Amministrativo

Il Tar Lazio conferma il registro dei titolari effettivi e ridefinisce il mandato fiduciario

Il Tar Lazio con la sentenza n. 6839 del 9 aprile 2024 respinge i ricorsi e obbliga le fiduciarie alla predisposizione di un “pubblico” registro dei titolari effettivi, modificando la tradizionale definizione di negozio fiduciario; a seguito della comunicazione pervenuta alla Commissione europea da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il mandato fiduciario e il vincolo di destinazione sono ora considerati “istituti giuridici affini al trust”, al pari delle fiducies francesi e lussemburghesi. Verranno quindi ricomprese in questo ampio novero di fattispecie giuridiche anche forme di mandato che trasferiscono la mera legittimazione ad amministrare i beni, sul modello della c.d. fiducia germanistica; questo accostamento logico si pone, invero, in netto contrasto con la giurisprudenza da sempre ritenuta maggioritaria all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Il Tar Lazio, con la sentenza n. 6839 del 9 aprile 2024, ha respinto il ricorso dall’associazione Assoservizi fiduciari presentato ai fini dell’annullamento di una serie di atti (in aggiunta al sopracitato decreto del 29 settembre 2023 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si ricorre avverso una serie di decreti recanti le medesime disposizioni in materia ed emanati dal MEF e dall’Unione Italiana delle Camere di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura) inerenti al Registro dei Titolari effettivi e culminati col del decreto MIMIT del 29 settembre 2023 relativo al Registro dei titolari effettivi.

In particolare, gli atti amministrativi contestati erano stati adottati dall’Amministrazione in attuazione delle direttive europee n. 2015/849 del 20 Maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento al terrorismo, e della n. 2018/243, parimenti finalizzata.

In data 6 dicembre 2023, con ordinanza n. 8083, era già stata accolta l’istanza cautelare presentata dalla parte ricorrente “tenuto conto della rilevanza delle situazioni giuridiche suscettibili di essere incise, in modo irreparabile, dall’imminente scadenza del termine per l’adempimento degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 21, comma 3, del D.lgs. 231/2007”. Da ultimo, la Corte si è invece pronunciata sulle singole questioni respingendole categoricamente.

La normativa europea richiamata prevede, al suo art. 31, l’obbligo per gli Stati membri di ottenere e conservare informazioni accurate e aggiornate sulla titolarità effettiva del trust e, in aggiunta, “ad altri tipi di istituti giuridici che hanno assetto o funzioni analoghi a quelle dei trust”. La penna d’oltralpe si spinge oltre, stabilendo che è necessario che tali informazioni siano rese accessibili, in ogni caso, a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse.

I punti focali del motivo del ricorso sono dunque due: la apparente semplicità di accesso a tali informazioni sensibili riguardanti la vita del trust stesso e l’inserimento tout court del mandato fiduciario all’interno della macroarea di “istituto giuridico affine”.

Se la Corte di Giustizia era già precedentemente intervenuta sul primo punto, specificando che l’accesso del pubblico al registro dei titolari effettivi è limitato ai soli casi in cui si possa dimostrare un legittimo interesse, attualmente il giudice italiano si pronuncia su una questione lungamente dibattuta e che, invero, si allinea a una tesi che era sempre apparsa minoritaria.

Difatti, il problema dello “sdoppiamento della proprietà” previsto dal trust viene affrontato dalle corti italiane addirittura a partire dal 1984, sede nella quale il Tribunale di Monferrato (parte della dottrina, in particolare modo L.P. Comoglio, ha sostenuto la decisione finale del Tribunale di Monferrato ma adducendo una motivazione differente: in tal caso non sarebbe necessaria l’autorizzazione del giudice italiano perché nessuna autorizzazione di tale tipo sarebbe richiesta a un giudice inglese nel rispetto della sua legislazione, e qui la legge applicabile sarebbe quella sostanziale anglosassone in quanto essa regge questa particolare condizione dell’azione) escluse che il trustee del caso di specie dovesse chiedere una autorizzazione al giudice per vendere alcuni immobili nell’interesse dei beneficiari minorenni, in quanto egli si configurava come « proprietario a tutti gli effetti » rispetto ai beni.

Un confronto diretto fra l’anglosassone trust ed il nostrano negozio fiduciario può risultare utile ad evidenziarne le somiglianze e, soprattutto, le enormi differenze. Il negozio fiduciario, diversamente detto pactum fiduciae, è caratterizzato da un rapporto obbligatorio che intercorre fra due soggetti e che prevede il trasferimento di un diritto, per esempio di proprietà, da parte di un soggetto denominato fiduciante nei confronti di un fiduciario; inoltre, a quest’ultimo è imposto di agire in una determinata maniera rispetto al bene che viene lui affidato.

Questo rapporto ha però mera rilevanza interna, poiché il fiduciante non può esperire alcun tipo di azione reale avverso il fiduciario che disobbedisce ai suoi ordini, ma potrebbe solamente intentare un’azione risarcitoria derivante dalla violazione del loro pactum.

Occorre porre l’accento brevemente su un’ulteriore precisazione, ovvero la distinzione fra la fiducia romanistica e quella germanica: essa risiede nel fatto che nel primo caso assistiamo a un vero e proprio trasferimento di proprietà tra i due soggetti, mentre invece, nella seconda situazione, si attribuisce al fiduciario una mera legittimazione ad agire sul o sui beni in nome proprio e per conto del fiduciante.

Dopo averne delineato la macro distinzione, possiamo ora analizzare le due tipologie di fiducia al fine di confrontarle singolarmente con il trust.

Innanzitutto è necessario ricordare che la fiducia romanistica, di cui rinveniamo l’unica citazione presente nel nostro codice civile all’art. 627, il quale vieta un’intesa fiduciaria fra il de cuius ed un suo erede, può presentarsi nella forma cum amico oppure cum creditore, e questa seconda tipologia viene normalmente utilizzata come una garanzia. Orbene, per giungere al medesimo scopo, è in realtà possibile che il negozio fiduciario si presenti come un negozio a favore di terzo, il quale guadagnerà quindi il diritto di veder eseguito nei propri confronti il pactum fiduciae stipulato fra gli altri due soggetti; e tutto ciò, se avverrà successivamente al decesso del disponente, verrà regolamentato dalla sua disciplina contenuta all’art. 1412 c.c.

Sull’ammissibilità (mancando quindi una disciplina specifica, la dottrina aveva concluso nel senso di ricondurre il negozio fiduciario all’interno della fattispecie del mandato senza rappresentanza previsto dall’art. 1705 c.c.; in tal senso, troviamo innanzitutto una sentenza della Cassazione del 23 giugno 1998 in cui si afferma che « una intestazione fiduciaria di titoli azionari ad altro azionista della società comporta la nascita, tra fiduciante e fiduciario, di un rapporto di mandato senza rappresentanza ». Inoltre, lungamente si è discusso e sul tipo di rapporto interno che vi si rinviene, rapporto che può essere letto secondo il modello romanistico e che quindi prevederà un pactum fiduciae dall’efficacia meramente obbligatoria (Cass. 8 maggio 2009, n. 10590, Cass. 2 maggio 2007, n. 10121), oppure secondo il modello germanistico e quindi dotato di un pactum fiduciae con efficacia reale (Cass. 28 maggio 1997, n. 10031 e Cass. 21 maggio 1999, n. 4943).

Da ultimo, una sentenza emessa della Cassazione Civile, Sezione Prima, in data 21 marzo 2016 e n. 5507 ha confermato la prima tesi a riguardo.) di tale istituto in tale veste si è discusso fino al momento della ratifica della Convenzione dell’Aja la quale, introducendo nel nostro ordinamento l’istituto del trust, ha modificato notevolmente le valutazioni di grandi autori nel merito della questione. Infatti, a titolo di esempio, l’autore G. Palermo, che inizialmente si mostrava contrario a tale figura, dichiara successivamente che non sia più possibile negarne la validità, argomentando questa tesi ex art. 1322 c.c. e alla luce del fatto che tale negozio giuridico nella veste di contratto a favore di terzo presenta numerose similitudini con il trust stesso, istituto ormai entrato a far parte del mondo giuridico italiano. Le differenze che possiamo rinvenire tra i due istituti in questione sono numerose. In primo luogo, a differire è ovviamente la natura giuridica del negozio, in quanto il trust, nella sua versione primordiale inglese, viene concepito come negozio unilaterale, in opposizione alla forma contrattuale che presenta il negozio fiduciario. In ulteriore analisi, nel peculiare caso in cui la figura del fiduciante sia anche il soggetto attivo del rapporto obbligatorio, quindi, specularmente, nel caso in cui settlor e trustee coincidano, il fiduciario non avrà la possibilità di esperire la medesima azione che viene riconosciuta in capo al beneficiario nel caso in cui ci si trovi di fonte ad una inadempienza della controparte.

Difatti, la tesi tradizionalmente riconosciuta sottolinea che, a fronte della violazione del pactum fiduciae da parte del fiduciario, gli strumenti ai quali può ricorrere la controparte hanno sostanza meramente obbligatoria; essi sono, in pratica, semplici rimedi di natura risarcitoria. Purtroppo , infatti, l’obbligazione fiduciaria non è opponibile ai creditori e agli aventi causa del fiduciario; essa può, semmai, essere soggetta all’applicabilità dell’art. 2932 c.c. relativo all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, considerando quindi che la sua coercibilità è esperibile limitatamente al rapporto stabilito inter partes. Bisogna poi tener presente che l’espediente ex art. 2932 c.c. non sarà attivabile nelle ipotesi di fiducia testamentaria, poiché l’art. 627 c.c. la classifica quale obbligazione meramente naturale.

D’altro canto, i beneficiarys godono invece della possibilità di sfruttare rimedi «reali», come il diritto di following the trust property, somigliante ad una azione di rivendica. Un’altra questione di non facile risoluzione riguarda la forma del pactum stesso, questione che, come sappiamo, non si pone invece nei confronti del trust. Difatti, se il negozio sarà stato stipulato solo verbalmente, ancorché sia attinente ad immobili, esso potrà essere ritenuto nullo secondo una nutrita giurisprudenza, che però non ci si presenta unanime in merito. A titolo esemplificativo, possiamo ricordare due sentenze della Suprema Corte che illustrano tali orientamenti divergenti.

Nel 1988, difatti, la Corte aveva ritenuto che non fosse necessario applicare le rigide previsioni dell’art. 2721 c.c. al negozio fiduciario in questione, in quanto non si riteneva razionale dover provare per iscritto un comportamento tenuto da una delle parti per un lungo lasso di tempo.

In senso contrario, la stessa Corte si espresse invece nel 1993, stimando che il negozio fiduciario sia assimilabile ad un contratto preliminare avente ad oggetto un bene immobile, e che quindi, tenendo presenti le necessità di certezza giuridica richieste in questo ambito, la forma scritta ad substantiam prevista dall’art. 1350 c.c. fosse essenziale anche ai sensi del successivo art. 1351 e quindi, di conseguenza, anche per il pactum del caso di specie. Nonostante quindi, come sostenuto da Bartoli, sia possibile ventilare delle ipotesi di possibile opponibilità del pactum erga omnes, le differenze permangono abissali in merito alla medesima questione posta nel confronti del trust. Difatti, che il vincolo di destinazione sui beni del trust sia opponibile erga omnes non può essere messo in dubbio, e questo nei confronti di tutti i creditori ed aventi causa di entrambi settlor e trustee. Esso sarà garantito ulteriormente da una forma scritta in quanto per la sua formazione è ordinariamente richiesta la consulenza di un professionista in Italia, conformemente alle regole contenute nella Convenzione.

Tutto ciò non avviene invece per il negozio fiduciario, che non potrà essere, forse, se non in casi particolari e in mancanza di norme chiare e univoche, opponibile nei confronti dei creditori del solo fiduciario. In merito alla questione sulla riservatezza, questo condurrà spesso alla stipula di un pactum solo verbale, cosa che lo renderà ancora più difficile da provare; il medesimo problema non si pone invece con il trust, che potrà essere mantenuto sufficientemente riservato senza che se ne infici l’opponibilità. In ultima battuta, è reso più difficoltoso opporre il pactum nei casi nei quali il fiduciante consegna dei beni fungibili e precisamente individuabili al suo fiduciario, mentre invece ciò non si verifica mai nel trust, nel quale viene in rilievo solo la ricchezza incorporata nel bene, ricchezza che non viene modificata dai successivi cambiamenti materiali della res specifica. Come precedentemente accennato, nella fiducia germanistica ad essere trasferita è solo la legittimazione ad agire per conto del fiduciante nei confronti del bene in questione. I casi che possiamo rinvenire nella legislazione italiana sono tutti tassativamente elencati, diversamente da quanto avviene nell’ordinamento tedesco che li prevede in via generale. Tali ipotesi sono circoscritte ai titoli di partecipazione e di credito.

Invero, la giurisprudenza ha sempre prediletto ascrivere le situazioni che le veniva richiesto di giudicare alla categoria di fiducia romanistica piuttosto che germanistica; inoltre, possiamo segnalare che è stata ormai superata la tesi « realista » , che richiedeva anche la traditio del titolo di credito oltre al mero consenso, in favore della cosiddetta teoria « consensualista » che distingue invece le situazioni in cui venga trasmesso il titolo di per se e quelle in cui venga trasmessa la sola legittimazione ad esercitare i diritti ad esso legati. Valgono qui le medesime considerazioni svolte in merito al raffronto tra l’opponibilità del trust e quella del sopra citato istituto, con la precisazione che la motivazione per la quale il pactum anche qui contenuto non sarà opponibile ai creditori del fiduciante è che egli, a seguito dell’accordo, continua in verità a mantenere la proprietà del bene stesso. È rilevante su questo specifico punto segnalare una pronuncia della pretura di Roma del 13 aprile 1999 nell’ambito di un ricorso instaurato da una trustee che, nonostante fosse stata revocata, si era vista rifiutare la restituzione dei propri titoli azionari dal depositario al quale li aveva affidati. Qui il giudice ritiene infine che sia legittimo riconoscere l’azione di reintegra nel possesso ai sensi dell’art. 1168 c.c. alla trustee, in quanto «a nulla rileva l’asserita revoca della sua qualità di trustee (…) che non comporta automaticamente anche la perdita del possesso dei titoli». Fu giudicato quindi necessario restituire tali beni alla donna in modo tale che potesse trasmetterli al nuovo trustee entro i termini stabili e fu ritenuto illegittimo il comportamento del depositario in quanto esso, rispetto a tali titoli, si «atteggia quale vero e proprio dominus» quando in verità ne era solo temporaneo depositario. In tale caso, vediamo come, in un esempio di trust riguardante titoli azionari, la posizione del trustee possa essere profondamente garantita attraverso un’azione reale come quella dello spoliatus ante omnia restituendus, protezione che non avrebbe mai potuto ricevere se si fosse posto in essere un negozio fiduciario.

Il revirement giurisprudenziale operato ad Aprile 2024 si potrebbe spiegare alla luce della crescente attenzione posta al tema della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Di questa tendenza, di matrice europea, si osserva la più recente illustrazione nel luglio 2021, data in cui è stato avviato l’iter legislativo per l’approvazione di un complesso pacchetto di riforme (cd. AML Package) che porterà a una profonda revisione del quadro normativo e istituzionale antiriciclaggio.

C’è da domandarsi se, il legislatore europeo, giustamente e correttamente seguito dalle corti italiane, non si sia spinto al di là del fine indicatoci nei vari pacchetti legislativi AML pubblicati e in corso d’opera, in quanto era in passato pacificamente lecito l’utilizzo di tale strumento, il trust, unicamente in conformità del le norme contenute nella Convenzione dell’Aja del 1985. L’Italia si presenta come l’unico Paese di civil law ad aver oggi ratificato tale Convenzione e a non aver inserito, all’interno del proprio corpus giuridico, un istituto ad hoc dotato delle medesime caratteristiche. Non è più stato dato alcun all’ultimo disegno di legge in merito, presentato in data 5 agosto 2019 e assegnato per la lettura parlamentare nel gennaio 2020, n. 1452 recante le «Disposizioni sul negozio di affidamento fiduciario”. Pertanto, in Italia vige attualmente il principio secondo il quale è possibile usufruire di questo strumento giuridico straniero sottoponendolo ad una legge a scelta delle parti (indicando usualmente a tal uopo la Trusts (Jersey) Law del 1984). Inoltre, trovano applicazione, nei confronti dei di beni e diritti gravati da vincoli di destinazione, le ultime modifiche intervenute con la L. n. 112 del 22 giugno 2016 titolata Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (anche detta Legge per il dopo di noi).

Risulta quindi sicuramente rispettosa del dettato europeo la recentissima lettura del TAR che, in nome della salvaguardia dei principi attinenti alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, assimila il mandato fiduciario ad un trust; d’altra parte, vi si legge anche, purtroppo, poca attinenza al bagaglio giurisprudenziale e dottrinale italiano , che ha da sempre e alacremente sostenuto la differenza fra i due istituti, e che non ha mai mostrato il suo placet verso l’introduzione di talune disposizioni straniere (quali lo sdoppiamento di proprietà o il suo trasferimento secondo metodi non ortodosso) nel nostro ordinamento, soprattutto nei momenti in cui vi fosse tale concreta possibilità.

Riferimenti normativi:

L. n. 112/2016

Art. 1168 c.c.

Copyright © - Riproduzione riservata

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