Penale

Maltrattamenti anche quando si è in presenza di condotte "reciproche" di offese e ingiurie

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva parzialmente riformato il provvedimento con cui il GIP aveva applicato ad un uomo la misura cautelare del divieto di avvicinamento e del divieto di comunicare con la qualsiasi mezzo nei confronti della moglie, in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia aggravato (art. 572, comma 2, c.p.), la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 17 aprile 2024, n. 16090 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui a fronte di un quadro familiare caratterizzato da un clima difficile e conflittuale, contrassegnato da liti consistite in scambi di offese e reciproche percosse nonché della personalità della persona offesa, a riguardo della relazione extraconiugale nel frattempo avviata, il reato non era configurabile – ha ribadito che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri poiché il disposto dell'art.572 c.p. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciproche.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. pen., Sez. III, 24/1/2020, n. 12026

Difformi

Cass. pen., Sez. VI, 23/1/2019, n. 4935

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 572, c.p., sotto la rubrica «Maltrattamenti contro familiari e conviventi», punisce con la reclusione da tre a sette anni la condotta di chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato.

La giurisprudenza è prevalentemente orientata a richiedere il carattere abituale della condotta di maltrattamenti (Cass. pen., Sez. VI, 25/11/2021, n. 43570; Cass. pen., Sez. VI, 6/4/2016, n. 24375; Cass. pen., Sez. VI, 2/12/2010; Cass. pen., Sez. VI, 18/2/2010; Cass. pen., Sez. VI, 9/7/1996; Cass. pen., Sez. VI, 28/2/1995; Cass. pen., Sez. VI, 22/12/1992; Cass. pen., Sez. VI, 3/3/1990), anche se eventuali interruzioni di breve durata di questa non incidono sulla rilevanza penale della condotta complessivamente considerata (Cass. pen., Sez. VI, 28/12/2002; Cass. pen., Sez. VI, 17/4/1998; Cass. pen., Sez. VI, 7/6/1996); mentre singoli fatti che ledano ovvero mettano in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona o della famiglia, pur conservando la propria autonomia di reati contro la persona, non integrano il delitto di maltrattamenti (Cass. pen., Sez. VI, 19/4/2017, n. 27088).

Integra il delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo (Cass. pen., Sez. VI, 19/6/2012, n. 25183); non rileva, per l’integrazione del reato, l'estensione dell'arco temporale entro il quale si manifestano le condotte, fermo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, è necessario che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata (Cass. pen., Sez. VI, 31/5/2022, n. 21087). Continuità di aggressione che ha indotto anche parte della dottrina e della giurisprudenza a riconoscere nel delitto di maltrattamenti la natura di reato permanente, da altri invece contestata (Coppi, Maltrattamenti, in ED, 257), in quanto la continuità d'aggressione non necessariamente richiederebbe una continuità di condotte maltrattanti, ben potendo questa conoscere momenti di pausa che non ne inficiano il potenziale carico offensivo per il bene tutelato.

Circa l'ipotizzata natura di reato permanente del delitto di maltrattamenti non si riscontra unanimità di pronunce nella giurisprudenza. A fronte di pronunce che tale natura affermano (Cass. pen., Sez. VI, 12/6/2013, n. 50333), altre ve ne sono che accolgono la tesi che, non di reato permanente si tratti, ma di reato necessariamente abituale (Cass. pen., Sez. II, 4/10/2023, n. 40368; Cass. pen., Sez. VI, 28/2/1995). Ne consegue che i fatti nuovi emersi in dibattimento devono sempre essere contestati all'imputato, sia quando servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa enunciata nel capo d'imputazione, sia quando costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione (Cass. pen., Sez. II, 4/10/2023, n. 40368). La permanenza del reato commesso in danno del coniuge si interrompe allorché interviene il divorzio cui non segua la ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche (Cass. pen., Sez. VI, 12/6/2013, n. 50333).

Il delitto, infine, per quanto qui di interesse, secondo certa giurisprudenza, non è integrato quando le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti tra le due parti (Cass. pen., Sez. VI, 30/3/2022, n. 11823; Cass. pen., Sez. VI, 31/1/2019, n. 4935). Altro orientamento ritiene invece irrilevante il dato soggettivo della reazione di chi subisce il maltrattamento (Cass. pen., Sez. VI, 15/5/2023, n. 20630; Cass. pen., Sez. VI, 28/2/2023, n. 8729; Cass. pen., Sez. III, 14/4/2020, n. 12026).

Tanto premesso, nel caso in esame, l’indagato era stato raggiunto da misura cautelare non detentiva con cui era stato imposto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla moglie, vittima di maltrattamenti. L'ordinanza descriveva un contesto familiare caratterizzato da insulti e vessazioni che la moglie aveva subito dall’indagato, un contesto che, in concomitanza con la ripresa dell'abitudine di consumare alcol da parte dell'indagato, si era progressivamente aggravato, determinando la dissoluzione del rapporto familiare che era culminata in due aggressioni fisiche, episodi, questi ultimi, che avevano coinvolto anche il figlio minore della coppia, intervenuto a difesa della madre che, da parte sua, si era difesa, restituendo uno schiaffo al marito ma venendo poi colpita con una calcio alla gamba.

La Polizia aveva anche accertato la provenienza dei messaggi, anche minatori, dall'indagato che aveva rivendicato, dopo l'apparente accettazione della relazione extra coniugale, l'applicazione dell'AirTag sull'auto della moglie per rintracciare i luoghi dove si trovasse e, così, individuare la persona con la quale la donna aveva avviato una relazione sentimentale che poi aveva minacciato di morte. Le dichiarazioni rese dalla moglie avevano dunque configurato un regime di vita intollerabile, contrassegnato da reiterati episodi di aggressione fisica che avevano indotto la donna ad interrompere la convivenza coniugale.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare perché, si trattava di condotte episodiche, donde il reato non poteva dirsi configurabile a fronte di un quadro familiare caratterizzato da un clima difficile e conflittuale, contrassegnato da liti consistite in scambi di offese e reciproche percosse (in uno degli episodi, infatti, la moglie aveva reagito allo schiaffo ricevuto restituendolo all'indagato) nonché della personalità della vittima, a riguardo della relazione extraconiugale nel frattempo avviata.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato il principio di cui sopra. In particolare, secondo la S.C., la più recente giurisprudenza di legittimità ha escluso la fondatezza della tesi difensiva, secondo cui non è configurabile il reato di maltrattamenti quando si è in presenza di condotte "reciproche" di offese e ingiurie, integrate, secondo la prospettazione difensiva, anche dall'avvio di una relazione sentimentale della persona offesa in costanza di matrimonio. Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile, infatti, anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri poiché il reato di cui all'art. 572 c.p. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di "compensazione" fra condotte penalmente rilevanti e reciproche (Cass. pen., Sez. III, n. 12026 del 24/1/2020, M., CED Cass. 278968).

Rileva, inoltre, la Cassazione che il presupposto logico giuridico per potere prospettare l'applicazione della reciprocità imporrebbe, comunque, che si sia in presenza di offese di intensità e gravità equivalenti dei comportamenti. Nel caso in esame, invece, le condotte ascritte alla vittima si erano risolte in rimostranze verbali, rispetto alle quali veniva sopraffatta verbalmente dall'indagato e costretta a subire sia violenze fisiche che gravi minacce che avevano coinvolto persone a lei care, come il figlio e il compagno. Né integrava, infine, una condotta denigratoria in danno dell'indagato l'avvio di una relazione sentimentale durante il matrimonio che versava, oramai, in una crisi conclamata.

Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 572 c.p.

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