Famiglia, minori e successioni

Niente assegno divorzile se la ex può ricominciare a fare l'avvocato

Il Tribunale di Savona con sentenza del 25 marzo 2022, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti, ponendo a carico del marito l’obbligo di corrispondere alla moglie, oltre ad un cospicuo contributo al mantenimento dei figli, la somma di € 3.000,00 mensili, oltre ISTAT, a titolo di assegno divorzile. La decisione veniva impugnata avanti alla Corte distrettuale dal marito, che chiedeva la rideterminazione delle somme dovute per i titoli predetti, che la Corte riduceva ad importi minori. In particolare, rideterminava l’assegno divorzile riducendolo ad € 2.000,00 mensili oltre ISTAT, ma respingeva la domanda di restituzione dell’eccedenza sull’assegno divorzile. Avverso tale decisione il marito proponeva ricorso per Cassazione, poi riunito con quello proposto dalla moglie (in punto a affidamento e contributo dei figli), con il quale lamentava la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto dettati dalla Suprema Corte in tema di riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile, nonché in punto alla ripetibilità degli assegni di divorzio versati. E’ quanto stabilito nella Cassazione civile, sez. I, ordinanza 11 aprile 2024, n. 9839.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi:

Cass. ord. 1482 del 18 gennaio 2023

Cass. ord. 32644 del 7 novembre 2022

Cass. ord. 477 del 11 gennaio 2023

Cass. ord. 31635 del 14 novembre 2023

Difformi:

Non si rilevano precedenti in materia

La Suprema Corte, con la decisione in commento, accoglie la censura del marito che denunciava la cattiva applicazione da parte della Corte distrettuale del principio, ormai consolidato, secondo il quale la funzione dell’assegno divorzile non è quella di garantire al coniuge richiedente il tenore di vita endoconiugale, bensì di valorizzare il contributo fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale dei coniugi stessi, nell’ambito di un processo di riconoscimento del ruolo endofamiliare del coniuge richiedente e della sua incidenza nella produzione del patrimonio dell’altro.

Accoglie, inoltre, il motivo di ricorso proposto dal marito sulla domanda di restituzione di quanto versato in eccedenza all’ex coniuge a titolo di assegno divorzile.

La Corte distrettuale, afferma la Suprema Corte, aveva omesso di esaminare “…le complessive e attuali condizioni economiche e patrimoniali delle parti, sebbene negli atti siano riportate una serie di affermazioni sulle risorse economiche dell’una e dell’altra parte proponendo temi difensivi contrapposti, che la Corte non ha approfondito”.

La Corte d’Appello, infatti, si esprimeva in termini laconici sul punto, affermando da un lato che la moglie era dotata di una professionalità che le consentiva di reinserirsi nel mondo del lavoro, dall’altro che, malgrado ciò, riteneva di confermare l’assegno divorzile, pur riducendolo, in quanto “…la situazione è da valutare in relazione al contesto sociale della famiglia, che ha avuto un elevato tenore di vita”.

La tesi del Giudice di secondo grado non è convincente per gli Ermellini, che rilevano la discrasia della predetta affermazione con l’orientamento giurisprudenziale uniforme che penalizza qualsiasi forma di parassitismo, premiando, al contrario, il ruolo endofamiliare funzionale alla crescita economica della famiglia, in uno scenario ove il tenore di vita goduto dalla famiglia è irrilevante ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno divorzile, che ha funzione assistenziale e in pari misura, compensativa e perequativa.

La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, assegnata all’assegno divorzile, dunque, si muove su criteri del tutto distanti dal principio del tenore di vita che rimane sullo sfondo a regolare il rapporto economico derivante dall’obbligo contributivo nei confronti dei figli in cui riemerge il criterio di proporzionalità con riferimento all’entità delle risorse a disposizione del genitore obbligato.

In altre parole, il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive, sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.

Nella specie, la moglie, non solo aveva una professionalità e un’età che le avrebbe consentito di reinserirsi nell’ambiente lavorativo, ma era anche proprietaria di un discreto patrimonio immobiliare che, pur costituendo potenzialmente una significativa fonte di reddito, non era sfruttato efficacemente; inoltre, il matrimonio era durato solo sei anni, ovverosia un breve lasso di tempo, che di per sé non evoca un ruolo endofamiliare convincente ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile.

D’altra parte, il marito, dopo la separazione dalla moglie, si era allontanato dal territorio italiano per un lungo periodo di tempo e ciò a causa di un dissesto finanziario in cui era stato coinvolto, delegando totalmente la madre nell’accudimento dei figli che con lei erano conviventi. Non può negarsi, dunque, che quest’ultima, nel lungo periodo di assenza dell’altro genitore, abbia messo a disposizione le sue risorse per occuparsi dei figli, e che il suo impegno possa essersi rivelato talmente assorbente da ostacolarla nell’avvio verso un’autonomia lavorativa e quindi economica. Secondo la tesi della Corte distrettuale, tale circostanza avrebbe avuto rilevanza sulla domanda di restituzione dell’eccedenza sull’assegno divorzile formulata dal marito, in quanto “…le condizioni per la modifica sono mutate attualmente in ragione del fatto che la A.A. può tornare al lavoro a tempo pieno in conseguenza del fatto che il figlio minore frequenta ormai il liceo e ha raggiunto una maggiore autonomia…”.

Anche su quest’ultimo punto, la Suprema Corte non condivide il ragionamento della Corte distrettuale, affermando che – semmai – l’accertata professionalità della moglie è un indice di capacità economica che il giudice di secondo grado ha omesso di considerare adeguatamente nell’esaminare le condizioni economiche e patrimoniali delle parti, fornendo una disamina superficiale delle stesse che ha prodotto una decisione contradditoria in punto all’assegno divorzile.

La domanda di restituzione delle somme versate in eccedenza, afferma la Corte, deve essere, invece, regolata dal principio espresso dalla sentenza pronunciata a Sezioni Unite n. 32914 del 8 novembre 2022, che ha stabilito la regola della condictio indebiti, chiarendo che l’irripetibilità è circoscritta ai casi in cui la modifica al ribasso sia operata sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base della precedente pronuncia (provvedimenti provvisori e urgenti confermati o modificati in corso di causa o la decisione di grado inferiore).

In particolare, afferma la Suprema Corte che “…Per converso, si deve affermare che, invece, non sorge, a favore del coniuge separato o dell'ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell'an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell'assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l'assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato "al ribasso"; il tutto sempre se l'assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressochè tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione”

Intervengono, dunque, in questi casi i principi di solidarietà umana e familiare di rango costituzionale che impediscono di introdurre la regola della ripetibilità tout court; in altre parole, la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite e le decisioni successive, non hanno inteso introdurre un automatismo, bensì hanno individuato precisamente le ipotesi in cui opera l’irripetibilità, al fine di pervenire al necessario bilanciamento tra l'esigenza di legalità e prevedibilità delle decisioni e l'esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole nel rapporto.

E’ dunque, sulla base di tali principi che la Corte distrettuale in diversa composizione è chiamata a riesaminare la fattispecie.

Esito:

Accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso del marito e cassa con rinvio.

Riferimenti normativi:

Art. 5, co.6, L. 898/70

Art. 2033 c.c.

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