Penale

Nessuna incompatibilità per il GIP che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per illegalità della pena

Con la sentenza n. 74 depositata il 26 aprile 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna, per ritenuta illegalità della pena proposta dal pubblico ministero, a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale, avanzata da quest’ultimo in ragione dei rilievi del medesimo giudice.

Il caso

Il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna, per ritenuta illegalità della pena proposta dal pubblico ministero, a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale, avanzata da quest’ultimo in ragione dei rilievi del medesimo giudice.

Ad avviso del rimettente, la fattispecie in esame sarebbe del tutto analoga a quella oggetto della sentenza Corte cost. n. 16/2022, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il GIP, che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.

Secondo il giudice a quo, infatti, anche in caso di rigetto della richiesta di decreto penale di condanna per ritenuta illegalità della pena, con restituzione degli atti al pubblico ministero, la pregressa valutazione di merito sulla medesima res iudicanda e la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, farebbe sì che la successiva proposizione di una ulteriore richiesta di decreto penale di condanna aprirebbe una nuova e distinta fase di giudizio, nell’ambito della quale le precedenti valutazioni esplicherebbero la propria efficacia pregiudicante.

Di conseguenza, la mancata previsione dell’incompatibilità nell’ipotesi qui al vaglio violerebbe i princìpi di terzietà ed imparzialità del giudice di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost., poiché la nuova decisione sul merito della causa potrebbe essere, o apparire, condizionata dalla “forza della prevenzione”, ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto nella precedente valutazione sul merito dell’accusa.

La decisione della Corte

Le questioni sono state ritenute non fondate.

La Corte, in primo luogo, si è richiamata alla propria costante giurisprudenza, secondo cui la “disciplina dell’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei princìpi di terzietà e imparzialità della giurisdizione, essendo rivolta ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere – o apparire – condizionata dalla ‘forza della prevenzione’, ossia dalla naturale «tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda” (ex plurimis, da ultimo, sentenze Corte cost. n. 172/2023, Corte cost. n. 64, Corte cost. n. 16/2022 e Corte cost. n. 7/2022).

Quanto alla cosiddetta incompatibilità “orizzontale”, di cui al comma 2 dell’art. 34 c.p.p. – ossia all’incompatibilità attinente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che la precede –, la Corte ha ribadito che essa presuppone una relazione tra una ‘fonte di pregiudizio’ (ossia un’attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione) e una ‘sede pregiudicata’ (vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l’attività pregiudicante, non risulta più idoneo).

In relazione alla “sede pregiudicata”, che l’art. 34, comma 2, c.p.p. individua nella partecipazione al “giudizio”, la Corte ha chiarito che, di regola, la decisione sulla richiesta di decreto penale di condanna costituisce una funzione di giudizio, perché il controllo demandato al GIP attiene non solo ai presupposti del rito, ma anche al merito dell’ipotesi accusatoria, postulando una verifica del fatto storico e della responsabilità dell’imputato (così le sentenze Corte cost. n. 16/2022 e Corte cost. n. 346/1997).

Infatti, il GIP può sindacare la congruità della pena richiesta dal pubblico ministero, la corretta qualificazione giuridica del fatto e la sufficienza degli elementi probatori: ipotesi tutte che, in caso di esito negativo della verifica, portano al rigetto della richiesta; il GIP, inoltre, può anche prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (art. 459, comma 3, c.p.p.).

In riferimento alla “attività pregiudicante”, la Corte ha richiamato le condizioni che devono contestualmente sussistere affinché si configuri la necessità costituzionale di prevedere un’ipotesi di incompatibilità endoprocessuale, ossia una preesistente valutazione di merito della medesima res iudicanda effettuata dal giudice in una diversa fase del procedimento.

Nella vicenda in esame, la Corte ha escluso che le valutazioni di merito si riferiscano a differenti fasi del procedimento.

Invero, laddove dette valutazioni vengono compiute nell’interno della medesima fase del procedimento non è configurabile nessuna menomazione dell’imparzialità del giudice, perché, diversamente opinando, “si attribuirebbe all’imputato la potestà di determinare l’incompatibilità del giudice correttamente investito del giudizio, in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dando contestualmente luogo ad una irragionevole frammentazione della serie procedimentale”.

Nella vicenda in esame, è ben vero che il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna comporta una regressione del processo alla diversa fase delle indagini preliminari (Corte cost. sentenza n. 16/2022) e, come affermato dalla Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Corte cost. sent. n. 20569 del 18/1/2018) una conseguente “piena riespansione dei poteri del pubblico ministero”, riespansione che si è verificata anche nel procedimento a quo, nell’ambito del quale il pubblico ministero ha formulato una seconda – e diversa – richiesta di decreto penale di condanna.

E tuttavia, ha chiarito la Corte, non sussiste alcuna previa valutazione del merito dell’accusa.

Invero, la valutazione circa l’illegalità della pena – che ha comportato il rigetto della richiesta di decreto penale - può essere compiuta “sulla base della mera lettura della richiesta di decreto penale di condanna, senza la necessità di avviare ponderazioni del merito della richiesta stessa e a prescindere da eventuali considerazioni circa la fondatezza dell’ipotesi accusatoria”.

Ove rilevi che la sanzione proposta dal pubblico ministero non rispetta i criteri previsti dalla legge per la sua determinazione, il GIP, infatti, può ben procedere alla restituzione degli atti affinché il pubblico ministero riformuli la richiesta nell’osservanza delle previsioni di legge, “senza essersi formato un convincimento in ordine alla sussistenza, o no, della responsabilità penale dell’imputato”.

In tal caso, la restituzione degli atti al PM è perciò diversa da quella oggetto del giudizio incidentale definito con la sentenza Corte cost. n. 16/2022, riferita al rigetto della richiesta di decreto penale per mancata contestazione di una circostanza aggravante; nel provvedimento di rigetto, infatti, è necessariamente insito il riconoscimento che non solo il fatto per cui si procede sussiste ed è addebitabile all’imputato, ma che è altresì aggravato da una circostanza non oggetto di contestazione da parte dal pubblico ministero.

L’ipotesi al vaglio, invece, è contrassegnata “da una mera valutazione ab externo, che non richiede al giudice di entrare nel merito dell’accertamento del fatto e della responsabilità dell’imputato”.

E’ questo il motivo per cui tale pronuncia non possiede una “forza pregiudicante” tale da perturbare la terzietà e l’imparzialità del giudice chiamato a pronunciarsi sulla nuova richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

La Corte, infine, ha chiarito che rimane al giudice la possibilità di allegare – ove ne ricorrano i presupposti concreti – la sussistenza delle “gravi ragioni di convenienza”, che legittimerebbero la sua astensione a norma dell’art. 36, comma 1, lett. h), c.p.p.

Riferimenti normativi:

Art. 34, comma 2, c.p.p.

Copyright © - Riproduzione riservata

Contenuto riservato agli abbonati
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
1 anno € 118,90 € 9,90 al mese
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
Primi 3 mesi € 19,90 Poi € 35,90 ogni 3 mesi
Sei già abbonato ? Accedi

Novità editoriali

Vedi Tutti
Ricorso penale per cassazione
Risparmi 12% € 65,00
€ 57,00
Commentario breve al Codice penale
Risparmi 5% € 250,00
€ 237,50
Diritto penale e processo
Risparmi 20% € 295,00
€ 236,00
Codice di procedura penale commentato
Risparmi 5% € 320,00
€ 304,00
eBook - Riforma Cartabia
€ 19,90
Organismo di Vigilanza
Risparmi 5% € 90,00
€ 85,50
ilQG - Il Quotidiano Giuridico
Risparmi 52% € 250,00
€ 118,80
Prova scientifica e processo penale
Risparmi 30% € 75,00
€ 52,50
Codice penale commentato
Risparmi 30% € 290,00
€ 203,00
La Diffamazione
Risparmi 30% € 90,00
€ 63,00
Procedura Penale
Risparmi 30% € 92,00
€ 64,40
I reati urbanistico-edilizi
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Intercettazioni: remotizzazione e diritto di difesa nell'attività investigativa
Risparmi 30% € 34,00
€ 23,80
Responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/01)
Risparmi 30% € 57,00
€ 39,90
Diritto penale delle società
Risparmi 30% € 120,00
€ 84,00
Ordinamento penitenziario commentato
Risparmi 30% € 160,00
€ 112,00
Le invalidità processuali
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Misure di prevenzione
Risparmi 30% € 80,00
€ 56,00
Trattato di diritto penale - Parte generale Vol. III: La punibilità e le conseguenze del reato
Risparmi 30% € 95,00
€ 66,50