Famiglia, minori e successioni

Unione civile: sì alla sospensione in caso di rettificazione di sesso in vista del matrimonio

Con la sentenza n. 66 del 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 2 Cost., dell’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile, poiché la coppia unita civilmente, in ragione dell’automatico scioglimento del vincolo, quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti, ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell’unione civile, sicché, nelle more, deve essere garantito il rimedio della sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo, per il termine massimo di 180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

Il caso

Con ordinanza del 29 maggio 2023, il Tribunale di Torino, chiamato a pronunciarsi, nel corso di un giudizio di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, sulla richiesta di trasformazione in matrimonio dell’unione civile contratta dal richiedente con altro soggetto, sollevava, in riferimento agli artt. 2 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016, che dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso senza prevedere la possibilità della conversione in matrimonio per dichiarazione congiunta delle parti, senza soluzione di continuità con il preesistente legame.

La medesima disposizione era censurata altresì per contrasto con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento riservata allo scioglimento dell’unione omoaffettiva, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei contraenti, rispetto a quanto stabilito dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 della L. n. 76 del 2016, che, nel caso in cui il medesimo fenomeno attraversi il vincolo matrimoniale, prevede che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

In riferimento ai medesimi parametri e per le medesime ragioni il dubbio di legittimità costituzionale investiva altresì l’art. 31, comma 4-bis, del D.lgs. n. 150 del 2011, introdotto dall’art. 7 del D.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede, così come fa nell’ipotesi speculare di trasformazione del matrimonio in unione civile, che la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di unirsi in matrimonio, con le eventuali annotazioni relative alla conservazione del cognome comune e al regime patrimoniale, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale.

Era, infine, censurato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, l’art. 70-octies, comma 5, del D.P.R. n. 396 del 2000, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. t), del D.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede che anche nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del D.lgs. n. 150 del 2011, come emendato nel senso sopra specificato, il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nell’apposito registro, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al regime patrimoniale.

Il rimettente denunciava, in definitiva, il deficit di tutela che l’indicato compendio normativo avrebbe prodotto nella parte in cui non comprende una disposizione analoga a quella di cui all’art. 1, comma 27, della L. n. 76 del 2016, introdotta in favore delle coppie già unite in matrimonio che, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei coniugi, abbiano manifestato la volontà di trasformare il precedente vincolo in altro riconosciuto dall’ordinamento, con conversione del matrimonio in unione civile.

Le parti dell’unione civile, nel caso in cui avessero vissuto analogo fenomeno secondo inversa direzione, si sarebbero trovate prive di protezione nel lasso temporale, di durata imponderabile e indipendente dalla loro volontà, intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione anagrafica di sesso e la celebrazione del matrimonio, con una discontinuità nella tutela, destinata ad integrare una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe (art. 3 Cost.) ed una limitazione della libertà fondamentale dell’individuo (art. 2 Cost.), con violazione dei doveri di solidarietà propri dell’unione civile come gruppo sociale strutturato e legalmente riconosciuto.

Si sarebbe determinata, inoltre, una lesione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dalla giurisprudenza convenzionale (art. 117, comma 1, Cost., in relazione ai parametri interposti di cui agli artt. 8 e 14CEDU), in danno della coppia omoaffettiva nelle more della transizione verso il matrimonio, non venendo così preservato il fulcro dei diritti acquisiti e dei rapporti goduti nella vigenza del regime dell’unione civile, quale formazione legalmente riconosciuta e tutelata.

La decisione della Corte costituzionale

Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. All’esito, il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione del passaggio in giudicato di detta sentenza di rettificazione con dichiarazione del giudice di sospensione limitatamente agli effetti dello scioglimento del vincolo, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione e sino al decorso del termine di centottanta giorni, procederà alla relativa annotazione.

È stata dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del D.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, con assorbimento delle ulteriori censure propose dal rimettente.

Sono state dichiarate invece non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 31, comma 4-bis, del D.lgs. n. 150 del 2011, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14CEDU, il cui accoglimento presupporrebbe l’estensione della disciplina prevista dall’art. 1, comma 27, della L. n. 76 del 2016, dettata per la ipotesi di conversione, a seguito di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, del matrimonio in unione civile, alle fattispecie speculari di rettificazione nei confronti di uno dei componenti dell’unione civile.

Anzitutto, la Corte ha negato la fondatezza del rilievo del giudice a quo in ordine alla disparità di trattamento che l’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 produrrebbe nei confronti dei componenti di una unione civile rispetto alla coppia di coniugi, con riferimento alla facoltà riconosciuta dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 soltanto a questi ultimi – nel giudizio di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei componenti, in caso di accoglimento della relativa domanda, previa manifestazione di volontà congiuntamente resa dalle parti innanzi al giudice della rettificazione – di convertire il matrimonio in unione civile senza soluzione di continuità nelle tutele.

E ciò perché il rapporto coniugale si configura come un vincolo diverso da quello che ha fonte nell’unione civile, e non può essere ad esso assimilato perché se ne possa dedurre l’impellenza costituzionale di una parità di trattamento.

Segnatamente, ad avviso della Corte, matrimonio e unione civile trovano differente copertura costituzionale, essendo il primo, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, riconducibile all’art. 29 Cost. e la seconda alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità.

I due istituti rappresentano, dunque, fenomeni distinti, caratterizzati da differenti panorami normativi, pur avendo il legislatore del 2016 certamente attinto, nell’introdurre e disciplinare l’unione civile tra persone dello stesso sesso, a molte delle disposizioni che regolamentano il matrimonio: tra le altre, quelle sulle cause impeditive alla costituzione dell’unione, sui relativi effetti e sui mezzi per azionarle, di cui all’art. 1, commi 4, 5 e 6, della L. n. 76 del 2016 nei relativi rinvii al codice civile; la disciplina dei cognomi, di cui al successivo comma 10; la previsione degli obblighi reciproci all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed alla contribuzione ai bisogni comuni, di cui al comma 11; il regime patrimoniale e delle donazioni e successioni di cui ai commi 13 e 21; i trattamenti previdenziali stabiliti dagli artt. 2118 e 2120 c.c., ai sensi del comma 17; sino a prevedere, con la clausola di equivalenza, posta dal comma 20 dell’art. 1, l’applicazione alle parti dell’unione civile di quelle disposizioni, ovunque ricorrenti, in cui figurino i termini “matrimonio”, “coniuge” o “coniugi” “o termini equivalenti” (salve le norme del c.c. non richiamate espressamente nella stessa legge, tra le quali quelle relative alla filiazione, nonché le disposizioni di cui alla L. 4 maggio 1983, n. 184, relativa alla disciplina dell’adozione, fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti).

La Corte ha aggiunto che il percorso normativo intrapreso, seppure sostenuto da ampia condivisione della disciplina legale del matrimonio, ha comunque fatto permanere significative differenze, tra l’altro, in tema di costituzione del vincolo (per la quale solo il matrimonio, e non l’unione civile, deve, in via generale, essere preceduto dalle pubblicazioni, ex artt. 93 e ss. c.c., cui segue la possibilità di opposizione preventiva di cui agli artt. 102 e ss. c.c., per le cause che ostino alla celebrazione del matrimonio stesso, indicate negli artt. 84 e ss. c.c., opposizione non prevista, invece, per l’unione civile); in tema di accesso a quest’ultima, per cui è stabilita la maggiore età (art. 1, comma 2, della L. n. 76 del 2016), laddove per il matrimonio è prevista quella di sedici anni, in presenza di autorizzazione del tribunale per i minorenni (art. 84 c.c.); in tema di scioglimento dell’unione civile, la cui disciplina contempla forme più agili e di attenuato formalismo rispetto al matrimonio ed accentuata accelerazione dei relativi effetti (art. 1, commi da 22 a 26, della L. n. 76 del 2016), e non prevede una situazione intermedia quale la separazione personale.

Sicché la Corte ha concluso sul punto nel senso che, alla stregua della ricognizione della regolamentazione dei due istituti in esame, il vincolo derivante dalla unione civile produce effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti e, in parte, di estensione ridotta rispetto a quelli nascenti dal matrimonio, e ricompresa nel più ampio spettro di diritti ed obblighi da questo originati, con l’effetto che la questione relativa alla dedotta ingiustificata disparità di trattamento tra coppie coniugate ed unite civilmente è stata ritenuta non fondata per l’obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto.

Il Giudice delle leggi ha, per converso, ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016, sollevata in riferimento all’art. 2 Cost.

E tanto muovendo dalla premessa secondo cui l’unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri.

In questa prospettiva, la coppia unita civilmente, in ragione dell’automatico scioglimento del vincolo (art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016), quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti previsto dalla L. n. 164 del 1982 (artt. 1 e 4), ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell’unione civile.

Ha, pertanto, evidenziato la Corte che la mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell’unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. Non senza considerare che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo.

Ne discende che la tutela additiva reclamata dal rimettente rispetto alla coppia omoaffettiva che si sia trovata ad intraprendere il percorso di modifica del genere e voglia a sé conservare continuità nelle garanzie di legge nel passaggio tra unione civile e matrimonio, resta nei suoi presupposti riconducibile a quella categoria di situazioni “specifiche” e “particolari”, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento della Corte sotto il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore.

Secondo l’indicato parametro ed in adesione al richiamato indirizzo, si tratta, nella specie, di dare contenuto al diritto inviolabile della persona di mantenere senza soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status, una volta condotto a compimento il percorso di affermazione della propria identità di genere, secondo principi di proporzione e adeguatezza.

L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità.

Per l’effetto, ad avviso della Corte, il rimedio deve garantire la tutela della personalità del singolo lungo il tempo, non altrimenti governabile dalle parti, strettamente necessario alla celebrazione. E tuttavia, avuto riguardo alle differenze, già poste in evidenza, di struttura e disciplina tra matrimonio e unione civile, il rimedio alla accertata situazione di illegittimità costituzionale non può essere quello di omologare le due situazioni, estendendo alla seconda la disciplina di cui all’art. 1, comma 27, della L. n. 76 del 2016. Il rimedio è stato diversamente declinato, in modo che siano preservate dette differenze, ma, al contempo, sia consentito di riconoscere alla coppia omoaffettiva, che, all’esito di un percorso di transizione di genere uno dei suoi componenti, voglia unirsi in matrimonio, un mezzo diverso ma destinato a replicare, in modo eguale e contrario, quello già previsto dal legislatore con l’art. 31, comma 4-bis, del D.lgs. n. 150 del 2011. Quest’ultimo facoltizza la coppia coniugata, attraversata dalla modifica di sesso, a comparire davanti al giudice della rettificazione anagrafica per manifestare la volontà di rimanere legalmente unita, nella sopraggiunta omoaffettività.

In direzione inversa lo strumento di tutela deve evitare ai componenti dell’unione civile, per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio, quella soluzione di continuità nel rapporto di coppia che si determini in ragione dell’acquisita nuova identità di genere di uno dei suoi componenti.

A tal fine, ha proseguito la Consulta, lo strumento di tutela deve precludere, negli effetti, l’automatismo solutorio previsto dall’art. 1, comma 26, della legge sulle unioni civili.

Nella irrimediabile frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, le ragioni di proporzione ed adeguatezza del mezzo al fine sostengono l’individuazione del rimedio nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario a che le parti dell’unione civile, che abbiano congiuntamente manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, permanendo nella loro iniziale intenzione, celebrino il matrimonio.

Ha rilevato, ancora, la Corte che la durata della sospensione, da ricercarsi nel sistema e, segnatamente, nella disciplina dell’istituto matrimoniale, deve individuarsi nel termine fissato dal c.c. per la celebrazione del matrimonio a far data dalle pubblicazioni, e quindi in quello di centottanta giorni previsto dall’art. 99, comma 2, c.c. decorrente, però, nel caso in esame, dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa, così nel suo decorso, limitatamente all’effetto dell’automatismo solutorio del vincolo.

Ne consegue che la sospensione di tale effetto lascia alle parti la facoltà di procedere alla celebrazione del matrimonio, al contempo conservando agli uniti civilmente la tutela propria del rapporto già goduto e riconosciuto nell’ordinamento nelle more della celebrazione del matrimonio.

Esito del giudizio di costituzionalità:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della L. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’art. 1, comma 28, lettere a) e c), della L. 20 maggio 2016, n. 76», nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4-bis, del D.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art. 54 della L. 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del D.lgs. n. 5 del 2017, sollevate, in riferimento gli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Riferimenti giurisprudenziali:

Corte cost., sentenza 11 giugno 2014, n. 170.

Riferimenti normativi:

D.lgs. 1° settembre 2011, n. 150

Art. 7 del D.lgs. n. 5 del 2017

D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396

Copyright © - Riproduzione riservata

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