 16054 del 10/3/2023, in CED Cass. 284545 — 01).

Le modifiche alla disciplina del giudizio direttissimo

Con l’art. 2, comma 1, lett. q), del D.Lgs. n. 31/2024 è stata modificata la disciplina della citazione dell’imputato a comparire all’udienza per il giudizio direttissimo. La norma ha sostituito il secondo periodo dell’art. 450, comma 3, c.p.p. (“Si applica inoltre la disposizione dell'articolo 429 comma 2”), con due nuovi periodi.

Alla stregua del primo di tali nuovi periodi, “La citazione contiene, inoltre, l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza”. Si tratta di una modifica normativa ritenuta necessaria perché, nell’art. 429, comma 1, lett. f), c.p.p., disposizione richiamata dalla prima parte dell’art. 450, comma 3, c.p.p., è stato soppresso dall'art. 23, comma 1, lett. n) del D.Lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma "Cartabia"), l'avvertimento all'imputato che “non comparendo sarà giudicato in contumacia”. Il riferimento alla contumacia, ormai superato, è stato sostituito da quello al giudizio in assenza.

In base al secondo nuovo periodo inserito nell’art. 450, comma 3, c.p.p., poi, “La citazione è nulla se l’imputato non è identificato in modo certo, se non contiene l’avvertimento di cui al periodo precedente ovvero se manca o è insufficiente l’indicazione di uno dei requisiti previsti dall’articolo 429, comma 1, lettere c) e f)”. Questa disposizione, pertanto, presenta il medesimo contenuto normativo del precedente rinvio all’art. 429, comma 2, c.p.p., concernente la disciplina della nullità del decreto di citazione.

Le modifiche alla disciplina del giudizio immediato

Con l’art. 2, comma 1, lett. r), del D.Lgs. n. 31/2024 è stata modificata la disciplina del decreto di giudizio immediato prevista dall’art. 456 c.p.p. Al comma 2 è stato inserito un nuovo periodo, che segue quello originario, secondo cui “il decreto contiene altresì, a pena di nullità, l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza”. Anche in questo caso si tratta di una modifica ritenuta necessaria perché, dopo la riforma dell’art. 429, comma 1, lett. f), il rinvio allo stesso art. 429, comma 1 e 2, c.p.p. contenuto nell’art. 456, comma 1, c.p.p. non contemplava più l’avvertimento all’imputato che, nel caso di mancata comparizione, sarà giudicato in contumacia, né quello del giudizio in assenza che ha sostituito il precedente.

Dopo il comma 2, poi, è stato aggiunto il comma 2-bis, secondo cui “Con il decreto l’imputato è informato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa”.

Le novità in tema di decreto penale di condanna

Con l’art. 2, comma 1, lett. s), del D.Lgs. n. 31/2024 sono state compiute alcune modifiche della disciplina del decreto penale di condanna quando tale decreto condanni l'imputato al pagamento di una pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva, regolando diversamente le conseguenze della richiesta dell'imputato di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.

All’art. 459, comma 1-ter, al primo periodo, infatti, dopo le parole “1981, n. 689,” è inserita la parola “anche” e, all’ultimo periodo, le parole “ed emette decreto di giudizio immediato” sono state sostituite dalle seguenti: “e, se non è stata proposta, congiuntamente o successivamente, tempestiva opposizione, dichiara esecutivo il decreto”.

In conseguenza di tali interpolazioni, quando è stato emesso decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva, l’imputato può chiedere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità anche senza doversi opporre al decreto medesimo.

Nel caso in cui la richiesta rilevi la mancanza di presupposti per la sostituzione, tuttavia, il decreto diviene immediatamente esecutivo.

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