Penale

Concorso apparente di norme

AltalexPedia, voce agg. al 11/05/2017

Il concorso di norme si ha quando ad uno stesso fatto si applicano due norme diverse (o anche più). In tal caso, non essendo pensabile che il soggetto possa essere punito due volte per uno stesso fatto, occorre scegliere quale norma applicare.


Concorso apparente di norme

di Paolo Franceschetti

Concorso di norme e concorso di reati

Differenze tra concorso apparente di norme e concorso effettivo (o concorso di reati)

Collocazione sistematica

Il problema del concorso apparente di norme e del concorso effettivo (o concorso di reati). Necessità di una trattazione unitaria

Ragioni della complessità del problema

Il concorso di norme

Criteri di risoluzione del conflitto tra norme. Il principio di specialità

Il principio di specialità

Norma speciale e norma generale

Significato dell’espressione “stessa materia”

Identità del bene protetto

Fatto astrattamente considerato

Stesso fatto concreto

Il principio di specialità e gli altri principi

Il problema

Il principio di sussidiarietà o di consunzione

Il principio di assorbimento

La teoria del ne bis in idem sostanziale (Mantovani, Pagliaro)

Casistica

Concorso di norme e concorso di reati

Differenze tra concorso apparente di norme e concorso effettivo (o concorso di reati)

Il concorso di norme si ha quando ad uno stesso fatto si applicano due norme diverse (o anche più). In tal caso, non essendo pensabile che il soggetto possa essere punito due volte per uno stesso fatto, occorre scegliere quale norma applicare.

Il concorso di reati ricorre invece quando il soggetto commette più reati, perché in effetti ha posto in essere più fatti diversi.

Collocazione sistematica

Il concorso di norme è trattato da alcuni autori in una parte nettamente separata dal concorso di reati; il che può apparire logico ed ha una giustificazione sul piano teorico, in quanto il problema del concorso di norme è un problema astratto, che investe il principio di legalità, e in quella sede lo colloca il legislatore.

Il problema del concorso di reati invece è un problema pratico, inerente alla fattispecie di reato, nel senso che si tratta di analizzare la condotta e l’evento per vedere se il fatto sia uno o se siano più; per questo molti autori lo collocano nell’ambito delle forme di manifestazione del reato.

Il problema del concorso apparente di norme e del concorso effettivo (o concorso di reati). Necessità di una trattazione unitaria

Tuttavia dal punto di vista applicativo il problema del concorso di reati si confonde con quello del concorso di norme; il punto è, infatti, che quando un soggetto commette un’azione spesso è difficile capire se ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di concorso di norme o di reati.

Si tengano presenti i seguenti esempi (che verranno ripresi più volte nei prossimi paragrafi):

A) Tizio violenta la figlia di dieci anni; si tratta di un reato di violenza carnale (aggravato dal fatto che il reato è in danno di un congiunto) oppure abbiamo un concorso di reati (incesto, violenza carnale)?

B) Tizio, millantando credito, truffa Caio. Millantato credito, truffa, o concorso di entrambi i reati?

C) Tizio evade dal carcere con indosso la tuta fornitagli dell’amministrazione; risponderà di furto ed evasione, o solo di evasione?

L’ipotesi A può essere considerata:

1) un caso di concorso di norme (due o più norme regolano la stessa materia, intendendo per materia il fatto concreto)

2) un caso di concorso formale (Tizio ha infatti, con una sola azione, violato più norme).

L’ipotesi B, analogamente può essere considerata un caso di concorso apparente, in cui si dovrà applicare una sola norma, oppure un caso di concorso formale di reati. E analoghe considerazioni potrebbero valere per la tesi C.

Possono a questo punto farsi alcune considerazioni:

In primo luogo il problema del concorso di norme trova la sua collocazione più opportuna, ai fini didattici, affiancato al problema del concorso di reati. Anche il nome indica l’affinità tra i due istituti; si parla di concorso apparente di norme, infatti, perché all’apparenza sembrano potersi applicare due norme diverse, ma in realtà se ne deve applicare una sola. Se, al contrario, il concorso di norme fosse non apparente, ma reale, allora avremmo un concorso di reati. L’istituto del concorso di norme è quindi intimamente connesso con quello del concorso di reati, nel senso che l’esistenza del primo fenomeno esclude quella del secondo.

In altre parole se non esistesse la norma sul concorso di norme in ogni ipotesi in cui vengano violate più disposizioni di legge si applicherebbe la regola del concorso di reati, e precisamente quella del concorso formale.

Ad esempio: Tizio spara a Caio e lo ferisce, e dopo qualche giorno quest’ultimo muore. Se non esistesse l’articolo 15 c.p. e la regola del concorso di norme, Tizio dovrebbe rispondere di lesioni e omicidio. Al contrario, l’articolo 15 è una norma che fa da argine al potere punitivo del giudice, consentendo di mitigare le conseguenze gravi cui si arriverebbe applicando sempre, e in ogni caso, la regola del concorso di reati.

Non a caso uno dei più autorevoli studiosi del concorso di norme e di reati (Mantovani) tratta unitariamente i due argomenti nell’ambito delle forme di manifestazione del reato.

Ragioni della complessità del problema

Si capisce, allora, perché il problema del concorso di norme sia così complesso, e sia considerato da molti insolubile, sì che alcuni autori, tra cui Antolisei, lamentano il grado di astrusità e di complicazione che l’istituto ha raggiunto nelle trattazioni dottrinali.

In primo luogo perché il codice non detta dei criteri sicuri ed univoci, che invece sono lasciati all’interprete. Ed è noto che quando la soluzione di un problema è lasciata all’interpretazione della dottrina, la chiarezza e la semplicità segnano il passo e l’istituto si complica a dismisura, spesso facendo perdere di vista le gravissime conseguenze pratiche sottese al dibattito.

In secondo luogo perché il dibattito è incentrato sui temi principali e maggiormente teorici del diritto penale; la teoria del bene giuridico, il disvalore del fatto, l’analogia, il concetto di condotta, di fatto.

In terzo luogo ogni autore usa una terminologia diversa. I termini assorbimento, specialità, consunzione, cioè i principi che dovrebbero risolvere il problema del concorso di norme, sono usati in accezioni diverse da ciascun autore e quindi prima di studiare la questione occorrerebbe mettersi d’accordo sull’uso di essi. Si pensi che, tra le varie teorie (specialità, assorbimento, consunzione), spicca per l’originalità la tesi di Mantovani, anche detta del ne bis in idem; ma per Fiandaca-Musco il principio dell’assorbimento prende il nome di “ne bis in idem sostanziale”.

Infine, il motivo per cui la dottrina spende fiumi di inchiostro su questo istituto ha una ragione pratica, che deve rinvenirsi nelle gravissime conseguenze applicative del problema. Cercare il criterio per applicare la regola del concorso di norme equivale a cercare la regola per escludere il concorso di reati e viceversa; perché tanto più si allarga l’area del concorso di norme, tanto più si restringe quella del concorso di reati.

Per questo motivo, dal punto di vista teorico, le tesi più garantiste cercano di ampliare al massimo l’area del concorso di norme; mentre quelle meno garantiste cercano di ridurla. Partendo da questa osservazione si capisce, allora, perché la dottrina più garantista tenta di allargare la sfera di applicabilità del concorso di norme anche forzando molto il dato normativo, e quindi andando al di là della lettera del codice.

Insomma, se è vero che il concorso di norme è un argomento molto teorico, è altrettanto vero che le sue applicazioni pratiche possono portare a raddoppiare la pena inflitta al reo, che si vedrà ascritto un solo reato qualora il giudice ravvisi il concorso apparente di norme, oppure due reati qualora costui vi ravvisi un concorso effettivo. E il punto è che praticamente in tutti i processi non accade mai che il reo abbia violato una sola norma, ma in genere ci sono sempre uno o più comportamenti e una serie indefinita di reati, tutti astrattamente adattabili alla fattispecie.

Il concorso di norme

Due sono quindi i presupposti perché si abbia conflitto apparente di norme:

  • un fatto costituente reato;
  • l'esistenza di più norme per regolare lo stesso fatto.

Diversa, si badi, è l'ipotesi in cui un soggetto commetta più azioni che ricadono tutte sotto la stessa norma. In questa ipotesi non si ha un concorso apparente di norme, ma un vero e proprio concorso di reati.

Ad es. l'articolo 73 del DPR 309/1990 punisce "chiunque senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende offre o mette in vendita, cede o riceve a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene ... sostanze stupefacenti...". Dunque chi produce e vende droga, ad esempio, non commette un solo reato, ma due reati.

Criteri di risoluzione del conflitto tra norme. Il principio di specialità

Il principio di specialità

Per risolvere il conflitto tra norme il legislatore ha dettato l’articolo 15: Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

Per capire in quali casi ricorra il concorso di norme (e quindi si debba escludere il concorso di reati) è quindi necessario esaminare le due parti essenziali di cui l’articolo 15 si compone e precisare il significato:

  • dell’espressione disposizione di legge speciale, ovverosia norma speciale; occorrerà cioè specificare quando una disposizione è speciale e quando è invece generale:
  • dell’espressione stessa materia; occorrerà cioè spiegare cosa intenda la legge per due norme che regolano la stessa materia.

Norma speciale e norma generale

Il principio di specialità presuppone che tra due norme esista un rapporto da genere a specie e comporta in tal caso la priorità della norma speciale su quella generale.

Per speciale si intende quella norma che contiene tutti gli elementi compresi nella fattispecie generale, più ulteriori elementi specifici; tra le due norme deve esistere un rapporto tale che, se mancasse la norma speciale, la fattispecie sarebbe ricompresa nella norma generale.

Specialità non significa necessariamente che la norma speciale debba avere un trattamento punitivo più gravoso rispetto alla norma generale, potendo anche essere più blando (per esempio il furto d'uso è punito in modo più blando rispetto al furto comune).

Significato dell’espressione “stessa materia”

Dal momento che il principio di specialità si basa, come dice l’articolo in commento, sul presupposto che le norme prese in considerazione regolino la stessa materia, occorre precisare che cosa si intenda con questa espressione.

Sostanzialmente si rinvengono tre tesi diverse.

Identità del bene protetto

Secondo alcuni autori starebbe a significare "identità del bene protetto". Si ricorre quindi alla contestata e incerta teoria del bene giuridico e tale criterio è stato utilizzato anche dalla giurisprudenza. Quando uno stesso fatto lede bene giuridici diversi la fattispecie integra l’ipotesi del concorso di reati, altrimenti ricorre quella del concorso di norme.

Così, nella violenza carnale a danno della figlia minore ricorre il concorso di reati, perché la violenza carnale (articolo 609 bis) è un reato contro la persona e basta, mentre l’incesto (articolo 564) commesso nei confronti di un minorenne è, oltre un reato contro la persona, anche un reato contro la famiglia. Anche nell’esempio B fatto nel paragrafo introduttivo ricorre un concorso di reati e non di norme, perché il bene tutelato dal reato di truffa è diverso rispetto a quello del millantato credito.

Di conseguenza, negli esempi di cui sopra, non ricorre un concorso di norme, ma di reati.

Contro questa tesi si è detto anzitutto che non si vede il motivo per cui una norma non potrebbe essere speciale rispetto ad un’altra anche quando tutela un bene giuridico diverso.

Inoltre porta a conseguenze assurde perché allora si dovrebbe ammettere concorso formale di reati e non concorso di norme tra il reato di violenza privata (delitto contro la libertà morale) e violenza sessuale (delitto contro la persona), oppure tra l’ormai abrogato reato di oltraggio e quello di ingiuria (il primo essendo un reato contro la PA e il secondo contro l’onore).

Fatto astrattamente considerato

Secondo la tesi assolutamente prevalente in dottrina per stessa materia deve intendersi che il fatto astrattamente previsto dalla norma deve essere riconducibile a due diverse fattispecie giuridiche. Si ha riguardo, quindi al fatto astrattamente inteso, così come la norma giuridica lo considera (Antolisei).

Come ha avuto modo di precisare la Cassazione, in una decisione di esemplare chiarezza, ricorre il concorso di norme e non quello di reati quando le due norme che si prendono in considerazione, astrattamente, sono come due cerchi concentrici, di cui uno contiene l’altro, e una “abbia, inoltre, un settore residuo destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità”. In altre parole occorre che la fattispecie astratta prevista dalla norma, abbia tutti gli elementi dell’altra, più qualcun altro idoneo a darle requisiti peculiari.

Stesso fatto concreto

Secondo parte della dottrina invece, il riferimento alla stessa materia significa che il fatto concreto deve essere riconducibile, in tutti i suoi elementi, a due reati diversi, anche se tra le due figure non esiste in astratto nessun rapporto da genere a specie. Si fa riferimento, quindi al fatto concreto.

Ad esempio secondo la tesi del fatto preso in astratto, nel caso B non potrebbe mai sussistere rapporto di specialità tra millantato credito e truffa. Tra le due norme, infatti, non esiste alcun rapporto astratto, nel senso che il fatto contemplato dalle due norme è diverso.

Viceversa, se si guarda al caso concreto, ricorre il concorso di norme e non di reati.

E’ evidente che questa è la tesi più garantista, tra tutte quelle che abbiamo visto. Perché se si prende in considerazione il fatto concreto, ne deriva che in nessuno degli esempi che abbiamo fatto al paragrafo 1 sarà ravvisabile il concorso di reati.

Tuttavia questa tesi non regge per vari motivi:

1) Anzitutto interpretare l’espressione stessa materia come equivalente di stesso fatto è evidentemente un arbitrio dell’interprete, perché se questa fosse stata l’intenzione del legislatore allora il concetto sarebbe stato espresso in modo più chiaro;

2) In secondo luogo questa interpretazione porta, di fatto, ad un’interpretazione abrogante della regola sul concorso formale di reati, perché ogni volta che ad uno stesso fatto siano riconducibili più norme sarà sempre applicabile una sola di esse e il concorso di reati non esisterà mai.

3) In terzo luogo, ad interpretare l’espressione stessa materia come stesso fatto, ne consegue che in alcune ipotesi è impossibile stabilire il rapporto di specialità tra norme; sempre nel caso B, ad esempio, è impossibile stabilire quale delle due norme deve essere considerata speciale rispetto all’altra, trattandosi di norme diversissime, che tutelano beni giuridici diversi. Né sarebbe possibile capire quale delle due norme è più grave, essendo il reato di truffa (nell’ipotesi aggravata) punito con la reclusione da uno a cinque anni e il millantato credito pure.

4) Altra obiezione è che la regola del concorso di reati è un rapporto tra due norme in astratto e non tra norme in concreto; come sostengono Fiandaca-Musco e Mantovani, “a ben vedere il concetto di specialità in concreto si risolve dal punto di vista logico in un non senso; non si comprende, infatti, come mai un rapporto di genere a specie fra due norme possa dipendere dalla specialità di un fatto concreto; come rapporto tipicamente sussistente tra norme astratte, la specialità o esiste o non esiste”;

5) La tesi in parola non si accorda neanche con la nozione di condotta propria della scienza penalistica. Infatti:

a) Se la condotta è ravvisabile nel movimento corporeo, nel fatto in esame sono ravvisabili più condotte (millantare credito e truffare)

b) se la condotta è ravvisabile nel movimento corporeo diretto ad un fine, qui ricorrono due fini;

c) ad analoga considerazione si giunge se si prende in considerazione il concetto di condotta così come lo accoglie Mantovani, secondo cui la condotta è “il comportamento umano che costituisce reato”. In tal caso infatti sono ravvisabili più comportamenti umani che costituiscono reato.

La specialità bilaterale o reciproca. La dottrina più recente (Mantovani) ha individuato anche una specialità bilaterale o reciproca, che si avrebbe quando due norme contengono entrambe elementi specializzanti e elementi comuni.

Per es. in tale rapporto si troverebbero le due norme dell'art. 501, sull'aggiotaggio, e dell'art. 2628 cc., sull'aggiotaggio societario.

Un altro esempio di specialità bilaterale intercorre tra l’articolo 2622 del cc. (divulgazione di notizie sociali riservate) e l’articolo 623 (Rivelazione di segreti scientifici e industriali). La prima norma contiene due elementi specializzanti rispetto alla seconda (la qualità di soggetto attivo e il pericolo che può derivare dal fatto; la seconda solo la particolare natura delle notizie); ne consegue che se ad uno stesso fatto concreto (amministratore che adoperi a profitto proprio notizie riservate, danneggiando la società) possono riportarsi entrambe le norme si applicherà solo l’articolo 2622.

La maggioranza della dottrina esclude però, che in tal caso si possa parlare di specialità, sostenendo che avremmo invece un concorso di reati. Nello stesso senso è la giurisprudenza, che è costante nel negare il concorso apparente.

Il principio di specialità e gli altri principi

Il problema

Il principio di specialità è previsto espressamente dal codice e ricorre, come abbiamo visto, quando due o più norme regolano la stessa materia, nel qual caso si applica la norma speciale.

Talvolta però può accadere che due o più norme regolino la stessa materia e non sia individuabile una norma speciale rispetto all’altra.

Ad esempio se Tizio evade dal carcere con indosso gli abiti forniti dall’istituto penitenziario certo non può dirsi che la norma che punisce il furto degli abiti sia speciale rispetto a quella che punisce l’evasione o viceversa.

Che fare in questo caso? Si applica il concorso di reati o si cerca un’altra strada per ravvisare un concorso di norme?

La dottrina si divide in due orientamenti:

1) Alcuni autori, primo tra tutti Antolisei, sostengono che oltre al principio di specialità non ne possono essere utilizzati degli altri, perché il codice non ne fa cenno. Se è vero che l’articolo 15 dice “salvo che sia altrimenti stabilito” è pur vero che i casi ulteriori di concorso di norme non possono essere desunti dall’interprete. Quindi se una fattispecie non si risolve con il principio del concorso di norme, dovrà essere ricondotta al concorso di reati. Tale teoria è detta teoria monista.

2) Secondo altri autori il problema del concorso di norme non può essere risolto solo tramite il principio di specialità; di conseguenza quando tra le norme in conflitto non esiste un rapporto di genere a specie si può ricorrere ad altri due principi, cioè il principio di assorbimento e quello di sussidiarietà, che sono il frutto di elaborazione dottrinale. Tale tesi trova un (minimo) supporto testuale nell’inciso dell’articolo 15, ove è detto che il principio di specialità si applica “salvo che sia altrimenti stabilito”. E’ evidente allora che gli autori che individuano altri criteri, in realtà, hanno lo scopo di ridurre l’ambito di applicazione del concorso di reati per una maggiore garanzia del reo. Tali teorie sono dette teorie pluralistiche.

E’ necessario quindi vedere quali sono questi ulteriori criteri che servono per risolvere il problema del concorso apparente di norme.

Con la precisazione che la terminologia utilizzata dalla dottrina non è uniforme; ad esempio il principio di consunzione è usato dalla dottrina in almeno tre accezioni diverse; il principio di assorbimento in due accezioni differenti, e questa è una delle principali difficoltà che si incontrano quando si studia questa materia.

Il principio di sussidiarietà o di consunzione

Il principio di sussidiarietà implica che quando vi siano due norme di cui una ha un maggior disvalore giuridico rispetto all’altra, si applica quella che ha il maggior disvalore; cioè tra due norme che tutelano lo stesso bene giuridico si applica quella che prevede l'offesa maggiore.

Anche qui uno stesso fatto è astrattamente sussumibile sotto due norme, solo che una delle due norme include necessariamente, potremmo dire, l'altra di minor valore.

Ad es. il rapporto di sussidiarietà sussiste tra il reato di atti osceni (articolo 527, peraltro oggi parzialmente depenalizzato) e la contravvenzione dell'articolo 726 (atti contrari alla pubblica decenza). Entrambe queste figure infatti proteggono un bene omogeneo, solo che si differenziano per l'intensità dell'aggressione arrecata al bene.

A questo punto il problema è: dove si ricava un principio del genere?

Qui sta il punto di questa teoria: perché tale principio lo si ricaverebbe dal codice per analogia; più precisamente lo si ricava dall’applicazione analogica di quei casi in cui la sussidiarietà sia prevista in modo espresso dalla norma.

Contro questa tesi sono fioccate una serie di critiche, in gran parte condivisibili.

1) In primo luogo introducendo nella comparazione tra due norme un giudizio di valore si viene a creare il pericolo di un’indiscriminata applicazione della sussidiarietà a fattispecie del tutto eterogenee; ad esempio si riesce a trovare un rapporto di valore in tutte le fattispecie che noi abbiamo esemplificato all’inizio, compresa la fattispecie B (truffa e millantato credito) o la C (evasione con gli abiti del carcere);

2) il giudizio di valore è necessariamente incerto, soggetto alle variabili dei luoghi, dei tempi e degli interpreti; in sostanza tale tesi lascia troppo spazio alla discrezionalità del giudice;

3) anche questa teoria – e qui sta il secondo limite di questo principio – abroga di fatto il concorso formale di reati; se Tizio commette dieci reati, quasi sempre se ne potrà individuare uno di maggior valore rispetto agli altri, che escluderà le altre norme;

4) dal momento che nella maggioranza dei casi (o praticamente in tutti) può effettuarsi un giudizio di valore tra reati, resterebbe da spiegare il motivo per cui il legislatore abbia espressamente previsto proprio il principio di specialità (che è applicabile in pochi casi) e trascurando proprio l’ipotesi più frequente.

Il principio di assorbimento

Il principio si assorbimento è inteso in vari sensi a seconda degli autori; noi prenderemo in considerazione questo principio nell’accezione data da Fiandaca-Musco, secondo cui esso porta ad escludere il concorso di reati quando la realizzazione di un reato comporta necessariamente la realizzazione di un altro reato minore, che rimane assorbito dal primo.

In che senso un reato deve essere considerato di minor valore? Il giudizio di valore deve essere effettuato, secondo gli autori, alla stregua di una valutazione normativo-sociale. Cioè ci si deve collocare, alternativamente, dal punto di vista della legge o dell’interprete.

Ad esempio per compiere il reato di rapina devo necessariamente sottrarre una cosa a qualcuno (e quindi compiere il reato di furto, che rimane assorbito in quello di rapina). Per spendere monete false (articolo 455) devo prima commettere il reato di falsificazione di monete (articolo 453), che è meno grave. Per commettere il reato di violenza sessuale devo commettere quello di violenza privata.

Talvolta questa valutazione di maggior valore è effettuata dalla legge; nel caso della rapina e del furto, ad esempio, il giudizio di valore è normativo. Ma in altri casi, come nell’esempio B (millantato credito e truffa), o nell’esempio C (evasione con gli abiti del carcere), il giudizio sarà sociale, perché alla stregua della comune valutazione sociale chi truffa millantando credito ha commesso un solo fatto.

Contro questa tesi sono state mosse le seguenti obiezioni:

1) in primo luogo essa non fa altro che riproporre altre tesi; dire che il problema del concorso di norme si risolve comparando i reati secondo un giudizio di valore sociale, significa riproporre la tesi secondo cui il concorso apparente di norme si risolve in base alla consunzione, cioè al principio per cui la norma che offende il bene giuridico in misura maggiore consuma (cioè assorbe) quella di minor valore; con la sola differenza che il giudizio di valore oltre ad essere effettuato dal punto di vista normativo potrà in tal caso essere effettuato anche dal punto di vista dell’interprete, alla stregua di una valutazione sociale; in altre parole si tratta di una tesi che amplia l’area di applicazione del concorso di norme.

2) E’ assolutamente contraddittorio affermare, come Fiandaca-Musco, che il problema del concorso di norme deve essere risolto su basi normative (nel momento in cui contesta la tesi del principio di specialità in concreto) per poi affermare dopo poche pagine che esso si risolve, in definitiva, in un giudizio effettuato alla stregua di una valutazione sociale (che quindi non è normativa).

La teoria del ne bis in idem sostanziale (Mantovani, Pagliaro)

Diversa da quelle classiche è la teoria di Mantovani (che con alcune varianti riprende anche Pagliaro), il quale è tra gli studiosi che più si sono occupati del concorso di norme.

Secondo questa teoria un solo principio è idoneo a risolvere il problema, ed è il più generale principio del ne bis in idem sostanziale, secondo cui per uno stesso fatto materiale non si possono imputare all'autore più reati.

Tale principio non è espressamente codificato ma lo si ricava da numerose norme, quali l'articolo 15, l'articolo 84 (reato complesso), l'articolo 68 (concorso apparente di norme circostanzianti), gli articoli 61 e 62, prima parte, 131, 170, 301 e 581.

Secondo Pagliaro, invece, il ne bis in idem deve considerarsi un principio generale dell’ordinamento in quanto è un corollario del principio della personalità della responsabilità penale (articolo 27 della Costituzione) del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3) ed è inerente ai diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2).

Una volta che si sia stabilito che per uno stesso fatto (fatto concreto, si badi) sono astrattamente applicabili due norme si deve stabilire quale sia la norma prevalente. Ciò non può essere fatto in base ad una regola unica, ma va fatto in base ad una serie di criteri diversi:

1) il principio di specialità;

2) il criterio cronologico;

3) il criterio gerarchico.

4) Qualora i criteri precedenti non siano applicabili la norma prevalente va individuata attraverso la clausola di riserva, se esiste.

5) Nel caso non esista una clausola di riserva si deve ricorrere al criterio del trattamento penale più severo.

6) Qualora non si possa ricorrere a questo criterio – qui sta il passaggio delicato della sua tesi, su cui occorre puntare l’attenzione - si deve ricorrere ad una complessa operazione ermeneutica.

In pratica la tesi di Mantovani non fa altro che analizzare i criteri che il legislatore utilizza di volta in volta per risolvere il problema del conflitto tra norme, per poi concludere che un criterio certo e universale non esiste, ed è lasciato, appunto, alla “complessa operazione ermeneutica” di cui si è detto.

Nello stesso senso, sostanzialmente, è Pagliaro il quale dice (con una tesi che ricorda molto in realtà quella di Fiandaca-Musco) che il concorso apparente di norme ricorre anche quando, pur non essendoci rapporto di specialità, né essendo indicato dalla legge altro criterio, “vi è una situazione di vita sostanzialmente unitaria, tanto che, se la norma in gioco fosse una sola, nessuno dubiterebbe dell’unità di reato”.

E, più in là, afferma che ci si deve attenere in ogni caso a criteri di ragionevolezza, mai a considerazioni formali che sarebbero inadatte a risolvere i problemi legati alla consunzione.

Casistica

Una breve casistica e un occhio all’atteggiamento della giurisprudenza chiariranno meglio il problema del concorso di norme.

Negli esempi sub A (violenza sessuale sulla figlia) o B, della truffa effettuata millantando credito, si giunge ad applicare una sola norma (e quindi a ravvisare un concorso apparente di norme) applicando queste teorie:

  • la teoria del principio di specialità applicato al fatto concreto;
  • la tesi dell’assorbimento, ove il giudizio di valore sia effettuato alla stregua di una valutazione sociale.

Si giunge invece ad escludere il concorso di norme e applicare le regole del concorso di reati nel caso in cui si accolga:

  • la teoria della specialità riferita al bene giuridico;
  • la tesi della specialità in astratto
  • la tesi della sussidiarietà, ove il giudizio di valore sia effettuato alla stregua del giudizio di valore normativo (cioè in base alla gravità dell’offesa al bene giuridico).

Insomma, di fronte all’incertezza della dottrina, e di fronte alla scarsezza di strumenti offerti dalla legislazione, non sorprende che la giurisprudenza abbia un atteggiamento schizofrenico al riguardo giungendo a conclusioni che, come rileva Pagliaro, sono singolari, se non illogiche.

Si è giunti infatti ad affermare che ci sarebbe pluralità di reati nell’ipotesi in cui un soggetto detenga cocaina e hashish, mentre il reato sarebbe rimasto unico se costui avesse detenuto una quantità doppia di cocaina (ciò che alla stregua di un giudizio di valore sociale, come ritiene Fiandaca-Musco, o di ragionevolezza, come dice Pagliaro, non sarebbe stato possibile).

Oppure che sia stato condannato l’evaso sia per il reato di evasione sia per il furto degli indumenti che indossava.

A tali conclusioni, chiaramente si giunge applicando la teoria del rapporto di specialità in astratto, o, comunque, utilizzando il criterio del bene giuridico, o del giudizio di valore, inteso in senso rigorosamente normativo.

A diverse conclusioni, invece, si giungerebbe applicando il criterio più elastico utilizzato da Fiandaca-Musco, Mantovani o Pagliaro.

I confini tra concorso apparente di norme e concorso formale di reati restano vaghi, con ampie zone grigie aperte alle opposte soluzioni. E con profonde divergenze tra gli incessanti sforzi della dottrina per ampliare la sfera del concorso apparente ed i rigorismi giurisprudenziali, che tendono a circoscriverlo al tranquillo ambito della specialità, subordinandolo talora al limite dell’identico bene giuridico. Salvo, poi, ammettere tra i plurimi reati pressoché sempre la continuazione sulla mera base della loro successione cronologica, applicando per essa esigui aumenti di pena, che svuotano di consistenza pratica la plurima imputazione (Mantovani).

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