Responsabilità civile

Appalto privato

AltalexPedia, voce aggiornata il 13/09/2023

L'appalto è "il contratto con cui una parte assume, con l'organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro" (art. 1655 cod. civ.).


AltalexPedia

Appalto privato

di Paolo Franceschetti

Nozione

Figure affini

Appalto e somministrazione

Appalto e contratto di prestazione d’opera

Appalto e lavori a cottimo

Appalto e lavori in economia

Appalto e appalto a regia

Appalto e collegamento negoziale con altre figure

Natura giuridica

L'obbligatorietà e il contemporaneo carattere traslativo dell’appalto

Commutatività

L'intuitu personae

Le parti

La causa

L'oggetto

La forma

Generalità

Il capitolato

Il corrispettivo

Variazioni di corrispettivo

Le obbligazioni dell'appaltatore

La prestazione principale

Il rischio

L'autonomia dell’appaltatore

Le variazioni al progetto

a) Variazioni autorizzate

b) Variazioni necessarie

c) Variazioni ordinate dal committente

Verifica, collaudo e accettazione

Generalità

La verifica

Il collaudo

L'accettazione

L'azione diretta degli ausiliari

La responsabilità dell'appaltatore

a) Responsabilità per vizi dell’opera

Contenuto della garanzia

L'azione di risoluzione

Corresponsabilità dell’appaltatore e del progettista

Prescrizione dell’azione

b) Responsabilità per rovina e difetti di cose immobili

La normativa

Disciplina

Natura giuridica della responsabilità di cui all’articolo 1669

L'estinzione del contratto

Generalità

Il recesso del committente

Il recesso per variazioni del progetto

La risoluzione per eccessiva onerosità

La risoluzione per impossibilità sopravvenuta

La diffida

La morte e l’incapacità dell’appaltatore

Il subappalto

Generalità

Il divieto di subappalto

Disciplina

segue: rapporti diretti tra committente e subappaltatore

Casistica

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Nozione

Tradizionalmente l'appalto era inquadrato nella categoria della locatio operis, che comprendeva il contratto di lavoro autonomo, l'appalto e il trasporto. Solo nel codice del 1942 l'istituto è stato separato e disciplinato dagli articoli 1655 e ss.

"L'appalto è il contratto con cui una parte assume, con l'organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro".

La parte che esegue l'opera o il servizio si chiama appaltatore; colui che conferisce l'incarico appaltante, o committente.

Da questa definizione emergono le caratteristiche principali dell'istituto:

1) una prestazione di lavoro;

2) l'autonomia dell'appaltatore (su cui v. Cass. 18745/2010 e Cass 22344/2009);

3) l'esistenza di un apparato organizzativo.

Figure affini

Appalto e contratto di prestazione d’opera

Sia l'appalto che il contratto di opera hanno ad oggetto una prestazione di risultato a favore del creditore. Entrambi, poi, hanno come caratteristica comune l'assunzione del rischio e l'indipendenza di colui che esegue l'opera rispetto al committente.

Il criterio discretivo è costituito, ritiene la dottrina, dal fattore organizzativo: nel contratto di appalto l'esecuzione dell'opera è effettuata da un'impresa che mette a disposizione i suoi mezzi per eseguire una certa prestazione, mentre nel contratto di prestazione d'opera l'esecutore è un lavoratore autonomo, il quale ha a disposizione mezzi che di regola sono limitati, o che comunque assumono un'importanza secondaria rispetto al lavoro personale di chi esegue l'opera. Ad esempio, è contratto d'opera quello tra un soggetto e un falegname affinché costruisca una libreria; è appalto il contratto tra lo stesso soggetto e un'impresa specializzata nel costruire mobili su ordinazione.

Anche la prestazione dell'artigiano e del piccolo imprenditore (art. 2083) rientrano nel contratto d'opera, perché è comunque prevalente la prestazione di lavoro personale rispetto all'elemento organizzativo.

Appalto e somministrazione

L'appalto di servizi deve essere distinto dalla somministrazione (che - ai sensi dell'articolo 1559 - ha ad oggetto l'esecuzione di "prestazioni periodiche o continuative di cose"); ora, nell'appalto l'oggetto della prestazione è un servizio (e quindi una prestazione di fare), mentre nella somministrazione consiste nel fornire cose (e quindi è una prestazione di dare).

Spesso, però, nella pratica vengono forniti sia un servizio sia delle cose; in tal caso non sarà facile capire se ci troviamo di fronte ad un contratto dell'una o dell'altra specie (ad esempio una panetteria che fornisce dei negozi di alimentari vende delle cose, cioè il pane, ma fornisce anche un servizio, cioè la fabbricazione e il trasporto del pane, l'incarto, ecc..). L'elemento discretivo è quello della prevalenza: bisognerà vedere se nel contratto abbia un valore preminente l'opera dell'uomo o la fornitura delle cose.

Comunque, la distinzione perde molto della sua importanza quando l'appalto ha per oggetto prestazioni periodiche o continuative di servizi, perché in tal caso si osservano, in quanto compatibili, sia le norme sull'appalto che quelle sulla somministrazione (art. 1677).

Solo quando l'oggetto del contratto è costituto da prestazioni periodiche di cose elaborate il problema di distinguere le due figure presenta particolare importanza, in quanto, non trattandosi di prestazione di servizi, si dovrà applicare esclusivamente una delle due normative.

Appalto e lavori a cottimo

Elemento comune dell'appalto e del lavoro a cottimo è la modalità della retribuzione, che è commisurata al prodotto finito e non al tempo impiegato per eseguirlo. La differenza sta nel fatto che il lavoratore a cottimo è un lavoratore subordinato, mentre l'appaltatore svolge il suo lavoro in autonomia.

Appalto e lavori in economia

Nei cosiddetti lavori in economia chi ha bisogno dell'opera provvede direttamente ad eseguire i lavori, senza intermediari. In alcuni casi chi effettua il lavoro si fa aiutare da terzi (ad esempio, nella ristrutturazione di una casa ci si può far aiutare da idraulici o elettricisti ecc.) ma l'opera di estranei avviene sotto la direzione dell'esecutore del lavoro ed il compenso è commisurato alle ore lavorative effettivamente svolte ed ai materiali utilizzati; la prestazione del lavoro altrui è quindi secondaria rispetto all'impiego del lavoro proprio.

Appalto e appalto a regia

Viene denominato appalto a regia una figura che in realtà è completamente al di fuori del contratto di appalto. Nell'appalto a regia l'appaltatore si obbliga a fornire i materiali, la mano d'opera, i mezzi di trasporto e tutto ciò che occorre; inoltre il committente si obbliga a rimborsare tutte le spese effettivamente sostenute (oltre, ovviamente, a compensarlo per l'opera svolta) e dirige l'andamento dei lavori. Rispetto all'appalto mancano, quindi, due elementi fondamentali: l'autonomia dell'appaltatore e il rischio per l'attività intrapresa.

Per questo si è detto che la stessa terminologia impiegata ("appalto a regia") è una contraddizione in termini, perché il fenomeno non è per niente riconducibile all'appalto.

Appalto e collegamento negoziale con altre figure

In molti casi nel contratto di appalto sono previste, accanto alle prestazioni tipiche di questo contratto, anche prestazioni di vario tipo che rientrano in altre figure contrattuali, come il trasporto, la custodia, o il contratto di prestazione intellettuale in senso proprio (si pensi all'appaltatore di un edificio che provveda anche a redigere il progetto). In questi casi o si osserveranno integralmente le norme sull'appalto in quanto compatibili, e in pari tempo quelle proprie del rapporto in questione; in altri casi le varie prestazioni formeranno oggetto di rapporti distinti, ancorché collegati a quello di appalto.

Natura giuridica

L'appalto è un contratto: a) obbligatorio; b) oneroso, c) commutativo, d) normalmente ad esecuzione prolungata e non di durata.

È discusso se sia un contratto intuitu personae.

Contratti di durata (o anche contratti ad esecuzione continuata) sono quei contratti i quali hanno per oggetto una certa quantità di lavoro diluito nel tempo (si pensi al contratto di lavoro subordinato). In tali contratti l'interesse dell'altro contraente è soddisfatto momento per momento (si pensi ancora alla somministrazione).

Contratto ad esecuzione prolungata (che Stolfi definisce anche "contratto di durata in senso lato"), invece, è quello che ha ad oggetto il prodotto di un determinato lavoro che richiede del tempo per essere eseguito, e in cui l'interesse finale dell'altro contraente viene soddisfatto in una volta sola (nel momento dell'esecuzione della prestazione).

La distinzione ha rilievo principalmente per l'applicabilità delle norme sulla retroattività della risoluzione, del recesso e della condizione (che si applicano solo ai contratti ad esecuzione prolungata e non a quelli di durata).

Non è escluso, comunque, che possano esistere appalti, particolarmente quelli di sevizi, che si inquadrano nell'ambito dei contratti di durata (per esempio gli appalti di manutenzione e di servizi.

L'obbligatorietà e il contemporaneo carattere traslativo dell’appalto

Il carattere di obbligatorietà dell'appalto non è snaturato dall'eventuale prodursi anche di effetti reali, se questi hanno una funzione accessoria o strumentale.

Al riguardo è necessario fare alcune precisazioni, distinguendo a seconda del tipo di appalto.

a) nell'appalto di cosa mobile, se i materiali sono di proprietà dell'appaltatore la proprietà della cosa passa al committente ad opera finita;

b) se i materiali appartengono al committente la proprietà della cosa è del committente fin da subito, qualunque sia lo stato dei lavori.

c) Se l'appalto è di cosa immobile e i materiali - come avviene di regola - sono dell'appaltatore occorre distinguere: 1) qualora il suolo sia di proprietà dell'appaltante il passaggio della proprietà dei materiali avviene momento per momento, in virtù del principio dell'accessione; 2) se il suolo è di proprietà dell'appaltatore l'immobile si trasferirà al committente al momento dell'accettazione.

Commutatività

Quanto alla commutatività, qualcuno ha dubitato di questa caratteristica, sostenendo che qualora le parti escludano il meccanismo della revisione del prezzo previsto dalla legge, l'appalto sarebbe un contratto aleatorio. Ma, come è stato sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, una clausola siffatta non muta la natura del contratto, perché comporta solo un ampliamento del margine di rischio previsto dal legislatore, e tale rischio sarà pur sempre pari a quello rinvenibile in ogni contratto che non sia ad esecuzione istantanea. La conseguenza di questa tesi è che, qualora il margine tra le due prestazioni diventi notevole, sarà sempre esperibile la generale azione di risoluzione per eccessiva onerosità, cosa che, accogliendo l'opposta teoria, non sarebbe possibile.

L'intuitu personae

Si discute se l'appalto sia un contratto intuitu personae. Le due tesi opposte si basano una (quella positiva) sull'art. 1656 (divieto di subappalto, in linea teorica conseguenza dell’essere il contratto stipulato intuitu personae), l'altra, quella negativa, si basa sull'art. 1674 (in base al quale alla morte dell'appaltatore il contratto passa agli eredi, salvo che la considerazione della sua persona sia stato motivo determinante del negozio; tale norma presuppone logicamente che il contratto prescinda dalle caratteristiche personali dell’appaltatore).

Probabilmente è preferibile la tesi intermedia, sostenuta da autorevoli autori: l'intuitu personae è carattere dell'appalto, ma riguarda non la persona dell'appaltatore, bensì l'impresa; con ciò si spiega la presenza nel sistema di due norme apparentemente incompatibili: il passaggio agli eredi delle obbligazioni derivanti dal contratto di appalto (perché l’impresa resta la stessa) e il divieto di subappalto (perché l’impresa cambierebbe completamente).

Questa tesi pare poi confermata da come è formulato l'art. 1674: "il contratto di appalto non si scioglie con la morte dell'appaltatore, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto"; in altre parole, parafrasando l'articolo, esso dice che l'appalto non è contratto intuitu personae, salvo eccezioni.

Le parti

Quanto alle parti, c'è da segnalare che la giurisprudenza e la stessa Relazione al Re affermano che il soggetto appaltatore deve essere un imprenditore; ciò è confermato dalla formulazione dell'art. 1655 in quanto le espressioni "organizzazione dei mezzi necessari" e "gestione a proprio rischio" indicano i requisiti tipici dell'impresa (rischio e organizzazione di mezzi).

Parte della dottrina è di contrario avviso e sostiene che l'unico requisito necessario sia l'organizzazione di mezzi (Stolfi); la disciplina dell'appalto, quindi, si applica anche a chi occasionalmente si assume l'incarico di eseguire un'opera o effettuare un servizio senza assumere la qualifica di imprenditore.

La causa

La causa dell'appalto è data dall'esecuzione di una prestazione (che può consistere nel compimento di un servizio oppure di un'opera) contro un corrispettivo, il quale deve essere in denaro, come espressamente richiede il codice.

Qualora il corrispettivo consista in una prestazione di diversa natura, di dare o di fare, allora avremo un contratto misto, cui saranno applicabili le norme sull'appalto in quanto compatibili. Sono tali i contratti con cui il costruttore acquista un terreno per edificarvi degli immobili e in corrispettivo trasferisce uno o più appartamenti tra quelli che costruirà sul terreno stesso.

Se non è previsto alcun corrispettivo avremo una donazione obbligatoria. Se la donazione obbligatoria ha ad oggetto una prestazione di fare o di non fare, non avremo una donazione diretta, ma indiretta (essendo inammissibile la donazione di una prestazione di fare) e l'oggetto di essa sarà costituito non dal valore reale del bene (comprensivo dei materiali e dell'opera dell'appaltatore) ma dall'impoverimento del donante (vale a dire solo il prezzo del materiale e le somme eventualmente sborsate per l'utilizzo di manodopera altrui).

L'oggetto

Per quanto riguarda l'oggetto la distinzione principale è quella tra appalto di opere e appalto di servizi. Appalto d'opera è quello in cui l'appaltatore compie un lavoro di elaborazione o trasformazione della materia, diretta a produrre un nuovo bene o a modificarne uno già esistente. Appalto di servizi è quello destinato a soddisfare un bisogno del committente senza trasformazione di materia (Stolfi).

Nell'ambito dell'appalto di opera distinguiamo - con valore solo classificatorio - i cosiddetti appalti di costruzione, di montaggio, di ricostruzione, di trasformazione, di modificazione, di manutenzione, demolizione e riparazione.

Nell'ambito dell'appalto di servizi non sono state proposte dalla dottrina classificazioni precise, perché i sevizi possono essere dei più vari: pulizie, sorveglianza di case e negozi, provvedere al vitto di comunità, al riscaldamento di stabili ecc...

La collocazione di un contratto nell'ambito del contratto d'opera o di servizi può essere rilevante sul piano della disciplina, perché non tutte le norme del codice sono applicabili ad entrambi i tipi: ad esempio le norme in materia di collaudo e accettazione, nonché quelle che si riferiscono ai materiali forniti e alla consegna della cosa non si applicano all'appalto di servizi perché presuppongono un lavoro di trasformazione della materia.

La forma

Generalità

L'appalto è a forma libera. Fanno eccezione gli appalti di navi o aeromobili di una certa stazza (art. 237 e 852 c. nav., per cui è richiesta la forma scritta e la trascrizione), nonché gli appalti pubblici e quelli aventi ad oggetto la costruzione di immobili sul suolo dell'appaltatore; in tal caso, infatti, al momento dell'accettazione si trasferisce la proprietà dell'immobile costruito e quindi è richiesta la forma scritta ai sensi dell'articolo 1350, mentre è dubbio se il negozio debba essere trascritto immediatamente oppure al momento dell'accettazione dell'opera.

Di solito il progetto forma parte integrante del contenuto del contratto di appalto e viene allegato ad esso; non contenendo clausole contrattuali questo non deve essere sottoscritto dalle parti.

Dalla regola della libertà di forma del contratto di appalto scaturisce come conseguenza che il contratto potrà concludersi o verbalmente o anche per facta concludentia; ulteriore conseguenza è che il contratto potrà essere provato per testimoni (Cass. 22216/2009)

La forma scritta ad probationem è prescritta dalla legge per le modifiche al progetto (art. 1659 comma 2).

Il capitolato

Negli appalti di beni immobili è frequente che al contratto principale sia aggiunto il cosiddetto capitolato (il cui nome deriva dal fatto che generalmente è redatto in capitoli), che è un documento contenente le clausole tecniche relative alle modalità dell'opera e alla sua esecuzione (ad esempio vi sono determinati i materiali da impiegare, le dimensioni e le caratteristiche degli impianti elettrici, idraulici, ecc.).

In genere il capitolato viene allegato all'appalto e fa parte integrante del contratto; di conseguenza deve rivestire la stessa forma ed essere sottoscritto dalle parti.

Se i due documenti sono di data diversa deve farsi riferimento alla data del contratto principale.

Se è invalido il contratto principale la stessa sorte tocca al capitolato; se è invalido solo il capitolato il contratto principale resta in piedi e ciascuna parte può pretendere che ne sia redatto un altro.

Il corrispettivo

La prestazione del corrispettivo viene in genere determinata in tre modi:

a) globalmente, o à forfait, nel cosiddetto appalto a corpo;

2) a misura (ad esempio un tanto a metroquadro, o a metrocubo, o a peso) nel cosiddetto appalto a misura.

Anche se taluno ha dubitato che ciò sia compatibile con la disciplina dell'appalto, la dottrina prevalente ritiene che il corrispettivo possa essere determinato anche a tempo (è quanto avviene, a volte, negli appalti di manutenzione).

L'art. 1657 fissa i criteri per determinare il corrispettivo: in primo luogo questo sarà determinato dalle parti; qualora queste non vi abbiano provveduto si farà riferimento prima alle tariffe e poi agli usi. In mancanza provvederà il giudice.

Variazioni di corrispettivo

In linea di massima il corrispettivo è invariabile. Vi sono alcuni casi, però, in cui è stabilito che il corrispettivo pattuito possa variare:

a) se il committente vuole effettuare variazioni al progetto in corso d'opera (art. 1661); in tal caso il compenso può essere maggiorato.

b) in caso di aumento o diminuzione del costo dei materiali o della manodopera, dovuto a circostanze imprevedibili, che comportino una variazione superiore al decimo del prezzo convenuto; il prezzo può venire diminuito o aumentato ma solo per la parte che eccede il decimo (art. 1664 comma 1).

c) quando in corso d'opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche, o simili (è ciò che la dottrina chiama "sorpresa geologica") che rendano più difficile l'opera dell'appaltatore; in tal caso l'appaltatore ha diritto ad un equo compenso (indipendentemente dal fatto che la variazione ecceda il decimo).

Le norme in esame hanno carattere dispositivo, e quindi le parti possono derogarvi.

Le obbligazioni dell'appaltatore

La prestazione principale

L'obbligazione principale dell'appaltatore consiste nell'obbligo di eseguire l'opera, che è una prestazione di fare ed è annoverabile tra le obbligazioni di risultato.

L'appaltatore deve eseguire l'opera in conformità del contratto, e non può apportare varianti, anche se siano utili e non modifichino il prezzo dell'appalto.

Tra le obbligazioni secondarie c'è quella di fornire i materiali per l'opera, a meno che le parti non abbiano stabilito diversamente (art. 1658).

Altra obbligazione secondaria è quella di dare pronto avviso al committente dei difetti del materiale da questi fornito, se possono compromettere la regolare esecuzione dell'opera (art. 1663).

La prestazione principale dell'appaltatore è incoercibile, nel senso che se costui non adempie il committente non può esercitare mezzi di coazione all'adempimento; se l'appalto non è intuitu personae, però, il committente potrà avvalersi dell'esecuzione specifica dell'obbligo di fare di cui all'articolo 2931, e quindi ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato.

L'obbligazione dell'appaltatore è sempre indivisibile, anche quando si tratta di opere da eseguire per partite (art. 1666); in tal caso l'appaltatore può chiedere che la verifica avvenga per singole partite e il pagamento venga frazionato in proporzione dell'opera eseguita, ma la prestazione complessiva è da considerarsi pur sempre unitaria.

Il rischio

L'appaltatore, ai sensi dell'articolo 1655, assume il rischio dell'esecuzione dell'opera. Ciò implica che se il risultato promesso non è raggiunto (ad esempio per perimento o deterioramento della cosa o per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione) l'appaltatore non riceve nulla in corrispettivo (art. 1672 e 1673).

Il rischio riguarda anche l'impossibilità parziale della prestazione, perché se la parte di opera eseguita non è di alcuna utilità per il committente, nulla è dovuto all'appaltatore (articolo 1672).

Inoltre non rileva il fatto che in corso d'esecuzione l'opera si riveli più difficile del previsto (anche se, come abbiamo visto, l'articolo 1664 mitiga tale principio consentendo che in casi eccezionali l'appaltatore consegua una maggiorazione del prezzo).

L'autonomia dell’appaltatore

Abbiamo già detto che l'appaltatore lavora in autonomia. L'autonomia, però, non è assoluta, e ha ad oggetto principalmente il modo di eseguire la prestazione, la scelta dei mezzi e del personale, l'organizzazione della sua impresa.

Non c'è libertà, ovviamente, per quanto riguarda il tipo di prestazione, e altri limiti possono essere indicati nel contratto (ad esempio il tempo di consegna, il tipo di materiali da impiegare, ecc...).

Normalmente, ma non necessariamente, l'opera è eseguita conformemente ad un progetto da cui l'appaltatore non può discostarsi, salvo che vi sia il consenso del committente.

Inoltre il committente ha un certo potere di controllo durante lo svolgimento dei lavori (art. 1662), e se l'imprenditore non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto o secondo le regole dell'arte, costui può intimare per iscritto di conformarsi a tali condizioni entro un certo termine.

Altra forma di controllo può essere esercitata tramite il direttore dei lavori, che può essere nominato dal committente ed è considerato una sorta di rappresentante di costui.

Le variazioni al progetto

In linea di massima l'appaltatore non può apportare modifiche al progetto, mentre analogo limite non è posto al committente. Ciò è abbastanza logico, dal momento che l'opera è eseguita nell'interesse di quest'ultimo, ed è quindi necessario poter apportare modifiche se l'interesse del contraente sia cambiato.

Le variazioni al progetto si distinguono in:

a) variazioni autorizzate (articolo 1659)

b) variazioni necessarie (articolo 1660) e

c) variazioni ordinate dal committente (art. 1661).

a) Variazioni autorizzate

Sono le variazioni (chiamate dal codice "variazioni concordate") che il committente autorizza (anticipatamente o su proposta dell'appaltatore).

L'autorizzazione del committente richiede la forma scritta ad probationem (art. 1659).

Nessun compenso è dovuto all'appaltatore per tali modifiche quando l'appalto è a forfait, salvo diversa pattuizione.

Se l'appaltatore effettua modifiche senza autorizzazione, anche se queste sono necessarie o hanno effettivamente migliorato l'opera, nessun compenso gli è dovuto, qualunque sia la loro entità; inoltre il committente può chiederne la rimozione.

Nulla esclude però, che l'appaltatore modifichi arbitrariamente il progetto e che il committente dia un' autorizzazione successiva.

b) Variazioni necessarie

Sono quelle che è necessario apportare affinché il progetto sia eseguito a regola d'arte (art. 1660). Se le parti non si accordano sul tipo e sulla quantità delle modifiche da apportare, provvederà il giudice, determinando le relative variazioni di prezzo.

Se le modifiche da introdurre sono superiori al sesto del prezzo complessivo dell'opera l'appaltatore ha diritto di recedere dal contratto, corrispondendo un equa indennità; il committente, invece, può recedere se le variazioni siano "di notevole entità", corrispondendo un equo indennizzo.

c) Variazioni ordinate dal committente

La legge ha cercato di contemperare equamente l'interesse del committente a modificare l'opera a suo piacimento e quello dell'appaltatore a non eseguire opere che possono essere troppo onerose o difficoltose per l'organizzazione della sua impresa.

Il committente - stabilisce l'articolo 1662 - può apportare modifiche al progetto, a sua discrezione. In tal caso l'appaltatore ha diritto ad una maggiorazione del compenso, anche se il prezzo era stato determinato à forfait.

Il diritto di modifica del committente incontra due limiti:

1) anzitutto l'entità della modifica non deve superare il sesto del prezzo complessivo convenuto (art. 1660 comma 1);

2) le modifiche - anche se inferiori al sesto - non devono comportare variazioni notevoli alla natura dell'opera o ai quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima (art. 1660 comma 2). Non è ammesso, cioé, che la modifica, pur non essendo di valore rilevante, comporti l'esecuzione di un'opera sostanzialmente diversa (ad es. non più un’automobile da strada ma una da corsa) oppure che comporti la modifica di singole categorie di lavoro (ad esempio era previsto l'impianto elettrico di valore 10 e quello idraulico di valore 90, e il committente voglia costruire un impianto elettrico di valore 90 e idraulico di valore 10).

Se il committente vuole apportare varianti non consentite dalla norma in esame l'appaltatore può rifiutarsi di eseguirle e conserva il diritto di terminare l'opera; non pare che abbia il diritto di recesso, dal momento che non è previsto; è invece controverso se abbia il diritto ad ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.

Si ritiene che il diritto di modifica del committente possa essere escluso o ampliato pattiziamente.

Verifica, collaudo e accettazione

Generalità

L'art. 1665 si intitola "verifica e pagamento dell'opera" e - insieme al successivo articolo 1666 - descrive il procedimento che va dal momento del compimento dell'opera fino alla consegna.

"Il committente, prima di ricevere la consegna, ha il diritto di verificare l'opera compiuta.

La verifica deve essere fatta dal committente appena l'appaltatore lo mette in condizioni di poterla eseguire.

Se, nonostante l'invito fattogli dall'appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro breve termine, l'opera si considera accettata.

Se il committente riceve senza riserve la consegna dell'opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica.

Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l'appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l'opera è accettata dal committente".

Come si vede, per quanto riguarda la fase che va dal controllo dell'opera da parte del committente al momento dell'accettazione il codice parla unitariamente di verifica.

La dottrina, però, mutuando la terminologia dal linguaggio usato negli appalti pubblici, ha distinto tutta l'operazione descritta nell'articolo 1665 in 4 momenti:

1) la verifica, diretta ad accertare l'esecuzione dell'opera;

2) il collaudo, che è il risultato della verifica e consiste nella dichiarazione con cui si fissa il contenuto dell'opera, cioè si dichiara se è conforme al progetto e se è costruita bene o male (il termine, infatti, deriva dal latino cum laude);

3) l'accettazione dell'opera;

4) la consegna.

La verifica

La verifica - che può eseguirsi non solo ad opera finita ma anche durante i lavori (art. 1662) - è un atto giuridico in senso stretto. Può essere compiuta dal committente oppure da persona di sua fiducia (collaudatore).

Quando i contraenti stabiliscono di accettare senza riserva il giudizio del collaudatore, costui assume le vesti un arbitro.

Per il committente la verifica rappresenta un diritto, ma anche un onere, perché solo dopo che è stata eseguita si può far valere la garanzia per i vizi dell'opera.

Il collaudo

Riguardo al collaudo in dottrina si riscontrano notevoli incertezze che riguardano da un lato il suo contenuto, dall'altro la sua natura giuridica.

Secondo la dottrina preferibile il collaudo sarebbe un atto giuridico in senso stretto, e cioè una dichiarazione di scienza con cui si dichiara se l'opera è eseguita a regola d'arte o meno, attestando il risultato della verifica.

Secondo altri, invece, sarebbe un negozio giuridico con cui, oltre ad attestare il risultato della verifica, si accetta l'opera. Tale opinione, che non distingue tra collaudo e accettazione, si fonda sul fatto che nel codice non c'è traccia di una simile distinzione; d'altro canto, se il committente dichiara che l'opera è conforme al progetto ed eseguita a regola d'arte, necessariamente accetta la consegna dell'opera (né potrebbe essere diversamente, visto che in caso contrario sarebbe inadempiente).

Probabilmente tutta questa confusione di opinioni (sulla nozione di collaudo e di verifica, sulla natura unilaterale o bilaterale del collaudo) discende dal fatto che nel codice la distinzione non è effettuata in modo esplicito, e inoltre dal fatto che nella pratica i vari momenti della verifica, del collaudo e dell'accettazione sono contemporanei e spesso non è facile distinguerli.

Tuttavia questi momenti sono distinti sia dal punto di vista logico che pratico: non è escluso, infatti, che si possa avere un collaudo senza accettazione (quando si dichiara che l'opera è difforme da quanto previsto) o un' accettazione senza né verifica né collaudo (art. 1665 comma 4) o una verifica con successiva accettazione, ma senza collaudo (quando il committente effettua la verifica ma trascura di comunicare il risultato all'appaltatore: articolo 1665 comma 3).

L'accettazione

L'accettazione è un negozio giuridico -successivo al collaudo- con cui il committente dichiara di accettare l'opera eseguita. Spesso l'accettazione è tacita. Quando il committente dichiara che l'opera è conforme al progetto ed eseguita a regola d'arte, infatti, il lavoro si presume accettato.

In alcuni casi si parla di accettazione presunta;

a) quando il committente trascura di effettuare la verifica senza un giustificato motivo (art. 1665);

b) quando il committente non comunica il risultato della verifica entro breve termine (art. 1665 comma 3);

c) quando il committente, anche senza aver effettuato la verifica, accetta senza riserve la consegna dell'opera (art. 1665 comma 4);

d) quando si tratta di opere da eseguire per partite e il committente paga la singola partita (art. 1666).

Dal momento dell'accettazione discendono alcune conseguenze, quali il passaggio dei rischi per il deterioramento o il perimento della cosa (art. 1673) e la liberazione dell'appaltatore dalla garanzia per i vizi palesi, nonché il diritto alla consegna da parte del committente (art. 1667).

Dal momento dell'accettazione l'appaltatore ha il diritto di esigere il prezzo.

L'azione diretta degli ausiliari

Il prezzo deve essere pagato all'appaltatore. L'articolo 1676 molto opportunamente stabilisce una regola che serve a tutelare gli ausiliari dell'appaltatore che abbiano collaborato all'esecuzione dell'opera: costoro, infatti, hanno azione diretta per l'adempimento contro il committente, il che li mette al riparo, ad esempio, dal fallimento dell'appaltatore, o dal concorso con i creditori dell'appaltatore.

Tale norma - che si applica a tutti gli ausiliari, e quindi anche agli operai - è da ritenersi tassativa e non si applica al subappaltatore, o ai fornitori, o a chi abbia svolto un lavoro autonomo (ad esempio una ditta che abbia eseguito l'impianto idraulico di un immobile su richiesta dell'appaltatore).

Le parti possono estendere la possibilità di esperire l'azione diretta anche a soggetti non contemplati dalla norma. Non sembra, invece, che possano escluderla per i soggetti che vi sono compresi.

La responsabilità dell'appaltatore

a) Responsabilità per vizi dell’opera

L'articolo 1667 stabilisce che l'appaltatore deve la garanzia in due casi:

a) per le difformità rispetto al progetto originale, garanzia che sussiste indipendentemente dal fatto che l'opera sia ben eseguita o immune da vizi;

b) per i vizi dell'opera.

La garanzia non è dovuta se il committente, nonostante i vizi fossero da lui conosciuti o conoscibili, ha accettato l'opera e le difformità (art. 1667 comma 2).

In ogni caso l'appaltatore è responsabile se conosce i vizi e li tace in mala fede.

Contenuto della garanzia

Il successivo articolo 1668 precisa in cosa consiste la garanzia. Il committente può chiedere, a sua scelta:

  • che vengano eliminati i vizi a spese dell'appaltatore (e tale azione è un'applicazione particolare della azione generale di adempimento);
  • che venga diminuito il prezzo.

Il comma 1 dell'articolo 1668 aggiunge che è "salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore". Questo inciso ha dato luogo a due interpretazioni differenti.

Secondo una prima tesi, la responsabilità per i vizi o le difformità sarebbe da annoverare nella responsabilità oggettiva, o perlomeno sarebbe da considerare come un'obbligazione di garanzia posta a carico dell'appaltatore; di conseguenza si prescinde dalla colpa e l'appaltatore è responsabile in ogni caso. Qualora però sia in colpa, l’appaltatore sarà tenuto a risarcire i danni ulteriori. Ad esempio, se l'appaltatore deve consegnare una casa e il vizio dipende da sua colpa, oltre all'eliminazione del vizio, il committente potrà chiedere che venga risarcito il danno subito a causa del ritardo nella consegna.

Secondo un'altra tesi, invece, la responsabilità sussiste solo in caso di colpa, e comprende entrambe le voci (spese per la riparazione + danni); se l'appaltatore non è in colpa, invece, viene meno anche la responsabilità per vizi e difformità.

L'azione di risoluzione

L'articolo 1668 comma 1 prevede che il committente possa anche chiedere la risoluzione del contratto qualora i vizi o le difformità siano di notevole entità, tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione. Come si vede l'azione di risoluzione in questione richiede presupposti di maggiore gravità rispetto alla generale azione di cui all'articolo 1453 (ove l'inadempimento deve essere "di non scarsa importanza").

Si discute se il committente possa esercitare la domanda di risoluzione e in subordine chiedere l'eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo. Parte della dottrina da una risposta positiva; non essendo esplicitamente vietato, infatti (a differenza di quanto è previsto per l'azione generale di risoluzione del contratto) è ragionevole supporre che il committente possa esperire le due domande alternativamente.

Corresponsabilità dell’appaltatore e del progettista

Uno dei problemi più rilevanti posti dalla responsabilità dell'appaltatore è quello della corresponsabilità dell'appaltatore e del progettista.

Bisogna fare prima alcune precisazioni:

  • se il vizio di costruzione dipende solo dall'appaltatore (mentre il progetto era ineccepibile), la responsabilità sarà esclusivamente a carico dell'appaltatore;
  • se il vizio di costruzione dipende unicamente da un errore del progetto, ma l'appaltatore non era in grado di accorgersene per le particolari conoscenze tecniche che erano richieste, la responsabilità sarà a carico del solo progettista.

Il dubbio sorge, invece, quando il difetto dipende da un errore di progettazione e l'appaltatore - accortosi del difetto - non lo ha comunicato al committente, oppure non lo ha rilevato pur avendo le conoscenze tecniche per poterlo fare.

Secondo qualcuno avremmo una responsabilità solidale di entrambi, cosicché il committente potrebbe rivolgersi all'uno o all'altro, secondo i principi propri delle obbligazioni solidali; secondo altra opinione, invece, costui potrebbe rivolgersi all'uno o all'altro, ma in via esclusiva, facendo valere o la responsabilità derivante dal contratto d'appalto, oppure quella derivante dal contratto d'opera; conseguenza di questa tesi è che colui che ha pagato non può esercitare l'azione di regresso nei confronti dell'altro.

Secondo altri, invece, la responsabilità dell'appaltatore sussiste comunque per intero e non vi sarebbe possibilità di invocare un concorso di colpa del progettista.

Prescrizione dell’azione

La garanzia decade in due casi (art. 1667):

a) se non è fatta denuncia entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla scoperta (ma la denuncia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati);

b) se la denuncia non è effettuata entro due anni dalla consegna dell'opera (termine che è considerato di prescrizione).

È sorta questione sulla validità delle clausole -inserite nei contratti di appalto di mobili o macchinari- con cui la garanzia si estende oltre i due anni; è noto, infatti, che i patti con cui le parti tendono a modificare il regime della prescrizione sono nulli (articolo 2969). La dottrina ha sostenuto la validità di tali clausole con motivazioni diverse; alcuni considerano il termine di cui all'articolo 1667 come un termine di decadenza, nonostante le parole usate dal legislatore; altri hanno detto -in modo non del tutto chiaro- che "la clausole non modifica il termine biennale di prescrizione previsto dalla legge, per l'esercizio dell'azione contro l'appaltatore"... ma "incide soltanto sul termine di durata del rapporto sostanziale di responsabilità per vizi, che certamente non è di ordine pubblico e quindi può essere liberamente modificato dalle parti".

b) La responsabilità per rovina e difetti di cose immobili

La normativa

All'art. 1669 il codice prevede una particolare forma di responsabilità per i soli beni immobili, che prescinde dal collaudo e dall'accettazione, e che è stata dettata dall'esigenza di adeguare i termini della garanzia alla durata particolarmente lunga della vita degli immobili; inoltre si è tenuto conto del fatto che spesso i difetti degli immobili si presentano a distanza di anni, e quindi l'ordinario termine di prescrizione della garanzia per vizi non sarebbe stato sufficiente.

"Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinati per loro natura a lunga durata, se nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente o dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denuncia entro un anno dalla scoperta.

Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denuncia".

Disciplina

La norma si applica sia agli appalti di costruzione che a quelli di manutenzione che a quelli di riparazione.

Per gravi difetti, secondo la Relazione al Re, devono intendersi "quelli che incidono sulla sostanza e sulla stabilità dell'opera, anche se non determinino minaccia di crollo immediato o evidente pericolo di rovina".

Secondo Rubino la garanzia non vale per i vizi palesi, quando l'opera è stata accettata senza riserve dal committente, ma varrebbe solo per i vizi occulti; se il vizio è palese, infatti, si applica l'articolo 1668.

Ma l'opinione prevalente è che la norma si applichi a tutti i vizi, palesi o occulti, indipendentemente dall'accettazione con riserva.

Quanto alla nozione di immobile, non vi si ricomprendono le costruzioni unite al suolo in via transitoria, come le baracche di legno, o i chioschi; inoltre deve intendersi non solo l'immobile costruito ex novo, ma anche la soprelevazione di un edificio, o la ristrutturazione di uno già esistente

È dubbio se si tratti di responsabilità oggettiva o per colpa. Prevale la tesi della responsabilità per colpa presunta; trattandosi di presunzione iuris tantum l'appaltatore è ammesso a provare che la rovina o i difetti sono dovuti a cause che non dipendono dal suo comportamento colpevole.

Quanto al contenuto, l'articolo dice solo che il costruttore "è responsabile" senza precisare se la responsabilità in esame sia limitata solo al risarcimento del danno, oppure comprenda anche l'eliminazione delle difformità. Tuttavia la differenza tra le due tesi non è troppo rilevante, se si considera che il committente può anche chiedere il risarcimento del danno in forma specifica (articolo 2058).

Quanto ai soggetti, la norma è stata ritenuta applicabile a tutti coloro che hanno collaborato nell'opera, quindi anche al progettista (per cui si ripropone il problema visto sopra, della responsabilità solidale tra progettista e appaltatore), e al direttore dei lavori.

Natura giuridica della responsabilità di cui all’articolo 1669

Si discute se la responsabilità in esame sia contrattuale o extracontrattuale.

A) La giurisprudenza e parte della dottrina propendono per quest'ultima tesi, individuando il fondamento della norma in un principio di ordine pubblico (consistente nell'interesse alla buona costruzione degli immobili) e in un'esigenza generale di tutela della salute dei cittadini. I sostenitori di quest'ultima tesi specificano che in tal caso legittimato all'azione è anche qualsiasi terzo danneggiato dalla rovina o dai gravi difetti dell'edificio.

Coerentemente, poi, la norma è considerata cogente dalla giurisprudenza, il che significa che le parti non potrebbero escludere tale garanzia con una loro manifestazione di volontà in tal senso.

Non solo, ma si è talmente dilatato l'ambito di applicabilità di tale norma che la si considera applicabile anche alla vendita, e precisamente al caso in cui il costruttore venda l'immobile senza che sia stato stipulato alcun contratto di appalto, oppure alla vendita di bene immobile futuro.

B) Ma la dottrina prevalente (Messineo, Rubino, Stolfi, Mirabelli) è di contrario avviso ed ha obbiettato che la norma è da considerarsi eccezionale, e come tale non à applicabile analogicamente. Quanto all'interesse pubblico alla buona costruzione degli immobili, questo è già sufficientemente tutelato da tutte le norme tecniche (assai numerose) sulla costruzione e riparazione degli immobili. Inoltre la norma non è inserita nella sezione della responsabilità extracontrattuale ma è espressamente prevista solo per l'appalto, si che appare abbastanza arbitrario interpretarla come responsabilità aquiliana ed estenderla al di là dell'istituto dell'appalto. Inoltre l'articolo è chiaro nel concedere espressamente l'azione solo al committente e ai suoi aventi causa, escludendo i terzi. Infine, l'appaltatore è già responsabile per danni ai terzi secondo la regola dell'articolo 2043, che è norma di applicazione generale.

Tuttavia, come ammettono gli stessi autori, il contrario indirizzo è talmente prevalente che ormai lo si può considerare consolidato e nell'applicazione della norma non si può non tenerne conto.

L'estinzione del contratto

Generalità

Il contratto di appalto si estingue per le cause proprie di ogni contratto (adempimento, risoluzione per inadempimento, impossibilità sopravvenuta, mutuo consenso, confusione e -negli appalti di durata- il decorso del tempo). Vi sono poi delle ipotesi particolari, specifiche per il contratto di appalto, tra le quali il fallimento dell'appaltatore o quello del committente (art. 81 L. F.), nonché il perimento o il deterioramento dell'opera per causa non imputabile, prima che sia intervenuta l'accettazione (art. 1673).

Il recesso del committente

Un'ipotesi particolare di estinzione dell'appalto è prevista dall'art. 1671: "il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno".

Esercitato il diritto di recesso il committente acquista la proprietà dell'opera già eseguita.

Tale articolo prevede un vero e proprio caso ex lege di recesso unilaterale ad nutum, il quale, però, non pregiudica le ragioni dell'appaltatore che avrà diritto ad un risarcimento comprendente il prezzo dell'opera eseguita e il mancato guadagno.

La norma - secondo alcuni autori - si fonda sul carattere intuitu personae del contratto, cosicché venendo meno la fiducia nell'impresa da parte dell'appaltante, gli si concede la possibilità di recedere senza problemi; inoltre si fonda sulla possibilità che col passare del tempo venga meno -per le cause più svariate - l'interesse del committente. Si tratta quindi di un vero e proprio diritto potestativo del committente, esercitabile a prescindere dal ricorrere di una giusta causa (Cass. 9645/2011).

La dottrina prevalente ritiene che le parti possano apportare modifiche alla disciplina del recesso (ad esempio stabilendo che tale diritto non possa essere esercitato se non per giusta causa) ma non sopprimerlo totalmente; di conseguenza una clausola che escludesse completamente la possibilità di esercitare il recesso sarebbe nulla

Il recesso per variazioni del progetto

Ulteriore ipotesi di recesso, questa volta a favore sia dell'appaltante che dell'appaltatore, si ha nel caso di variazioni al progetto che si rendano necessarie in corso di opera (art. 1660). Se le variazioni superano il sesto del costo complessivo dell'opera l'appaltatore può recedere dal contratto e ottenere un'indennità per il lavoro svolto fino a quel momento; il committente, invece, può recedere -corrispondendo un equo indennizzo- se le variazioni sono di notevole entità (e quindi anche inferiori al sesto).

La risoluzione per eccessiva onerosità

Quanto alla risoluzione per eccessiva onerosità, secondo parte della dottrina l'istituto non troverebbe applicazione perché sostituito interamente dall'istituto della revisione del prezzo previsto dall'art. 1664.

È stato affermato, però, che non può dirsi a priori che la disciplina dell'eccessiva onerosità sia sempre inapplicabile (Moscarini, Cagnasso): vi possono essere dei casi, infatti, in cui l'aumento dei prezzi non dipenda né dalla sorpresa geologica (art. 1664 comma 2) né da circostanze imprevedibili (art. 1664 comma 1), nel qual caso si applicherà la disciplina generale; per esempio può pensarsi ad un aumento esagerato dei prezzi degli immobili dovuto a nuovi tributi oppure ad un nuovo piano regolatore.

La risoluzione per impossibilità sopravvenuta

L'articolo 1672 prevede che il rapporto si sciolga per l'impossibilità sopravvenuta non imputabile ad alcuna delle parti; se una parte dell'opera è stata già eseguita il committente deve pagarne il prezzo "nei limiti in cui è per lui utile".

La diffida

L'articolo 1662 comma 2 regola un'ipotesi di risoluzione per inadempimento in tutto simile alla diffida ad adempiere di cui all'articolo 1454: "Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la prosecuzione non procede secondo quanto stabilito nel contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo temine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno".

La morte e l’incapacità dell’appaltatore

Se muore l'appaltatore il contratto non si estingue, salvo che la considerazione della sua persona sia stato il motivo determinante del contratto (art. 1674).

Il rapporto prosegue con gli eredi, ma se costoro non danno sufficiente affidamento per la buona prosecuzione dell'opera il committente può recedere e gli eredi hanno diritto ad essere pagati per la parte di opere già eseguita (articolo 1675); in tal caso, però, non hanno diritto a essere compensati del mancato guadagno.

La norma si ritiene applicabile analogicamente ai casi di interdizione, inabilitazione, incapacità naturale o assenza dell'appaltatore, quando la considerazione della sua persona sia stato il motivo determinante del contratto.

Il subappalto

Generalità

Il subappalto è una figura che rientra nella categoria del subcontratto, e il legislatore gli dedica solo due norme del codice.

Con tale contratto l'appaltatore incarica un terzo (subappaltatore) di eseguire l'opera o il servizio che erano stati a lui commissionati e quindi diventa a sua volta appaltatore in un altro contratto di appalto.

Il subappalto è negozio autonomo rispetto a quello di appalto, nel senso che il committente non ha rapporti con il subappaltatore (Cass. 16917/2011), almeno entro certi limiti: tra i due contratti sussiste quel rapporto che la dottrina chiama collegamento negoziale unilaterale, nel senso che le vicende dell' appalto reagiscono su quelle del subappalto, ma non viceversa. Ad esempio l'invalidità o la risoluzione del contratto di appalto comportano l'invalidità o la risoluzione del subappalto, ma non accade il contrario.

Al subappalto si applica la disciplina dell'appalto nei rapporti tra subappaltante e subappaltatore, salvo le norme aventi carattere particolare e che prevedono particolari benefici.

Il divieto di subappalto

L'art. 1656 vieta il subappalto salvo che non sia stato autorizzato dal committente.

Le ragioni del divieto di subappalto sono controverse. Secondo qualcuno sarebbe dovuto al fatto che l'appalto è un contratto intuitu personae ma, come abbiamo visto, tale conclusione non può essere accettata per ogni contratto di appalto, ma solo per quello in cui la qualità dell'imprenditore è stata la ragione determinante del contratto. Altri, allora, hanno individuato le ragioni del divieto nella necessità di evitare che nel mercato si inseriscano imprese che siano mere "accaparratrici di lavori", cioè che svolgano la sola funzione di intermediazione tra committenti ed esecutori effettivi, facendo salire i costi e disperdendo le responsabilità.

La norma non specifica quali sono le conseguenze della mancanza di autorizzazione e al riguardo sono state proposte diverse teorie.

Secondo parte della dottrina il contratto di subappalto sarebbe valido, ma l'appaltatore sarebbe responsabile verso il committente (Ferri).

Secondo altri autori il contratto sarebbe annullabile, ma la teoria non ha convinto appieno la prevalente dottrina perché l'annullabilità deve essere espressamente prevista dalla legge.

Taluno ha sostenuto che il contratto sarebbe nullo, e che si tratterebbe di nullità relativa, che potrebbe essere fatta valere solo dal committente (Rubino).

È forse preferibile la teoria secondo cui il contratto sia valido, ma - trattandosi di un inadempimento contrattuale - il committente può chiedere all'appaltatore la risoluzione del contratto ex articolo 1453 e il risarcimento dei danni.

L'autorizzazione può essere data sia in forma scritta che orale, con manifestazione espressa o tacita, preventivamente o successivamente alla stipulazione del contratto di appalto e anche sotto forma di ratifica successiva per un subappalto stipulato senza autorizzazione. E' escluso, però, che valga come autorizzazione tacita il fatto che l'appaltante abbia chiesto l'autorizzazione senza ottenere alcuna risposta dal committente.

Disciplina

Il subappalto può anche essere parziale e riguardare solo una parte dell'opera.

L'estinzione del contratto di appalto (ad esempio per impossibilità sopravvenuta oppure per recesso del committente) determina l'estinzione del subappalto. Se la causa di estinzione è determinata dalla colpa dell'appaltatore allora costui risponde del danno verso il subappaltatore.

La responsabilità per vizi e difformità è a carico dell'appaltatore, né il committente può agire contro il subappaltatore.

Qualora il subappaltatore provochi dei danni al committente, questi saranno risarciti dal subappaltante-appaltatore, anche se quest'ultimo non abbia colpa alcuna nell'aver scelto l'impresa subappaltatrice. L'appaltatore che ha pagato il danno commesso dal subappaltatore può poi agire in regresso nei confronti del subappaltatore (art. 1670).

La verifica e l'accettazione dovranno essere compiuti sia dal committente che del subappaltante - appaltatore; ovviamente l'appaltatore effettuerà la verifica nei confronti del subappaltatore e il committente le effettuerà nei confronti dell'appaltatore.

La responsabilità per i danni nei confronti dei terzi è a carico del subappaltatore, restando a carico del subappaltante solo qualora costui si sia riservato un intenso potere di direzione dei lavori, tale da non lasciare autonomia al subappaltatore.

segue: rapporti diretti tra committente e subappaltatore

La differenza tra il subappalto e la cessione del contratto di appalto (articolo 1406) sta nel fatto che in quest'ultimo il cessionario subentra nei rapporti attivi e passivi, e tra cedente e ceduto si instaura un rapporto diretto; al contrario, nel subappalto non sorgono rapporti diretti tra il committente e il subappaltatore.

Tuttavia la dottrina ha individuato alcune ipotesi - peraltro assai controverse - in cui potrebbe instaurarsi un rapporto diretto tra committente e subappaltatore.

a) In primo luogo si discute se possa applicarsi l'articolo 1676, in base al quale gli ausiliari dell'appaltatore hanno azione diretta contro il committente per l'adempimento di quanto è loro dovuto. Il problema è se il subappaltatore possa considerarsi "ausiliario" dell'appaltatore, e parte della dottrina ha sostenuto la tesi positiva interpretando estensivamente il termine in questione. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti, però, accolgono la tesi negativa sul presupposto che l'articolo 1676 si applicherebbe solo a coloro che sono dipendenti dell'appaltatore, mentre il subappaltatore agisce in regime di autonomia.

b) Una dottrina minoritaria (Baccigalupi) ha sostenuto che il committente avrebbe azione diretta per l'adempimento contro il subappaltatore; la tesi poggia sul presupposto che l'articolo 1595 previsto in tema di locazione sarebbe una norma generale, applicabile a tutti i casi di sub- contratto. Tale teoria, però non è accolta né dalla dottrina prevalente né dalla giurisprudenza.

Il subappaltatore, però, qualora ne sussistano i presupposti può agire nei confronti del committente in via surrogatoria (articolo 2900).

Casistica (paragrafo a cura della redazione)

In caso di recesso dal contratto di appalto da parte del committente è dovuto all’appaltatore l’indennizzo (Cassazione civile, sentenza 13 ottobre 2014, n. 21595).

È ammissibili il ricorso alla tutela cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per il pregiudizio patrimoniale del committente (Tribunale di Siracusa, ordinanza 28 ottobre 2014).

Deve essere esclusa la nullità del contratto di appalto in caso di eventuale esecuzione della prestazione dell’appaltatore effettuata in maniera non conforme alle norme imperative in considerazione del fatto che la prestazione concerne la fase esecutiva del contratto, qualificandosi come regola di comportamento, e non quella genetica del rapporto, dalla quale è possibile trarre una regola di validità (Cassazione civile, sentenza 24 novembre 2015, n. 23914).

L’appaltatore ha diritto ad un indennizzo pari alla differenza di prezzo pattuito e le spese necessarie per eseguire i lavori in caso di recesso anticipato da parte del committente (Cassazione civile, ordinanza n. 9132/2012).

Il committente può eseguire il controllo dell'attività dell'appaltatore nel corso della sua esecuzione per verificare se questa procede “secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte» (Tribunale di Catania, sentenza 6 giugno 2022, n. 2556).

In tema di appalto privato, le modificazioni che sconvolgano il piano originario dei lavori, da individuare secondo i criteri dell'entità materiale e tecnica delle opere di modifica o della relativa consistenza economica, volute dal committente, ma accettate infine dall'appaltatore, determinano una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere, dando luogo non allo ius variandi di cui al primo comma dell'art. 1661 c.c, ma a richieste di modifiche o anche a lavori extracontrattuali cui l'appaltatore, quindi, può sottrarsi (Cassazione civile, sentenza 20 giugno 2012, n. 10201).

Nel caso in cui abbia eseguito un’opera secondo progetto senza però avere avvertito il committente di vizi progettuali, l’appaltatore risponde di tali vizi e non può invocare il concorso di colpa del progettista (Cassazione civile, ordinanza 24 ottobre 2022, n. 31273).

La risoluzione del contratto di appalto non pregiudica la garanzia per vizi e difformità dell’opera ai sensi dell’art. 1667 c.c., in ogni caso operante per le opere commissionate ed eseguite sino alla data dell’avvenuta risoluzione (Tribunale di Latina, sentenza 27 febbraio 2023, n. 464).

È annullabile il contratto di appalto in presenza di un comportamento doloso da parte dell’appaltatore, che consista nell’aver indotto in inganno – con la presentazione di un materiale non corrispondente a quello poi utilizzato per l’esecuzione dell’opera, perciò attinente ad una qualità essenziale (riguardante la colorazione da ottenere per la pavimentazione così come realmente concordata) del prodotto della stessa – il committente, il quale, ove la sua volontà non fosse stata carpita con tale raggiro, non avrebbe concluso il contratto (Tribunale di Milano, sentenza 10 novembre 2021, n. 9127).

L’art. 1668 cod. civ., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., attribuisce al committente, oltre all’azione per l’eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risarcimento dei danni derivanti dalle difformità o dai vizi nel caso di colpa dell’appaltatore; sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per i vizi o difformità destinate ad integrare il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 c.c. si applicano anche all’azione risarcitoria, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l’esigenza della tutela del committente a conseguire un’opera immune da difformità e vizi con l’interesse dell’appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell’esecuzione della prestazione (Cassazione civile, sentenza 6 settembre 2017, n. 20839).


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