Lavoro e previdenza sociale

Il licenziamento può essere comunicato anche nel verbale conclusivo della procedura conciliativa

Nell’ambito di una trama normativa che ha inteso procedimentalizzare il potere datoriale di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, è consentito al datore di lavoro di comunicare il licenziamento, una volta appunto che sia fallito il tentativo di conciliazione che gli è ora imposto di chiedere di percorrere oppure dopo che sia decorso il termine entro il quale la direzione territoriale del lavoro deve trasmettere alle parti la convocazione per l’incontro a fini conciliativi su richiesta del datore di lavoro. Quando si sia verificato l’uno o l’altro di tali presupposti, alcuna esigenza di tutela degli interessi del lavoratore potrebbe plausibilmente giustificare l’assunto che la comunicazione del licenziamento al lavoratore debba necessariamente intervenire in un contesto distinto dal verbale redatto in sede d’incontro davanti alla commissione apposita, a patto beninteso che per la comunicazione del licenziamento già espressa in quella sede siano osservate le ulteriori prescrizioni in tema di licenziamento, a cominciare da quella della forma scritta ex art. 2, comma 1, L. n. 604/1966 (Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 22 aprile 2024, n. 10734).

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. n. 22212/2020

Difformi

Non si rinvengono precedenti

La Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza del Tribunale della medesima sede (confermativa dell’ordinanza della fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, con la quale era stata accolta l’impugnativa di licenziamento proposta da R.G.) e, in riforma di tale sentenza, dichiarava risolto tra le parti il rapporto lavorativo e condannava la reclamante al pagamento in favore della reclamata di un’indennità pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione ed interessi dalla maturazione al soddisfo.

Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava fondato il primo motivo di reclamo, con il quale si censuravano le argomentazioni del tribunale in punto di forma scritta del licenziamento, assumendo che l’espressione della volontà di recedere dal rapporto travasata in un verbale scritto e firmato da entrambe le parti soddisfacesse le funzioni connesse al requisito di forma prescritto.

Avverso tale decisione, R.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi di ricorso.

La S.C., nel rigettare il ricorso, osserva che, secondo la tesi sviluppata dalla ricorrente nel primo motivo, la motivazione addotta dalla Corte di appello sarebbe stata “assunta in violazione del dettato normativo ex art. 1, comma 40 L. 92/2012”, vale a dire, la norma che aveva (profondamente) novellato l’art. 7L. n. 604/1966, oltre che allo “spirito” della stessa norma, perché il “dato normativo disgiunge la fase del tentativo di conciliazione – che ha due possibili esiti negativo o positivo – dalla fase della comunicazione del recesso”.

Tale tesi non è condivisibile.

Il dettato normativo del terzo periodo del comma 6 dell’art. 7L. n. 604/1966 (“Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore”) delinea una condizione legale (sospensiva) ed un termine (dilatorio); di talché, una volta avveratasi la prima o scaduto il secondo, il datore di lavoro “può comunicare il licenziamento al lavoratore”.

Nella fattispecie in esame non viene evidentemente in considerazione l’ipotesi in cui sia “decorso il termine di cui al comma 3” dello stesso art. 7 cit. novellato (vale a dire, il termine perentorio entro il quale la direzione territoriale del lavoro competente, investita dalla relativa richiesta datoriale, deve trasmettere la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore ai fini dell’espletamento del tentativo di conciliazione).

Si tratta, piuttosto, di stabilire quale esatta portata annettere alla parte della norma che esprime l’ora vista condizione legale: “Se fallisce il tentativo di conciliazione”.

Osserva in proposito il Collegio che già il dato letterale della previsione, cui innanzitutto e principalmente occorre attenersi in ossequio all’art. 12 preleggi, depone nel senso che il legislatore (delegato) nel novellare l’art. 7L. n. 604/1966 abbia attribuito rilievo al fatto obiettivo del fallimento del tentativo di conciliazione piuttosto che al dato cronologico e formale della chiusura del “verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione”, cui si riferisce il successivo comma 8 dello stesso art. 7 cit.

Invero, detto verbale può senz’altro attestare l’esito del tentativo di conciliazione e, per quanto qui interessa, il suo fallimento, ma appunto per questo documenta un dato logicamente e giuridicamente distinto ed anteriore al momento della chiusura della relativa verbalizzazione. Inoltre, sempre il tenore testuale della disposizione non impone che la comunicazione del licenziamento, consentita al datore di lavoro “Se fallisce il tentativo di conciliazione”, debba intervenire in un contesto differente e successivo a quello del verbale suddetto.

Ciò, del resto, è conforme alla ratio evidente della disposizione specifica che, nell’ambito di una trama normativa che ha inteso procedimentalizzare il potere datoriale di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, vuole solo consentire al datore di lavoro di comunicare il licenziamento, una volta appunto che sia fallito il tentativo di conciliazione che gli è ora imposto di chiedere di percorrere oppure dopo che sia decorso il termine entro il quale la direzione territoriale del lavoro deve trasmettere alle parti la convocazione per l’incontro a fini conciliativi su richiesta del datore di lavoro.

Quando si sia verificato l’uno o l’altro di tali presupposti, d’altronde, alcuna esigenza di tutela degli interessi del lavoratore potrebbe plausibilmente giustificare l’assunto che la comunicazione del licenziamento al lavoratore debba necessariamente intervenire in un contesto distinto dal verbale redatto in sede d’incontro davanti alla commissione apposita, a patto beninteso che per la comunicazione del licenziamento già espressa in quella sede siano osservate le ulteriori prescrizioni in tema di licenziamento, a cominciare da quella della forma scritta ex art. 2, comma 1, L. n. 604/1966.

Nel caso in esame, come si è visto, la Corte di merito ha accertato in punto di fatto che la volontà datoriale di licenziamento era stata ribadita innanzi alla commissione apposita e compiutamente verbalizzata dopo che il tentativo di conciliazione era stato già espletato con insuccesso.

Esito:

Rigetto

Riferimenti normativi:

Art. 2L. n. 604/1966

Art. 7L. n. 604/1966

Copyright © - Riproduzione riservata

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