Responsabilità civile

Mediazione (contratto)

AltalexPedia, voce agg. al 19/08/2016

Mediatore è "colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza" (art. 1754 cod. civ.)


Mediazione (contratto)

di Paolo Franceschetti

Nozione

La tesi contrattuale

La tesi

I problemi

La tesi del rapporto contrattuale di fatto

La nozione di affare

Disciplina

La legge n. 39/1989

L'intervento del mediatore

L'imparzialità

I vincoli di dipendenza o collaborazione

Il compenso

Ipotesi particolari

Segue: il contratto preliminare

L'obbligo di informazione

Pluralità di mediatori

Obblighi del mediatore professionale

Rappresentanza del mediatore

Il contraente non nominato

Una fattispecie particolare di mediazione: il prossenetico matrimoniale (le agenzie matrimoniali)

Nozione

Il codice non da una definizione della mediazione, ma del mediatore: E' mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (art. 1754). Coloro che concludono l'affare si chiamano intermediati.

Il legislatore non ha voluto prendere posizione su quello che è il problema centrale della mediazione, e cioè la sua natura giuridica; il problema principale dell'istituto, infatti, è quello di stabilire se il rapporto di mediazione sia un contratto oppure un mero atto giuridico.

Per capire meglio il problema è utile specificare che il rapporto di mediazione può nascere in due modi diversi:

a) A può chiedere al mediatore M di cercare qualcuno con cui concludere un certo tipo di affare; è il caso di chi si presenta ad un agenzia immobiliare affinché gli cerchi un acquirente per il suo appartamento;

b) M può prendere l'iniziativa di mettere in contatto due parti, A e B, senza che nessuno delle due glielo abbia chiesto espressamente.

Elementi essenziali del rapporto di mediazione sono (Cass. 24118/2013):

  • l’onerosità;
  • la subordinazione della provvigione alla conclusione dell’affare;
  • la libertà per il mediatore di attivarsi o meno;
  • l’autonomia e l’indipendenza del mediatore;
  • lo svolgimento dell’attività mirante a mettere in contatto le parti.

La tesi contrattuale

La tesi

Secondo una prima tesi - cui ha aderito per lungo tempo la giurisprudenza - la mediazione sarebbe un contratto tipico; ciò è reso evidente in primo luogo dalla collocazione dell'istituto nel titolo dedicato ai singoli contratti. Inoltre solo dando all'accordo la veste giuridica di un contratto è possibile che per il mediatore nasca il diritto al compenso (in quanto l'entità di esso deve essere determinata dalle parti pattiziamente) ed è possibile ammettere la protestatio contra factum.

Il rapporto di mediazione, quindi, sorge sempre dall'incontro delle volontà del mediatore con quella degli intermediati, così come avviene per qualsiasi altro contratto. Tuttavia si rileva una differenza rispetto al normale procedimento di formazione del contratto previsto dagli articoli 1321 e ss., in quanto l'accordo può nascere anche a seguito della mancata protestatio delle parti intermediate (come nel caso b).

Taluno ha replicato sostenendo che la mediazione non sarebbe un vero contratto, ma rientrerebbe nei cosiddetti rapporti contrattuali di fatto. Infatti in qualche caso la mediazione può nascere senza che sia intervenuto alcun accordo, e anzi, addirittura quando le parti hanno escluso esplicitamente il riconoscimento dell'attività del mediatore. A tale tesi si è risposto che l’attività del mediatore deve essere considerata come una proposta di contratto e la conclusione dell'affare implica necessariamente l'accettazione del contratto (o meglio, della proposta) di mediazione.

Un'altra obbiezione mossa alla teoria contrattualistica è che non si riesce a spiegare perché, a seguito dell'accordo, in capo al mediatore non sorge l'obbligo di svolgere l'attività di mediazione, né gli intermediati abbiano un vero e proprio obbligo di concludere l'affare.

A tale obbiezione si è replicato che la mediazione deve configurarsi come contratto unilateralmente vincolante; infatti l'unica parte obbligata è l'incaricante, in quanto il mediatore non ha alcun obbligo di svolgere la sua attività; qualora costui metta in relazione le parti, e qualora si concluda l'affare, l'altra parte ha l'obbligo di corrispondere la provvigione,

I problemi

Qualora si accolga la tesi contrattuale occorre poi risolvere alcuni problemi ulteriori: a) è discusso se si tratti di una contratto a due parti oppure di un contratto plurilaterale; per la prima tesi le parti del contratto sono il mediatore da un lato e dall'altro le due parti che concludono l'affare, venendosi a costituire in tal modo un'unica parte complessa;

b) ulteriore problema è se si tratti di un contratto a prestazioni corrispettive oppure unilaterale. Il contratto di mediazione è configurato da taluno come contratto unilaterale, con obbligazioni a carico della sola parte che ha chiesto di promuovere l'incarico; (l'obbligazione di costui consiste nel pagamento delle spese sostenute dal mediatore (anche se il contratto tra le parti non si conclude; art. 1756), e nel pagamento della provvigione qualora l'affare si concluda. Secondo altri si tratterebbe di un contratto a prestazioni corrispettive, in quanto il diritto alla provvigione sorge solo se il mediatore si è attivato per la conclusione dell'affare (cioè se l'intermediato ha ricevuto una controprestazione);

c) Infine occorre stabilire quale sia il momento in cui l'accordo è perfezionato: secondo un orientamento sarebbe il momento in cui il mediatore entra in contatto con la prima delle parti; secondo altri la mediazione si conclude quando il mediatore è entrato in contatto con tutte le parti dell'affare.

La tesi del rapporto contrattuale di fatto

Il torto della dottrina contrattualistica, si è detto, "sta nel non valutare adeguatamente la portata dell'ammissione che essa è costretta a fare. Perché, una volta riconosciuto che il rapporto di mediazione tipico può costituirsi anche mancando una volontà privata diretta a quel fine bisogna altresì ammettere che quella volontà, quando sussiste, è inutile e che pertanto neppure allora la fattispecie costitutiva della mediazione ha natura contrattuale” (Sacco).

La mediazione da questo punto di vista, viene considerata come un atto giuridico in senso stretto; tale istituto rientrerebbe nella categoria dei rapporti contrattuali di fatto, cioè di quegli atti o fatti ritenuti dall'ordinamento idonei a produrre obbligazioni ai sensi dell'art. 1173 (Sacco). La fattispecie non nasce a seguito di un accordo delle parti, ma in seguito ad una mera attività materiale (mettere in relazione i soggetti). Quanto agli effetti giuridici di questa attività, essi non sono voluti dalle parti, ma discendono dalla legge e si producono anche quando le parti fossero contrarie alla nascita della mediazione e vi si opponessero; in altre parole il mediatore ha diritto al compenso anche se le parti hanno esplicitamente detto che non hanno intenzione di concludere un contratto di mediazione.

La tesi del rapporto contrattuale di fatto, prima costantemente negata dalla giurisprudenza, è stata accolta dalla Cassazione (11384/1991).

La nozione di affare

Il mediatore mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare. La nozione di affare è più ampia di quella di "contratto"; di conseguenza oggetto dell'attività del mediatore può essere qualunque tipo di affare. Secondo alcuni autori l'affare deve comunque essere di natura patrimoniale. D'altro canto si deve considerare che la misura della provvigione è commisurata all'entità economica dell'affare, e quindi la mediazione per affari non patrimoniali deve escludersi se non altro perché non è possibile quantificare il compenso.

Tale opinione non è accolta da tutti, in quanto si fa notare che la nozione di affare è talmente generica che non si potrebbe escludere che l'affare concluso possa avere una valenza solo morale.

Si ritiene che il diritto alla provvigione da parte del mediatore non sussista quando l'affare concluso dalle parti sia diverso da quello per il quale queste sono state messe in contatto. Qualche autore ha ulteriormente precisato che la differenza deve però essere sostanziale e non meramente formale, dovendosi comparare l'interesse che le parti si proponevano di realizzare. Ad esempio se a da incarico a M di cercare qualcuno che gli venda una villa al mare, la mediazione è ugualmente conclusa anche se il contratto stipulato tra A e B è una permuta e non una compravendita.

Disciplina

La legge n. 39/1989

La legge n. 39 del 1989, innovando la materia, ha provveduto a disciplinare l’attività del mediatore professionale, prevedendo che chi intendeva svolgere, anche occasionalmente, l'attività di mediazione, deve iscriversi in apposito albo istituito presso ogni camera di commercio. La mancata iscrizione comportava che non si aveva diritto alla provvigione, e inoltre si doveva restituire quella eventualmente percepita.

Il D.lgs. n. 59/2010 ha lasciato immutata la disciplina previgente ma ha abolito il ruolo dei mediatori, che oggi sono soggetti unicamente a dichiarazione di inizio attività presso la Camera di Commercio che verifica il possesso dei requisiti.

L'intervento del mediatore

Perché sorga la mediazione è necessario che il mediatore abbia messo le parti in relazione tra di loro.

L'intervento del mediatore può anche concretizzarsi nel segnalare ad un soggetto il nome dell'altro contraente; oppure nella semplice indicazione di elementi utili per una presa di contatto. L'importante, però, è che l'intervento del mediatore sia stata condicio sine qua non della conclusione dell'affare (cioè, come dicono altri, che sussista il nesso di causalità tra l'affare concluso e intervento del mediatore).

Ovviamente non è escluso che l'attività del mediatore non si limiti solo a mettere le parti in contatto, ma che si concreti in un'opera di persuasione per indurre le stesse a concluderlo.

L'imparzialità

Si discute se il mediatore debba essere imparziale.

Parte della dottrina sostiene la tesi negativa; tutt'al più – da questo punto di vista - il mediatore avrebbe l'obbligo di informare le parti di tutte le circostanze che possono determinare la loro scelta nel concludere l'affare, ma non di più. Del resto nel codice non c'è traccia di un presunto dovere di imparzialità mentre si può notare ulteriormente che l'obbligo di imparzialità viene palesemente meno quando una sola delle parti rifiuti la collaborazione del mediatore (Stolfi). Di più: è stato detto - e non a torto - che il mediatore non è quasi mai imparziale; dal momento che lucra una provvigione, infatti, e che questa provvigione è tanto più alta quanto più alto è il prezzo pagato dalla parte, costui ha un indubbio interesse a far concludere il contratto, e a farlo concludere al prezzo più alto possibile.

Tuttavia molti autori e la giurisprudenza costante danno al quesito una risposta positiva e ritengono che il mediatore debba sempre essere imparziale anche quando l'incarico sia stato conferito da una sola delle parti; anzi, la giurisprudenza si è spinta fino ad affermare che ove l'imparzialità sia assente il contratto di mediazione deve ritenersi addirittura inesistente.

La teoria dell'inesistenza è sembrata a molti un po' eccessiva; senza arrivare a simili drastiche conclusioni qualche autore ha detto invece che l'imparzialità sarebbe un onere del mediatore, qualora voglia riscuotere la provvigione da ambo le parti; infatti se costui ha curato l'interesse di una delle due non potrebbe poi riscuotere la provvigione dall'altra per l'evidente conflitto che si è venuta a creare con questa.

Secondo altri l'imparzialità sarebbe un'obbligazione del mediatore, che va adempiuta nel corso del rapporto; con la conseguenza che la violazione dell'obbligo di imparzialità obbliga il mediatore a risarcire il danno.

Gli autori che accolgono questa teoria concordano sul fatto che l'imparzialità del mediatore è collegata con la caratteristica dell'autonomia, dato che - come espressamente dice il codice - questi non deve essere legato ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza.

Contro questa tesi si è detto che confonde l'autonomia con l'imparzialità, che sono invece requisiti ben diversi (il primo è un requisito negativo esplicitamente richiesto dall'articolo 1754, il secondo positivo), e dei quali la legge richiede solo il primo (Catricalà).

I vincoli di dipendenza o collaborazione

L'articolo 1754 impone che tra il mediatore e le parti non debbano sussistere rapporti di dipendenza o collaborazione.

La dottrina si è interrogata sulla ratio di tale divieto; taluno ha sostenuto che un preesistente rapporto tra le parti riduce l'imparzialità del mediatore, ritenuto, come abbiamo appena visto, un requisito essenziale della mediazione.

Ma la dottrina più recente ha contestato tale tesi e ha sostenuto che l'imparzialità non è elemento essenziale della mediazione; la ratio della norma, invece, risiede nel fatto che non può aversi mediazione se la messa in relazione delle parti avviene in virtù di un preesistente rapporto di collaborazione.

Partendo da questo presupposto si è detto che quando esiste un rapporto di collaborazione occorre distinguere:

a) se l’affare concluso è inerente a quello che è il rapporto di collaborazione tra le parti, allora non sussiste mediazione in senso tecnico;

b) Se invece l’affare concluso esula dal rapporto normale di collaborazione tra le parti la fattispecie rientra nella mediazione. Ad esempio se A, direttore di un supermercato, mette in relazione il proprietario B con un ditta fornitrice, il preesistente rapporto tra A e B impedisce di configurare la mediazione. Ma se A mette in relazione B con qualcuno che gli vende una villa al mare, allora la fattispecie si può configurare come mediazione.

Il compenso

In primo luogo c’è da dire che il diritto al compenso spetta solo al mediatore professionale che ha i requisiti previsti dal D.lgs. n. 59/2010.

Ai sensi dell'art. 1755 "Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l'affare è concluso per effetto del suo intervento". Quindi il mediatore ha diritto al compenso solo se l'affare è concluso, perché in caso contrario si rientrerebbe in un'altra figura contrattuale, come il mandato. L'entità del compenso viene fissata dalle parti o, in difetto, dalle camere di commercio, avuto riguardo agli usi locali.

Il diritto sorge anche quando l’attività del mediatore è consistita nel reperire le informazioni e nell’indicare il contraente; non occorre cioè la presenza del mediatore in tutte le fasi della trattativa (Cass. 25799/2014).

E' discusso se l'obbligo di pagare la provvigione possa essere posta a carico di una sola parte; parte della dottrina e della giurisprudenza lo negano, sostenendo che in tal caso verrebbe meno l'imparzialità del mediatore e quindi la stessa esistenza della mediazione (qualcuno in tal caso parla di "procacciamento di affari", altri sostengono che avremmo la cosiddetta "mediazione unilaterale", o "mediazione atipica"). Altri invece lo ammettono, perché le norme sul compenso e le spese sono sicuramente derogabili dalle parti; ovviamente, però, è necessario che il fatto di ricevere la provvigione da una sola parte non faccia nascere nel mediatore un rapporto di collaborazione o dipendenza, nel qual caso la fattispecie dovrebbe essere riqualificata in altro modo.

Non è chiaro su chi debba gravare l'obbligo di pagare la provvigione nel caso in cui si sia avuta la sostituzione di una delle parti intermediate. Ad esempio, il dubbio sussiste qualora uno dei contraenti abbia successivamente stipulato con un terzo una cessione del contratto, oppure nel caso in cui si sia stipulato un contratto per persona da nominare; per queste prime due ipotesi la soluzione sembra relativamente facile (nel primo caso la provvigione verrà pagata dal contraente intermediato, a nulla rilevando la successiva cessione; nel caso del contratto per persona da nominare sarà dovuta dal contraente nominato). Più controverso è il caso in cui si sia concluso un contratto di compravendita di un terreno e il confinante abbia esercitato il suo diritto di prelazione; taluni ritengono che la provvigione debba essere pagata dal riscattante, che è colui che effettivamente si giova dell'affare, mentre una tesi prevalentemente giurisprudenziale ritiene che sia dovuta dal contraente che ha subito il riscatto, essendo costui il soggetto intermediato.

La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità (articolo 1755 comma 2).

"Salvo patti o usi contrari, il mediatore ha diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite anche se l'affare non è stato concluso".

Ipotesi particolari

Il codice ha poi provveduto a risolvere alcune particolari ipotesi che potrebbero dar adito a qualche dubbio; quando l'affare consiste in un contratto condizionato sospensivamente, il compenso è dovuto solo dal giorno dell'avverarsi della condizione (art. 1757, comma 1); al contrario, quando trattasi di condizione risolutiva il compenso è dovuto dal momento della conclusione del contratto, e non viene meno anche nel caso in cui la condizione si avveri.

La provvigione è anche dovuta nel caso in cui il contratto concluso sia annullabile o rescindibile, a meno che il mediatore non conoscesse il vizio (articolo 1757 comma 3). La stessa regola si applica analogicamente a tutti gli altri casi in cui il contratto si risolve retroattivamente (revoca, mutuo dissenso, risoluzione).

Mentre è pacifico che il diritto al compenso non nasce se il contratto concluso è nullo, discusse sono le ipotesi in cui le parti concludano una compravendita con patto di riscatto o un contratto simulato.

Se il negozio è sottoposto a termine iniziale il diritto al compenso nasce al momento in cui il contratto è concluso e non al momento della scadenza del termine. Le parti infatti hanno la certezza di conseguire l'affetto voluto e quindi l'affare può considerarsi concluso.

Segue: il contratto preliminare

Una fattispecie che frequentemente si è presentata all'attenzione della giurisprudenza è quella del contratto preliminare.

Qualcuno ha sostenuto che in questa ipotesi il mediatore ha diritto al compenso solo qualora le parti abbiano la facoltà di ottenere il provvedimento di cui all'articolo 2932.

Secondo un'altra opinione, invece, il contratto preliminare crea comunque l'obbligo di stipulare il definitivo (e tale obbligo è giuridicamente vincolante), e quindi il diritto alla provvigione sorge sempre, indipendentemente dalla possibilità di poter ricorrere all'esecuzione in forma specifica. La Cassazione ha infatti ritenuto che il mediatore abbia diritto al compenso anche nel caso di preliminare di mutuo (che, com'è noto, è insuscettibile di esecuzione forzata ex articolo 2932).

Le due precedenti opinioni sono state contestate da una parte della dottrina, secondo cui il mediatore non avrebbe diritto alla provvigione fino alla conclusione del definitivo. L'interesse che le parti vogliono realizzare, infatti, è quello di concludere il definitivo, e non può certo prevedersi con certezza che il definitivo venga concluso, Inoltre con il preliminare le parti acquisiscono solo un diritto di credito (anche se tutelato in modo molto intenso dalla legge) alla conclusione del definitivo e quindi giuridicamente ancora non può parlarsi di "conclusione dell'affare".

L'obbligo di informazione

L'art. 1759 pone a carico del mediatore un obbligo di informazione (che si discute se sia contrattuale o extracontrattuale, tesi, quest'ultima, che è quella accolta dalla giurisprudenza): "Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare che possono influire sulla conclusione di esso". Ad esempio l'obbligo di informazione sussiste quando il mediatore è a conoscenza della scarsa solvibilità di una parte; e per la violazione di tale obbligo è anche prevista una sanzione specifica dall'articolo 1764.

La giurisprudenza ha poi sostenuto - ma la tesi non ha incontrato il favore della dottrina - che a carico del mediatore sussisterebbe una responsabilità per l'accertamento dell'identità e della capacità delle parti. In realtà sembra corretta la tesi della dottrina prevalente (Mirabelli, Catricalà), secondo cui nessun obbligo di indagare incombe sul mediatore, sussistendo solo un obbligo di informare la parte delle circostanze di cui sia effettivamente a conoscenza.

Il comma successivo stabilisce che "Il mediatore risponde dell'autenticità delle sottoscrizioni delle scritture e dell'autenticità della girata dei titoli trasmessi per suo tramite". La norma non attribuisce al mediatore una funzione di certificazione ma si limita a creare una responsabilità a suo carico; in altre parole il mediatore ha l'obbligo di accertarsi dell'autenticità degli atti solo qualora vengano trasmessi (ad es. via fax o via posta) per suo tramite. Secondo alcuni trattasi di responsabilità contrattuale (che quindi richiederebbe la colpa), mentre secondo altri sarebbe un obbligo di garanzia (che sussiste indipendentemente dalla colpa).

Pluralità di mediatori

Art. 1758: "Se l'affare è concluso per l'intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione". Il diritto alla ripartizione sussiste anche quando più mediatori hanno agito in tempi successivi e in modo autonomo l'uno dall'altro. Quanto alla quota si ritiene che debba essere proporzionata all'entità dell'effettiva partecipazione.

Si distingue l'ipotesi della pluralità di mediatori dall'ipotesi del submediatore, del coadiutore del mediatore, e del mediatore indiretto, i quali, secondo la giurisprudenza, non avrebbero diritto al compenso perché il rapporto intercorre tra loro e il mediatore e non rispetto alle parti dell'affare.

Il submediatore sarebbe colui che ha assunto l'incarico, nei confronti del mediatore, di mettere in relazione le parti per la conclusione dell'affare. Il coadiutore invece è colui che aiuta il mediatore nella sua attività (ad esempio segnalando la possibilità di concludere l'affare al mediatore).

Il mediatore indiretto è colui che segnala l'esistenza dell'affare al mediatore. in questi casi la giurisprudenza ha stabilito che il diritto al compenso non sussiste, in quanto il rapporto intercorre esclusivamente tra costoro e il mediatore.

Obblighi del mediatore professionale

L'art. 1760 pone obblighi specifici a carico dei mediatori professionali in affari su merci o titoli; tali obblighi, se non adempiuti, danno luogo alle sanzioni di cui all'art. 1764. Alle stesse sanzioni dell'articolo 1764 è sottoposto il mediatore che presta la sua attività nell'interesse di persona notoriamente insolvente o della quale conosce lo stato di incapacità (articolo 1764 comma 3).

Rappresentanza del mediatore

"Il mediatore può essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento". La dottrina si è domandata se il mediatore possa rappresentare una delle parti nella conclusione del contratto; si propende in genere per una risposta positiva, ma si è precisato che, sussistendo il dovere di imparzialità da parte del mediatore, è necessario che il contenuto del contratto sia predeterminato in modo tale da non scatenare un conflitto di interessi con la controparte.

Il mediatore - stabilisce l'articolo 1763 - può prestare fideiussione per una delle parti.

Il contraente non nominato

Ai sensi dell'articolo 1762 comma 1 se il mediatore non manifesta all'altra il nome di una delle parti risponde dell'esecuzione del contratto e quando lo ha eseguito subentra nei diritti nei confronti del contraente non nominato.

E' discusso se tale figura si inquadri in quella del contratto per persona da nominare o - come sostengono altri - se sia da considerare una forma di garanzia peculiare. Conseguenza pratica delle due tesi è che se si accoglie la prima delle due il mediatore acquista la qualità di parte, con tutti i diritti (come quello di citare in giudizio l'altro contraente onde ottenere l'adempimento) e gli obblighi relativi. Se si accoglie la seconda tesi ne consegue che il mediatore non acquista la qualità di parte del contratto e non perde il diritto alla provvigione; con l'ulteriore conseguenza che il mediatore deve eseguire la prestazione che spettava al contraente non nominato, ma non può agire per l'adempimento nei confronti dell'altra parte.

Il secondo comma dell'articolo 1762 dice che se dopo la conclusione del contratto il contraente non nominato si manifesta all'altra parte o è nominato dal mediatore, ciascuno dei contraenti può agire direttamente contro l'altro, ferma restando la responsabilità del mediatore. La ragione per cui il mediatore, anche dopo la rivelazione del nome del contraente, continua a rispondere dell'esecuzione del contratto sta nel fatto che il contraente che ha trattato col mediatore non ha avuto la possibilità di giudicare in anticipo se la controparte fosse meritevole di fiducia o meno; la responsabilità del mediatore si pone quindi come una garanzia che può indurre la parte a concludere più facilmente il contratto.

Una fattispecie particolare di mediazione: il prossenetico matrimoniale (le agenzie matrimoniali)

Qualche problema particolare è sorto in relazione alle agenzie matrimoniali (le quali concludono il cosiddetto contratto di prossenetico matrimoniale, cioè un contratto con cui l'agenzia si impegna a mettere in contatto il cliente con altre persone, nella speranza che costui possa contrarre matrimonio). Tale fattispecie ha dato adito a forti dubbi di legittimità, e dottrina e giurisprudenza si interrogano tuttora sulla validità dei contratti stipulati da queste agenzie; non si è ancora giunti, però, a risultati appaganti, perché in questa materia ciò che conta non è tanto l'argomentare giuridico (che spesso sfiora il ridicolo), quanto i principi morali e le convinzioni personali del singolo individuo.

Secondo una prima opinione tale contratto sarebbe invalido, perché la mediazione può avere ad oggetto solo affari di natura patrimoniale. In contrario si è detto che tale argomento può portare a concludere che il prossenetico matrimoniale non sia da includere nella mediazione tipica, ma ciò non esclude che possa considerarsi un contratto atipico, la cui liceità va dunque valuta sulla base dell'articolo 1322 (cioè in relazione alla meritevolezza di interessi). Il problema, allora, non è se si tratti di mediazione tipica, ma se il contratto sia meritevole di tutela secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico.

Secondo un'altra tesi il contratto sarebbe valido solo se il compenso sia pattuito non in relazione alla effettiva conclusione del matrimonio, ma in relazione al solo fatto che le persone si siano conosciute (cioè indipendentemente dal fatto che i loro incontri siano sfociati in un matrimonio).

Secondo Gazzoni non pare "consono ai boni mores" lucrare con riferimento alla stipula non già di un contratto, ma di un accordo a carattere non patrimoniale come il matrimonio. Di conseguenza dovrebbe ammettersi "la liceità della mediazione volta a facilitare il raggiungimento di un accordo in ordine agli aspetti patrimoniali, purché il compenso non sia collegato alla celebrazione del matrimonio". La tesi - che è poi quella prevalente - ci sembra a dir poco bizzarra. Se fosse vero che non è lecita l'attività di colui che prende soldi per un affare a carattere non patrimoniale, deve poi coerentemente ammettersi che non è lecita l'attività del ginecologo (il quale viene pagato per far nascere un figlio, evento che non ha alcunché di carattere patrimoniale), né l'attività dello psicologo (che essendo finalizzata al benessere mentale non è certo valutabile economicamente); e magari dovrebbe poi sostenersi che l'attività del ginecologo è lecita solo se il suo compenso è commisurato all'aiuto economico che il figlio presumibilmente apporterà alla famiglia.

Inoltre è stato detto (Vinciotti) che la tesi di Gazzoni urta contro il principio di uguaglianza, perché se per stabilire il compenso ci si dovesse riferire ai soli accordi patrimoniali, colui che fa sposare un miliardario riceverebbe un compenso elevatissimo, mentre per il matrimonio di un nullatenente non sarebbe legittimato a ricevere alcunché. Infine, dal punto di vista strettamente tecnico si è detto che è impossibile configurare la mediazione con riferimento ai soli accordi patrimoniali, per "l'evidente ragione che il terzo, in questo caso, non mette in relazione i soggetti interessati, che sono, invece, già in contratto tra di loro" (Catricalà).

La verità è che in questa materia non si usano argomentazioni giuridiche ma preconcetti individuali. A noi sembra invece corretta la tesi della validità del prossenetico, perché il prosseneta non prende la provvigione in quanto ha fatto sposare due persone, ma perché ha svolto un attività che richiede dei costi (catalogare le persone che si rivolgono all'agenzia, pagare i locali in cui svolgere l'attività, fare pubblicità alla sua attività, in qualche caso offrire consulenze ce). E' vero che il risultato finale della sua opera non è patrimoniale, ma ciò è quanto accade in una miriade di altre attività, le quali non sono remunerate per il risultato finale ottenuto, ma per tutta l'organizzazione che occorre per realizzare quel risultato (oltre agli esempi già fatti si pensi ai centri sportivi, ai medici, agli avvocati penalisti, ecc.)

Ci sembra di concordare con quanto scrive Carresi: appellarsi alla morale non è sufficiente per escludere la validità del prossenetico, in quanto "la morale alla quale si fa riferimento, non è già quella morale sublime cui si appellano i negatori del prossenetico, ma la morale comune, quale viene sentita e soprattutto praticata dalla generalità dei consociati: ora, alla stregua di quella moralità media - si osserva - l'intromissione matrimoniale lungi dal destare un senso di scandalo, appare talora addirittura come una necessità..." specie per quelle persone che per ragioni di lavoro, studio o altro non hanno tempo o modo di incontrare altre persone con cui intrattenere rapporti sociali.

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