Crisi d'impresa

La condotta abusiva del proponente giustifica la dichiarazione di inammissibilità del concordato

La Cassazione, con l’ordinanza n. 10652/2024, si pronuncia su un caso di abuso dello strumento concordatario da parte del debitore. In una vicenda in cui la società proponente aveva presentato una domanda di concordato preventivo con riserva, poi rinunciata, e successivamente riproposto altra domanda con riserva, invocando pure la disciplina speciale introdotta in tempi di pandemia, la S.C. ribadisce il suo consolidato orientamento, a tenore del quale la domanda di regolazione della crisi è inammissibile quando l’uso dello strumento processuale si palesa come abusivo, cioè quando è utilizzato per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento lo ha predisposto.

Il caso portato all’esame della S.C. si incentra su una vicenda processuale di certo non inedita nei tribunali concorsuali.

Nel gennaio del 2020, prima della grande pandemia, una società a responsabilità limitata presenta una domanda di concordato preventivo con riserva, ex art. 161, comma sesto, l.fall., ottenendo dal tribunale adito un termine per il deposito della proposta e del piano.

Improvvisamente, subito dopo che il commissario giudiziale nominato dal tribunale aveva accertato il mancato adempimento degli obblighi informativi gravanti sulla società proponente, quest’ultima deposita una istanza in seno alla quale dichiara di rinunciare alla domanda di concordato preventivo.

Il tribunale decide di convocare le parti in una apposita udienza in camera di consiglio e allora il Pubblico Ministero presenta una richiesta di fallimento nei confronti della proponente; nel frattempo, scoppiata la pandemia da Covid-19, in forza dell’art. 83, comma 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, tutte le udienze civili – comprese quelle prefallimentari – sono sospese dal 9 marzo fino al 15 aprile (e poi fino al giorno 11 maggio) del 2020.

Terminata la sospensione delle udienze imposta ex lege dall’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, la società viene convocata di nuovo davanti al tribunale e con la domanda di fallimento del Pubblico Ministero incombente, deposita istanza tesa alla concessione di un ennesimo termine, invocando, da un lato, sempre l’art. 161 comma sesto, l.fall. e, dall’altro, il nuovissimo art. 9, comma 5-bis, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, introdotto in sede di conversione dalla legge 5 giugno 2020 n. 40, norma entrata in vigore, guarda il caso, esattamente il giorno prima del deposito della ridetta istanza.

E com’è noto, l’art. 9, comma 5-bis, del d.l. n. 23 del 2020, nell’ambito della disciplina emergenziale da Covid-19, dispose che il debitore, il quale prima o durante il periodo pandemico avesse già ottenuto la concessione dei termini di cui all'articolo 161, sesto comma, l.fall., potesse entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano attestato di risanamento ai sensi dell'art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall., già pubblicato nel registro delle imprese.

Il tribunale, tuttavia, non accorda alcun termine alla debitrice e, dopo avere preso atto della rinuncia alla prima domanda di concordato con riserva, dichiara inammissibile sia la seconda domanda di concordato con riserva, sia la domanda formulata ai sensi dell’art. 9, comma 5-bis, del d.l. n. 23 del 2020; sulla persistente istanza del Pubblico Ministero, quindi, dichiara senz’altro il fallimento della proponente.

Il reclamo alla corte d’appello proposto dalla fallita viene respinto; la reclamante deposita quindi un ricorso per cassazione nella quale in sostanza lamenta che il tribunale prima e la corte d’appello poi abbiano giudicato erroneamente abusiva la condotta processuale serbata nella fase di ammissione alla procedura di concordato.

La Corte di cassazione ha buon gioco a dichiarare senz’altro inammissibile il ricorso della società fallita, condannandola pure per responsabilità aggravata nei confronti del fallimento controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c.

Invero, come esattamente osservato dal Giudice di legittimità, da un lato, la seconda domanda di concordato in bianco era platealmente inammissibile, in base al chiaro disposto dell’art. 161, comma nono, l.fall., che prevede siffatta sanzione quando il debitore, nei due anni precedenti, abbia già presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma, alla quale non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato preventivo o l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti; e nella vicenda all’esame – come visto – c’era già stata, nel gennaio del 2020, una domanda di concordato con riserva, poi oggetto di rinuncia secca da parte della debitrice.

Quanto alla domanda formulata ai sensi dell’art. 9, comma 5-bis, d.l. n. 23 del 2020, è sufficiente osservare che la descritta norma speciale esigeva sia la rinuncia ad una domanda di concordato con riserva in corso, sia la pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato previamente elaborato; ma di questo piano attestato ex art. 67, terzo comma, lett. d), l.fall. non vi era traccia di sorta negli atti processuali, visto che la società proponente aveva chiesto un termine finalizzato esattamente ad elaborarne uno.

Non paga della piana soluzione del caso sottoposto al suo esame, tuttavia, la S.C. coglie l’occasione per ribadire il suo consolidato orientamento, a tenore del quale nell’ambito del concordato preventivo la condotta abusiva del proponente giustifica la declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato con riserva.

Invero, secondo l’arresto inaugurato dalle Sezioni Unite della Cassazione, la domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, sesto comma, l.fall., presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti (Cass. S.U. 15 maggio 2015, n. 9935; conformi tutte le successive: Cass. sez. 1, 7 marzo 2017, n. 5677; Cass. sez. 6 -1, 11 ottobre 2018, n. 25210; Cass. sez. 6-1, 31 marzo 2021, n. 8982; Cass. sez. 1 22 maggio 2023, n. 13997).

Ora, è evidente ai più come la domanda di concordato formulata dalla società ricorrente nella vicenda all’esame, fosse radicalmente inammissibile, in forza di espressa previsione di legge, perché già la legge fallimentare non consentiva di proporre una domanda di concordato con riserva nel biennio successivo alla presentazione di una precedente domanda e perché la “conversione” della domanda di concordato in un piano attestato, prevista dalla legislazione speciale del ’20, presupponeva l’esistenza in vita del piano esclusa in radice nel caso in esame.

Dunque, forse la S.C. avrebbe potuto fermarsi a verificare la violazione delle norme surrichiamate per sancire l’inammissibilità della domanda di concordato, restando la categoria di matrice squisitamente giurisprudenziale dell’abuso del processo, nella sua declinazione concreta dell’abuso dello strumento concordatario, confinata alle ipotesi – all’evidenza residuali – in cui, senza incorrere in alcuna violazione espressa della disciplina positiva, il debitore insolvente abbia fatto un uso distorto delle norme processuali al solo scopo di sottrarsi all’apertura del concorso.

Riferimenti normativi:

Art. 161, comma VI, l.fall.

Art. 161, comma VI, l.fall.

art. 67, comma III, lett. d), l.fall.

Art. 9, comma 5-bis, d.l. 8 aprile 2020, n. 23

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