Amministrativo

Opere abusive sul demanio marittimo: legittimo l’indennizzo parametrato ai valori di mercato

Con la sentenza n. 70 del 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della L. n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), nella parte in cui prevede l’applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell’indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato, poiché l’affidamento generatosi in capo agli artefici di opere abusive su aree demaniali illegittimamente occupate è stato legittimamente e prevedibilmente sacrificato dal legislatore in vista della tutela di valori di matrice costituzionale altrettanto rilevanti.

Il caso

Con ordinanza del 13 ottobre 2023, la Corte di cassazione sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della L. n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), nella parte in cui prevede l’applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell’indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi espressi nel precedente D.L. n. 400 del 1993, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6CEDU.

Il suddetto comma 257, al primo periodo (non censurato), offre l’interpretazione autentica dell’art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito, che detta i criteri per la quantificazione – a decorrere dall’anno 1990 – degli indennizzi dovuti per le utilizzazioni ivi contemplate dei beni demaniali. In particolare, il citato art. 8 determina gli indennizzi in misura pari a quella dovuta a titolo di canone di concessione, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento, a seconda che ricorra la totale carenza di concessione oppure la sola difformità da essa. Tali utilizzazioni, per effetto dell’esegesi imposta dal medesimo legislatore al primo periodo del comma 257, devono ritenersi riferite alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze.

Il secondo periodo del medesimo comma 257 – disposizione sospettata d’illegittimità costituzionale – prevede che, qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi.

Quanto alla non manifesta infondatezza, ad avviso del rimettente, il tenore testuale dell’intero comma 257 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007avrebbe impedito di considerare la disposizione censurata in termini di norma innovativa, come tale applicabile solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, dovendosi piuttosto riconoscere a essa una chiara natura interpretativa.

La conseguente efficacia retroattiva della previsione di legge induceva il giudice a quo a dubitare della sua compatibilità con i parametri costituzionali evocati.

In primo luogo, in violazione degli artt. 3 e 23 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di affidamento, il legislatore non avrebbe effettuato un equo bilanciamento tra gli interessi contrapposti, anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU in materia di leggi retroattive.

Sotto altra angolatura, e anche in tal caso con il supporto di giurisprudenza della Corte EDU, era prospettata la violazione degli artt. 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6CEDU. Sarebbe venuto in rilievo, in particolare, un intervento legislativo che, in quanto destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso al fine di influenzarne l’esito, avrebbe leso i principi del giusto processo e della parità delle armi tra le parti, nonché il diritto di difesa e, al contempo, le attribuzioni costituzionalmente riservate all’autorità giudiziaria.

La decisione della Corte costituzionale

Con la segnalata sentenza la Consulta ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della L. n. 296 del 2006, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost.

La Corte ha, anzitutto, rilevato che la disposizione interpretata dal legislatore – l’art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito – si limitava a distinguere tra utilizzazioni difformi dalla concessione e utilizzazioni totalmente prive di titolo e, per il calcolo del relativo indennizzo, utilizzava come parametro il solo canone di concessione, differenziando nelle due ipotesi le maggiorazioni in percentuale.

L’originaria disciplina non operava, invece, alcuna distinzione esplicita tra “mere occupazioni” di beni demaniali marittimi e abusi di maggiore gravità, consistenti nella realizzazione di opere inamovibili abusive sulle aree già illegittimamente occupate.

In questo contesto, è intervenuto, appunto, il primo periodo del comma 257 dell’art. 1 della L. n. 296 del 2006, che ha voluto chiarire la portata della disposizione, prevedendo che il citato art. 8 si interpreta nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze (sul carattere autenticamente interpretativo, e dunque retroattivo, del primo periodo del suddetto comma 257, Cass. civ., Sez. II, ord. 8 maggio 2023, n. 12154; Cass. civ., Sez. III, ord. 5 luglio 2017, n. 16491).

In conseguenza di tale intervento legislativo, e con l’effetto retroattivo che naturalmente pertiene alle norme di interpretazione autentica, le occupazioni di beni demaniali che, oltre a essere sine titulo o non conformi alla concessione rilasciata, fossero anche caratterizzate dalla realizzazione, sulle aree occupate, di opere inamovibili abusive sono state espunte dall’ambito applicativo degli illustrati criteri di quantificazione dell’indennizzo richiamati dall’interpretato art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito.

A quest’ultima tipologia di occupazioni illegittime, all’evidenza più gravi perché caratterizzate anche dalla non assentita trasformazione irreversibile dell’area demaniale, si riferisce il secondo periodo del citato comma 257 ove è previsto un indennizzo più oneroso, al fine di scoraggiare il fenomeno dell’abusivismo.

Da ciò muove la prospettazione del giudice a quo sulla sua natura di norma d’interpretazione autentica pacificamente riconosciuta al precedente primo periodo, oppure di disposizione innovativa, di cui occorre accertare l’efficacia nel tempo.

Secondo la Corte, l’auto-qualificazione in termini di norma d’interpretazione autentica è compiuta dal legislatore solo con espresso riferimento alla attribuzione di significato – operata dal primo periodo del comma 257 – al termine «utilizzazioni» contenuto nell’art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito. Tale termine, per effetto dell’esegesi imposta per legge, va riferito solo alla “mera” occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze, con esclusione dal suo perimetro delle occupazioni con opere inamovibili. In questo si sostanzia – e si esaurisce – l’operazione ermeneutica compiuta dal legislatore. Ne consegue che non è la lettera della legge a ostacolare il riconoscimento di un carattere innovativo alla diversa disposizione censurata.

Né alla Corte è apparso plausibile attribuire al legislatore l’intenzione di estendere l’auto-qualificazione anche al secondo periodo del comma 257, soprattutto alla luce del contenuto precettivo di tale ultima previsione normativa.

Secondo gli ordinari criteri dell’interpretazione della legge, infatti, requisito essenziale affinché una disposizione possa essere considerata di interpretazione autentica è che essa esprima uno dei significati già appartenenti a quelli riconducibili alla previsione interpretata. Nel caso di specie, per le occupazioni del demanio marittimo caratterizzate dalla compromissione irreversibile dell’area, il legislatore ha introdotto un sistema indennitario basato su un criterio – la commisurazione ai valori di mercato – del tutto diverso da quelli che si potrebbero definire “tabellari” (in quanto basati sulla maggiorazione in misura percentuale fissa dei canoni dovuti per le concessioni demaniali) previsti dall’art. 8, ossia dalla disposizione interpretata.

Sicché la regola che impone il riferimento al valore di mercato non rientra in alcuna delle possibili varianti di senso già evincibili dall’art. 8, che rinvia a criteri governati da logiche affatto differenti.

All’esito, il Giudice delle leggi ne ha tratto il convincimento che questa evidente incompatibilità con il tenore testuale dell’art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito, esclude la possibilità di considerare parte integrante dell’operazione di interpretazione autentica anche il secondo periodo del comma 257 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007. È lo stesso legislatore, d’altra parte, a chiarire, con l’utilizzo dell’avverbio «invece», la portata da attribuire a quest’ultima disposizione.

Per un verso, il comune significato dell’avverbio, in termini di opposizione o contrarietà rispetto a precedenti affermazioni, conferma il carattere innovativo del precetto dettato. Sotto altra visuale, il termine impiegato evidenzia comunque lo stretto collegamento esistente con il periodo precedente e la conseguente necessità di considerare in un’ottica unitaria l’efficacia temporale del complessivo intervento legislativo.

È del tutto comprensibile, del resto, che, una volta ristretto, con effetto retroattivo a far data dal 1990, il raggio d’azione delle «utilizzazioni» contemplate dalla disposizione interpretata (e dei connessi indennizzi parametrati ai canoni di concessione), il legislatore abbia voluto disciplinare, con la medesima decorrenza, il diverso fenomeno delle “occupazioni con opere”, applicando a esso l’innovativa (rispetto al criterio in precedenza applicato) regola del valore di mercato.

Anche una norma innovativa può, peraltro, avere carattere retroattivo, in quanto, nonostante il divieto di retroattività della legge costituisca fondamentale valore di civiltà giuridica dell’ordinamento, esso, in forza dell’art. 25 Cost., riceve tutela privilegiata esclusivamente in materia penale.

Ad avviso della Corte, il legislatore ha voluto dunque fissare la modalità di calcolo degli indennizzi dovuti, sin dall’origine, anche per le più gravi condotte di occupazione, consistenti nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale. In tal modo, ha evitato che, per il passato, potessero sorgere dubbi sull’individuazione del criterio utilizzabile, così prevenendo il rischio di contrasti interpretativi.

Chiarita, dunque, la portata retroattiva anche della disposizione censurata, sebbene secondo una lettura divergente da quella offerta dal giudice rimettente, la Corte ha scrutinato nel merito le sollevate questioni di legittimità costituzionale. La retroattività di una legge, infatti, deve sempre trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata.

In primis, è stato evidenziato il fatto che i soggetti destinatari della disposizione censurata sono fruitori di manufatti abusivi ovvero difformi rispetto all’originaria concessione. Non si tratta certo di escludere in assoluto che, in capo a un trasgressore di un divieto, possa sorgere un affidamento salvaguardabile, poiché tale tutela deve quantomeno essere riconosciuta in ordine alla prospettiva di permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio concernente proprio gli effetti della violazione, in base alla legge del tempo in cui la condotta viene tenuta.

Piuttosto, il grado di meritevolezza dell’affidamento, può influenzare il risultato dell’operazione di bilanciamento con gli interessi antagonisti pure costituzionalmente protetti.

Da quest’angolo visuale, ha esposto la Consulta, l’affidamento maturato in capo ai fruitori abusivi di beni pubblici – sui quali siano stati realizzati manufatti che incidono irreversibilmente sulle aree del demanio marittimo – può essere considerata recessiva rispetto ad altri interessi in gioco, che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino. Rafforza questa conclusione la constatazione che, tra le occupazioni illegittime del demanio marittimo, le uniche situazioni interessate dall’intervento retroattivo peggiorativo, in punto di computo degli indennizzi dovuti, sono proprio e solo quelle caratterizzate dal più alto grado di lesione del bene protetto.

In questa logica, ha proseguito la Corte, la scelta legislativa ha eliminato un’evidente sperequazione. Prima della modifica apportata dalla legge finanziaria 2007, infatti, l’art. 8 del D.L. n. 400 del 1993, come convertito, non operava alcuna distinzione tra l’occupazione “mera” di aree demaniali marittime e l’occupazione “aggravata” dalla trasformazione irreversibile e non assentita delle medesime superfici; sicché gli autori di tali più gravi condotte erano chiamati a corrispondere gli indennizzi dovuti nella medesima misura prevista per i trasgressori che si fossero, quantomeno, astenuti dal realizzare opere inamovibili.

L’art. 1, comma 257, della L. n. 296 del 2006 interviene proprio per differenziare posizioni caratterizzate da un’oggettiva diversa gravità delle condotte; tanto che la stessa ordinanza di rimessione riconosce la ragionevolezza, in astratto, del criterio di quantificazione dell’indennizzo commisurato, nei casi più gravi di “occupazioni con opere”, al valore di mercato dei beni.

Per l’effetto, ha chiosato la Corte, l’affidamento generatosi in capo agli artefici di opere abusive su aree demaniali illegittimamente occupate, declinato nell’aspettativa di continuare a pagare gli stessi indennizzi previsti per condotte oggettivamente meno gravi, è stato dunque legittimamente sacrificato dal legislatore, in quanto connesso a posizioni acquisite sulla base di leggi che, a un più approfondito esame o a seguito dell’esperienza derivante dalla loro applicazione, hanno generato risultati iniqui.

Del resto, la Corte ha precisato che la norma retroattiva non può neppure considerarsi assolutamente imprevedibile.

Il criterio di computo degli indennizzi utilizzato in precedenza, infatti, era pur sempre legato a un parametro, quello dei canoni di concessione, rispetto al quale la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto l’esistenza di una precisa linea evolutiva, caratterizzata dalla tendenza alla variazione in aumento, in particolare con riferimento all’utilizzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo.

Tutto ciò mostra che un aumento degli indennizzi – anche in base al sistema di computo legato ai canoni – non poteva certo considerarsi inaspettato, anche (ed anzi, proprio) negli anni presi in considerazione nel giudizio principale, rispetto ai quali la disposizione censurata ha inteso intervenire in modo retroattivo, sostituendosi ad un precedente aumento, di notevole entità, non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura.

La previsione, peraltro, non può considerarsi neppure sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti, dal momento che la tendenza all’aumento dei canoni demaniali – e, di conseguenza, dei relativi indennizzi per le occupazioni illegittime delle aree – segue una direttrice conforme agli artt. 3 e 97 Cost., volta a consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e a rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli (appunto di mercato) pagati in favore di locatori privati.

Esito del giudizio di costituzionalità:

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», sollevate, in riferimento agli artt. 24, primo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, della L. n. 296 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Riferimenti normativi:

D.L. n. 400 del 1993

L. n. 296 del 2006

Copyright © - Riproduzione riservata

Contenuto riservato agli abbonati
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
1 anno € 118,90 € 9,90 al mese
Abbonati a Il Quotidiano Giuridico
Primi 3 mesi € 19,90 Poi € 35,90 ogni 3 mesi
Sei già abbonato ? Accedi

Novità editoriali

Vedi Tutti
Codice del processo amministrativo commentato
Risparmi 5% € 180,00
€ 171,00
La riforma del codice degli appalti
Risparmi 5% € 50,00
€ 47,50
Giornale di Diritto Amministrativo
Risparmi 20% € 305,00
€ 244,00
Urbanistica e appalti
Risparmi 20% € 295,00
€ 236,00
Processo Amministrativo - Formulario Commentato
Risparmi 30% € 160,00
€ 112,00
Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati
Risparmi 30% € 170,00
€ 119,00
Azienditalia Enti Locali
Risparmi 40% € 215,00
€ 129,00
ilQG - Il Quotidiano Giuridico
Risparmi 52% € 250,00
€ 118,80
Procedure concorsuali e diritto pubblico
Risparmi 30% € 60,00
€ 42,00
L'opposizione alle sanzioni amministrative
Risparmi 30% € 70,00
€ 49,00
Procedimento amministrativo
Risparmi 30% € 75,00
€ 52,50
Appalti pubblici
Risparmi 30% € 85,00
€ 59,50
Parcelle avvocati e fatturazione elettronica verso la PA
Risparmi 30% € 70,00
€ 49,00
La procedura di espropriazione per pubblica utilità
Risparmi 30% € 50,00
€ 35,00