Nonostante nel caso in esame le attività economiche descritte in atti, incluse alcune società, e le relative posizioni lavorative, siano solo nominalmente riconducibili ai figli, deve essere valutata non solo la giovane età e la loro condizione di studenti di questi ultimi, nonché la loro permanenza in casa con la madre, ma anche le circostanze che riconducevano siffatte attività economiche al padre. Da tali circostanze, non censurabili in Cassazione, è possibile dedurre che i figli non ricavassero reddito dalle suddette attività economiche. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 11 aprile 2024, n. 9779.
La Corte di Cassazione rileva che la valutazione complessiva dell'elevato tenore di vita tenuto dalle parti in costanza di convivenza matrimoniale, e la riconducibilità al ricorrente e ai suoi familiari di quote di numerose società operanti sia in Italia (circa 15) che all'estero nel settore turistico-alberghiero ed immobiliare, non può essere dedotta in sede di legittimità. Infatti, le difese dell'appellante, secondo cui, a decorrere dal 2012, si sarebbe determinata una forte contrazione delle proprie disponibilità, non è idonea a inficiare la ricostruzione delle condizioni economiche delle parti come operata nei giudizi di merito, posto la presenza di un rilevantissimo patrimonio finanziario e immobiliare per molti milioni di euro e che il ricorrente ha continuato l'attività imprenditoriale liquidando volontariamente una società con un attivo di circa euro 5.972.603,53, ed aprendone altre a lui riferibili anche se nominalmente amministrate dai figli.
La Corte ha quindi valutato la circostanza nel contesto di tutti gli altri elementi disponibili, e reso un giudizio di fatto di cui non può sollecitarsi la revisione in sede di legittimità. Infatti, la motivazione della Corte d'appello è analitica e articolata. Essa valuta complessivamente l'intera situazione economico patrimoniale del ricorrente, valorizzando una serie di elementi indiziari di particolare pregnanza, traendone conclusioni perfettamente logiche e coerenti.
La censura del ricorrente si limita a lamentarsi della valutazione gli elementi probatori, peraltro singolarmente considerati e non rapportati al contesto complessivo della valutazione resa dal giudice di merito.
Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Infatti, il ricorrente si è limitato a ribadire le deduzioni, già presentate nella fase di appello sulla presunta erroneità della decisione di prime cure perché non aveva tenuto conto del fatto che i due figli Caio e Mevio percepivano redditi bastevoli al loro mantenimento.
In realtà, la Corte d'appello ripercorrendo la storia imprenditoriale del soggetto e degli affari da lui conclusi ha, in questo contesto, ritenuto che le società e le relative posizioni lavorative siano solo nominalmente riconducibili ai figli, valutando non solo la loro giovane età e la condizione di studente di uno di essi, nonché la attuale permanenza in casa con la madre, ma anche la circostanza che alcuni altri elementi indicavano che erano società riconducibili al padre, il quale peraltro aveva necessità di regolare le sue partite con i creditori; ha rilevato altresì che le stesse allegazioni sul punto fossero in parte contraddittorie.
Da tutti questi fatti noti ha tratto - facendo uso delle presunzioni - la conclusione che i figli non ricavino reddito dalle società; si tratta di una valutazione di merito non censurabile in Cassazione.