Responsabilità civile

Coassicurazione per infortuni non mortali: obbligo di avviso ex 1910 c.c.

Cassazione civile, SS.UU., sentenza 10/04/2002 n° 5119
Non essendo l’assicurazione privata contro gli infortuni autonomamente disciplinata, si pone il problema di stabilire se è ad essa applicabile l’art. 1910 nella parte in cui prevede che, a fronte di più assicurazioni per il medesimo rischio, l’assicurato debba avvisare ciascun assicuratore, pena, in caso di dolosa omissione, il mancato pagamento dell’indennità.

Per risolvere il contrasto sorto in giurisprudenza, le Sezioni Unite della Cassazione affermano che è necessario stabilire se il principio indennitario (art. 1905), che qualifica l’assicurazione contro i danni, sia applicabile all’assicurazione contro gli infortuni.

Nel rispondere positivamente, la Suprema Corte individua i seguenti motivi:
1. l’art. 1916 c. 4, espressione del principio indennitario, estende esplicitamente all’assicurazione contro gli infortuni il diritto di surrogazione dell’assicuratore, allo scopo di impedire il cumulo nello stesso soggetto del diritto al risarcimento verso il terzo responsabile e del diritto all’indennizzo verso l’assicuratore;
2. l’infortunio è evento produttivo di danno per l’assicurato, da qualificarsi come danno patrimoniale, se incide sulla capacità lavorativa del soggetto leso, oppure non patrimoniale, ma comunque patrimonialmente valutabile, mediante le tabelle del danno biologico, qualora l’infortunio venga in considerazione come rischio dell’assicurato indipendentemente dalla sua capacità di lavoro e di guadagno.

Quanto evidenziato vale per l'assicurazione contro le disgrazie accidentali non mortali, nella quale vi è coincidenza tra l’assicurato, titolare dell’interesse garantito e beneficiario dell’indennizzo per inabilità o invalidità, e la persona sulla quale fisicamente incide l’infortunio (coincidenza che si verifica sia nel caso di assicurazione contro i propri infortuni, sia nel caso di assicurazione contro gli infortuni di terzi stipulata nell’interesse dei medesimi).

Nel caso di assicurazione contro gli infortuni ove sia prevista la corresponsione dell'indennizzo per infortunio mortale viene in considerazione un rischio che è tipico della assicurazione sulla vita: il rischio assicurato è sempre costituito dalla morte e beneficiario non è l'assicurato, ma un terzo. In tal caso, le norme applicabili dovranno essere prevalentemente desunte, in relazione alle singole fattispecie, dalla disciplina dettata in materia di assicurazione sulla vita (in tal senso, Cass. 2915/68).

In conclusione, la S.C. statuisce che: «alla assicurazione contro le disgrazie accidentali (non mortali), in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell’assicurazione contro i danni, va estesa l’applicazione dell’articolo 1910, trattandosi di norme dettate a tutela del principio indennitario, per evitare che, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l’assicurato, ottenendo l’indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro conseguendo un indebito arricchimento», mentre «deve ritenersi inapplicabile all’ipotesi di assicurazione contro gli infortuni mortali la disciplina dettata dall’articolo 1910».

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

SENTENZA 7 dicembre 2001 - 10 aprile 2002 n. 5119

(Presidente Marvulli - relatore Preden)

Svolgimento del processo


Con atto notificato il 28 giugno 1990, A. D. conveniva davanti al tribunale di Milano la spa Mediolanum Assicurazioni per sentirla condannare al pagamento dell’indennità di lire 34.350.000, in base a polizza di assicurazione contro gli infortuni.

La convenuta resisteva eccependo che l’indennità non era dovuta, ai sensi dell’articolo 1910 Cc, per avere la A. D., all’atto della sottoscrizione, taciuto di aver stipulato altre polizze per lo stesso rischio con altri assicuratori.

Al giudizio venivano riunite altre cause instaurate dalla A. D. nei confronti della spa Latina Renana Assicurazioni spa, della spa Assitalia Assicurazioni e della spa Levante Assicurazioni, aventi ad oggetto la richiesta di pagamento dell’indennizzo per lo stesso infortunio (lesione traumatica della mano sinistra con postumi invalidanti), in base a polizze stipulate con le predette convenute.

La Danello chiamava inoltre in giudizio la Legal & General Assurance Society Limited, quale coassicuratrice, per lo stesso rischio, con la spa Latina Renana Assicurazioni.

Tutte le società convenute contestavano la fondatezza della domanda.

Il tribunale, con sentenza del 29 aprile 1993, accoglieva la domanda nei confronti della spa Mediolanum Assicurazioni e la respingeva nei confronti delle altre convenute. Considerava che nella polizza stipulata tra la A. D. e la spa Mediolanum Assicurazioni era stata inserita clausola di deroga all’articolo 1910, che impone all’assicurato di comunicare alla società di assicurazione le eventuali altre polizze contratte con altri assicuratori, mentre tale deroga non era stata prevista nelle polizze sottoscritte con le altre compagnie.

La A. D. proponeva appello nei confronti di tutte le convenute, ad eccezione della spa Mediolanum Assicurazioni.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 15 aprile 1997, rigettava l’impugnazione. Considerava la corte: che alla assicurazione privata contro gli infortuni si applicano le previsioni dei primi due commi dell’articolo 1910; che in nessuna delle polizze stipulate con le società appellate era stata pattuita la deroga all’osservanza della suindicata normativa; che l’appellante non si era limitata a non dare avviso della stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio con diversi assicuratori, ma aveva esplicitamente dichiarato ad alcuni di essi di non aver stipulato altre polizze, così integrando il comportamento doloso che, ai sensi dell’articolo 1910, comma 2, esonera l’assicuratore dal pagare l’indennità.

Avverso la sentenza la A. D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria.

Hanno resistito, con controricorso la spa Milano Assicurazioni (società incorporante la spa La Previdente Assicurazioni, a sua volta incorporante la spa Ausonia Assicurazioni, già spa Latina Renana Assicurazioni) e la spa Levante Assicurazioni, che ha depositato memoria.
Con ordinanza del 17 aprile 2000, la terza sezione della Corte di cassazione, alla quale il ricorso era stato assegnato, ha disposto la trasmissione degli atti al primo presidente della corte, avendo rilevato che in ordine alla questione investita dal primo motivo del ricorso, concernente l’inquadramento dell’assicurazione privata contro gli infortuni nell’ambito dell’assicurazione sulla vita, ai fini dell’applicabilità o meno dell’articolo 1910, sussiste contrasto nella giurisprudenza della corte.

Il primo presidente ha assegnato la causa alle sezioni unite civili per la composizione del contrasto.

Motivi della decisione

1. La spa Milano Assicurazioni (società incorporante la spa La Previdente Assicurazioni, a sua volta incorporante la spa Ausonia Assicurazioni, giù spa Latina Renana Assicurazioni) ha eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto da A. D. nei confronti della spa La Previdente Assicurazioni.

Deduce che la A. D. aveva agito nei confronti della spa Latina Renana Assicurazioni ed aveva chiamato in causa, quale coassicuratrice, la Legal & General Assurance Society Limited.

Sostiene che, trattandosi di un unico rapporto sostanziale e processuale, l’avvenuta notificazione della sentenza, in data 29 dicembre 1997, ad istanza della Legal & General Assurance Society Limited, ha determinato la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso anche nei confronti dell’altro assicuratore.

2. L’eccezione non è fondata.

Per consolidata giurisprudenza, nel caso di coassicurazione – ipotesi che ricorre, ai sensi dell’articolo 1911 Cc, quando uno stesso rischio viene assunto, anche se con unico contratto, con le medesime modalità e per lo stesso tempo da più assicuratori che ripartiscono fra loro la quota e rischio e la relativa quota dell’indennità – non si instaura un vincolo solidale tra assicuratori, ma si costituiscono separati rapporti assicurativi, in ordine ai quali ciascun assicuratore è titolare delle sole posizioni soggettive, sostanziali e processuali, relative al proprio rapporto (sentenza 3614/82; 661/88; 5673/90; 3302/90).

3. Con l’unico mezzo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 1910 Cc ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360, numero 3 e 5, Cpc, deduce la ricorrente: a) che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto applicabile l’articolo 1910 Cc, dettato in tema di assicurazione contro i danni, anche all’assicurazione contro gli infortuni; tale assicurazione va al contrario inquadrata nell’ambito delle assicurazioni sulla vita, delle quali condivide le finalità, poiché l’impossibilità di individuare con criteri oggettivi il valore della persona umana, con conseguente inevitabile ricorso al sistema della valutazione convenzionale, rende estraneo all’assicurazione contro gli infortuni il principio indennitario, del quale è espressione l’articolo 1910 Cc; b) che erroneamente la corte territoriale ha escluso che le polizze di cui trattasi non prevedessero l’esonero dell’assicurato dall’osservanza dell’articolo 1910 Cc.

4. Va in primo luogo esaminato il secondo profilo della censura, poiché il suo eventuale accoglimento sarebbe preclusivo dell’esame della questione di diritto svolta nel primo profilo di censura.

4.1. La censura non è fondata.

La statuizione della corte d’appello in punto di mancata previsione convenzionale della deroga alle disposizioni dell’articolo 1919 Cc consegue all’interpretazione che il giudice di merito ha compiuto delle clausole di polizza.

Si verte, quindi, in tema di apprezzamento di fatto, che, in quanto sorretto da adeguata motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità.

5. Può quindi procedersi all’esame del primo profilo di censura.

6. L’assicurazione privata contro gli infortuni consiste nel contratto con il quale l’assicuratore, previa corresponsione di un premio, si obbliga al pagamento di una certa somma all’assicurato, nel caso di lesione dovuta ad una causa fortuita, violente ed esterna che ne determini l’inabilità temporanea o l’invalidità permanente, ovvero ad un terzo beneficiario, nel caso di morte dell’assicurato medesimo conseguente ad infortunio.

Questo tipo di assicurazione – la cui larga diffusione nella pratica ha determinato il formarsi di un contratto socialmente tipico – non è autonomamente disciplinato nel capo ventesimo del libero quarto del Cc dedicato alla assicurazione. Il citato capo ventesimo, dopo aver dettato, nella sezione rima, le disposizioni generali sull’assicurazione (articoli 1882 – 1903), riserva una specifica disciplina alla assicurazione contro i danni nella sezione seconda (articoli 1904 – 1918) ed alla assicurazione sulla vita nella sezione terza (articoli 1919 – 1927).

In assenza di una organica disciplina normativa (a parte l’estensione della disciplina della surrogazione alla «assicurazioni contro le disgrazie accidentali» prevista dall’articolo 1916, comma 4), sorge riguardo all’assicurazione privata contro gli infortuni, per gli aspetti del rapporto in relazione ai quali le singole convenzioni non dispongono, l’esigenza di stabilirne il regime giuridico.

In tale più vasto ambito, contraddistinto dal segnalato contrasto tra l’orientamento giurisprudenziale che propende per l’assimilazione di tale tipo di assicurazione alla assicurazione sulla vita, e l’indirizzo che tende ad inquadrarla nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, si iscrive lo specifico problema della applicabilità o meno dell’articolo 1910, inserito nella disciplina concernente l’assicurazione contro i danni, all’assicurazione privata contro gli infortuni.

L’articolo 1910, nei primi due commi, stabilisce quanto segue: «se per il medesimo rischio sono contratte separatamente più assicurazioni presso diversi assicuratori, l’assicurato deve dare avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore». «Se l'assicurato omette dolosamente di dare l’avviso, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l’indennità».

7. Ai fini della composizione del denunciato contrasto occorre dare conto dello stato della giurisprudenza di questa Suprema corte.

8. La giurisprudenza numericamente prevalente di questa Suprema corte, in sintonia con la dottrina meno recente, tende ad inquadrare l’assicurazione privata contro gli infortuni tra le assicurazioni sulla vita, con conseguente applicazione (oltre che delle disposizioni generali) di (alcune) norme inserite nell’ambito della disciplina dettata per quest’ultimo tipo di assicurazione.

È stato affermato che l’assicurazione infortuni, specie per il caso di morte, si inquadra fra le assicurazioni sulla vita in base ad un duplice rilievo. In primo luogo, considerando che ha con queste in comune il contenuto e le finalità, in quanto coprono il rischio della morte, e nessuna differenza si riscontra tra l’ipotesi in cui la morte sia prevista come effetto di circostanze determinate, cioè a seguito di infortunio, e l’ipotesi in cui sia, invece, prevista puramente e semplicemente, sebbene con l’esclusione di alcuni rischi derivanti da dati eventi (guerra, suicidio, duello, ecc). In secondo luogo, sottolineando che l’impossibilità di attribuire un valore economico determinato alla vita umana e la conseguente esclusione, al verificarsi dell’evento, di ogni indagine sulla sussistenza e sull’entità reale del danno ricollegabile all’evento importano l’inconciliabilità di qualsiasi assicurazione sulla vita, anche se destinata a coprire un solo tipo di eventi mortali, come l’assicurazione infortuni, col regime dell’assicurazione contro i danni (sentenza 2336/66: la decisione riconosce tuttavia che, in virtù dell’espressa estensione operata dall’articolo 1916, comma 4, all’assicurazione contro gli infortuni si applica l’istituto della surroga dell’assicuratore, con la precisazione, nel caso di infortunio mortale, che la surroga è esperibile solo se il terzo beneficiario dell’indennità è anche titolare del diritto al risarcimento del danno contro il terzo responsabile, come avviene nel caso di prossimi congiunti, poiché solo in tale ipotesi si verifica il cumulo di diritto in capo ad unico soggetto che la legge vuole evitare; sul punto è conforme la sentenza 1175/97).

Altra decisione ha ritenuto che l’assicurazione facoltativa contro gli infortuni è affine a quella sulla vita e pertanto vanno ad essa applicate, in relazione a singole fattispecie, alcune delle norme proprie della assicurazione sulla vita. Ha invero considerato che nell’ampia categoria degli eventi attinenti alla vita umana di cui è cenno nell’articolo 1882 debbono ritenersi ricompresi l’infortunio e la disgrazia accidentale che abbiano come conseguenza dannosa la lesione dell’integrità fisica dell’individuo e che, perciò, cagionino a costui una invalidità temporanea o permanente. L’assicurazione contro gli infortuni non è, invece, equiparabile a quella contro i danni, stante la sostanziale differenza di contenuto che l’una presenta di fronte all’altra. Mentre nell’assicurazione contro i danni il anno viene considerato in riferimento a cose materiali ed inanimate, suscettibili di proprietà e soggette perciò, per se stesse , ad una obiettiva valutazione economica, nell’assicurazione contro gli infortuni e le disgrazie accidentali quello che viene in considerazione è il corpo umano nella sua interezza e nelle sue singole componenti, e cioè un bene tutt’affatto particolare, rispetto al quale, per la considerazione etica che i paesi civili hanno della vita umana, non è configurabile un puro e semplice contratto d’indennità come efficace strumento di riparazione del danno prodottosi (sentenza 2915/68: la decisione ha concluso per l’applicabilità dell’articolo 1919, comma 2, che, per preservare la vita del terzo da mire illecite del contraente, subordina la validità dell’assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo al consenso di quest’ultimo, in relazione ad assicurazione contro gli infortuni comprendente tutti i rischi del gioco del calcio nonché i rischi extraprofessionali cui fossero andati incontro i giocatori di una squadra di calcio, stipulata a favore della società e sottoscritta solo dalla società e non dai singoli giocatori).

L’applicazione all’assicurazione contro gli infortuni di norme comprese nella disciplina dell’assicurazione sulla vita è confermata dalle sentenze 1205/75, 5775/79, 4851/80, 3207/94, 9388/97 e 6062/98 (tutte le decisioni, rese in ipotesi di infortunio mortale, hanno affermato l’applicabilità dell’articolo 1920, comma 3, che attribuisce al terzo beneficiario nel caso di morte dell’assicurato un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione).

9. Pur confermando l’affinità dell’assicurazione contro gli infortuni alla assicurazione sulla vita, la sentenza 1883/77, adottata in fattispecie concernente le conseguenze del mancato pagamento dei premi, ponendosi in contrasto con la sentenza 2285/68 che era pervenuta alla soluzione affermativa, ha invece ritenuto inapplicabile all’assicurazione contro gli infortuni l’articolo 1924, comma 2 (dettato in tema di assicurazione sulla vita, che prevede la risoluzione del contratto nel caso di mancato pagamento dei premi relativi agli anni successivi al primo), ed applicabile invece la norma generale di cui all’articolo 1910. La decisione ha invero ritenuto di precisare, attenuando così la portata dell’assimilazione teorica tra assicurazione sulla vita ed assicurazione contro gli infortuni, «che l’affinità per vari aspetti riscontrabile tra le due specie assicurative non comporta necessariamente che tutte le norme dettate per la prima debbano trovare integrale applicazione anche nella seconda: da un canto, infatti, si deve tener conto delle differenze ontologiche e di struttura fra esse esistenti, per cui occorre stabilire, caso per caso, quali norme del ramo «vita» si possono applicare al ramo «infortuni» e quali no, avuto riguardo alle caratteristiche di affinità o di somiglianza che questo presenta rispetto al primo; d’altro canto, poi, non si può ignorare che, fra le norme specifiche dell’assicurazione sulla vita, ce ne sono alcune (ad esempio gli articoli 1925 e 1927) che rivelano una così intima connessione col particolare congegno tecnico-giuridico di questo ramo assicurativo da non trovare riscontro in nessun altro».

Ed eguale affermazione dell’esigenza di accertare, di volta in volta, quali norme disciplinanti l’assicurazione sulla vita siano applicabili all’assicurazione contro gli infortuni si rinviene nella sentenza 6205/79, che ha escluso l’integrale applicabilità alla assicurazione contro gli infortuni dell’articolo 1926, che disciplina l’aggravamento del rischio nell’assicurazione sulla vita.

10. All’indirizzo, maggioritario, ora richiamato, che propende per una assimilazione della assicurazione contro gli infortuni (specie nel caso di morte) alla assicurazione sulla vita, si contrappone altro orientamento, minoritario, che, sia pur con minor apparato argomentativo, ma con il confronto della prevalente dottrina più recente, tende a ricondurre l’assicurazione contro gli infortuni nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, con conseguente applicazione di alcune disposizioni dettate per questo tipo di assicurazione.

In tal senso si è pronunciata la sentenza 1078/78, che ha ritenuto applicabile anche all’assicurazione contro gli infortuni, nonostante diversa previsione contrattuale sfavorevole all’assicurato, la disciplina dettata dagli articolo 1913 e 1915, comma 2 (non derogabile ex articolo 1932), in tema di assicurazione contro i danni, circa le conseguenze dell’inadempimento colposo all’obbligo di avviso.

La collocazione dell’assicurazione contro gli infortuni nell’ambito dell’assicurazione contro i danni è stata ancora affermata al fine della qualificazione del debito di indennizzo dell’assicuratore come debito di valore, sul rilievo che detto debito, ancorché venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, non è debito di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dall’assicurato, ed è pertanto suscettibile di automatico adeguamento (sentenza 3017/86; 661/88).

11. Vanno infine ricordate due sentenze rese con specifico riferimento all’articolo 1910.

La sentenza 8597/95 ha ritenuto la norma suindicata applicabile anche all’assicurazione contro gli infortuni, sul rilievo che costituisce espressione di un principio di carattere generale (e cioè del principio indennitario posto dall’articolo 1905), in quanto tende ad evitare che, mediante la stipulazione di diversi contratti di assicurazione contro il medesimo rischio, il beneficiario ottenga un indebito arricchimento, con conseguenze pregiudizievoli per l’economia (la sentenza invoca, quale precedente, la sentenza 1832/80, che si è invece limitata a ritenere legittima la clausola di un contratto di assicurazione contro gli infortuni che riproduca l’articolo 1910). Occorre notare che l’affermazione di principio costituisce un mero obiter, poiché nel caso esaminato nella polizza era inserita clausola di deroga all’articolo 1910.

A sua volta la sentenza 8826/98, dopo aver richiamato il precedente ora menzionato ed aver dato atto dell’esistenza, in dottrina, della tesi contraria, secondo cui il principio indennitario, e quindi il limite del risarcimento posto dall’articolo 1905, non trova applicazione nell’assicurazione privata contro gli infortuni, ove si ha invece ha determinazione convenzionale del danno alla persona, onde si sostiene che l’assicurato, a propria discrezione, potrebbe scegliere la misura dell’indennità da ricevere in caso di infortunio, ha poi rilevato che sul detto contrasto non era necessario soffermarsi, poiché nella polizza era stata espressamente prevista l’operatività dell’articolo 1910.

12. In conclusione, il denunciato contrasto risulta meno netto di quanto può apparire ad un superficiale esame della giurisprudenza di questa Suprema corte.

In realtà, l’esame della motivazione delle singole pronunce consente di rilevare che, più che stabilire, in via di principio, per assimilazione teorica, l’inquadramento dell’assicurazione contro gli infortuni nell’ambito di uno dei due tipi di assicurazione legislativamente disciplinati, con conseguente integrale applicazione delle rispettive discipline, la Suprema corte si è di volta in volta impegnata a valutare se, in relazione alla fattispecie in esame, fosse o meno adattabile all’assicurazione contro gli infortuni, priva di organica disciplina, una determinata norma, dettata per l’assicurazione sulla vita ovvero per l’assicurazione contro i danni.

Ed è significativo che gran parte delle decisioni che hanno ritenuto applicabili all’assicurazione contro le disgrazie accidentali norme proprie dell’assicurazione sulla vita sono state emesse in riferimento a fattispecie di infortunio mortale, ravvisandosi una notevole analogia tra tale ipotesi (nella quale non coincidono la persona dell’assicurato e quella del beneficiario) e quella della assicurazione sulla vita (che egualmente una simile coincidenza mai presenta).

13. Una volta chiarito che nella giurisprudenza di questa Suprema Corte non si rinviene una contrapposizione tra indirizzi che affermano, da un lato, l’integrale applicazione all’assicurazione contro gli infortuni delle norme sull’assicurazione sulla vita, e, da altro lato, la completa soggezione alla disciplina dell’assicurazione contro i danni, ma piuttosto una analitica ricerca, ad opera delle singole decisioni, della compatibilità con l’assicurazione contro gli infortuni di norme proprie di entrambi i tipi legalmente disciplinati, giova tuttavia precisare che una eventuale piena assimilazione dell’assicurazione contro gli infortuni all’assicurazione sulla vita ovvero alla assicurazione contro i danni sarebbe in contrasto con la nozione di assicurazione dettata dall’articolo 1882, secondo cui: «l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana».

La definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poiché nella prima parte si riferisce all’assicurazione contro i danni e nella seconda all’assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all’assicurato («ad esso prodotto»), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persone dell’assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l’assicurazione sulla vita non esaurisce l’ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l’assicurazione contro gli infortuni, poiché la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona.

14. La questione dell’applicabilità o meno della disciplina dettata dall’articolo 1910 all’assicurazione contro gli infortuni va quindi esaminata muovendo dalla valutazione della compatibilità e coerenza con tale assicurazione della menzionata disciplina, della quale vanno indagate le ragioni giustificatrici.

15. La separata stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio presso diversi assicuratori è considerata con sfavore dal codice vigente (come del resto già dal codice abrogato negli articoli 426 e 427), in quanto può essere dettata dall’intento dell’assicurato di ottenere una pluralità di indennizzi per il medesimo danno. Intento la cui realizzazione, oltre a costituire incentivo alla provocazione dolosa del sinistro da parte dell’assicurato nella prospettiva di rivolgersi a tutti gli assicuratori, ignari della pluralità di contratti, verrebbe a contrastare con il principio indennitario posto dall’articolo 1905 («l’assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dell’assicurato in conseguenza del sinistro»), trasformando il contratto di assicurazione in fonte di lucro, con indebito arricchimento dell’assicurato, e con conseguenze pregiudizievoli per le imprese di assicurazione e, di riflesso, per l’economia nazionale.

Per prevenire tale distorsione dell’assicurazione, l’articolo 1910, comma 1, impone all’assicurato di dare avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore, così consentendo a tutti gli assicuratori, grazie all’informazione, di accettare di concludere il contratto solo con previsione di un indennizzo proporzionalmente limitato, ovvero, dopo aver valutato il rischio nel termine entro il quale il contraente deve tenere ferma la sua proposta (articolo 1887), di decidere di non accettarla, ed inoltre, una volta instaurato il rapporto, di svolgere, all’atto della denuncia del sinistro, un più accurato controllo sulle sue modalità, onde prevenire la realizzazione di eventuali intenti fraudolenti.

A sua volta, il comma 2 sanziona rigorosamente l’omissione, prevedendo che, qualora sia dolosa, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l’indennità.

Essendo la normativa in esame espressione del principio indennitario (articolo 1905), che caratterizza l’assicurazione contro i danni, stabilire se l’articolo 1910 (quantomeno nei due commi sopra menzionati) sia applicabile all’assicurazione contro gli infortuni impone di accertare se tale tipo di assicurazione abbia o meno natura indennitaria.

16. La risposta positiva al quesito discende dalle considerazioni di seguito esposte.

16.1. In primo luogo, va rilevato che l’articolo 1916, comma 4, prevede espressamente che le disposizioni dettate dal medesimo articolo, concernenti il diritto di surrogazione dell’assicuratore, «si applicano anche alle assicurazioni contro le disgrazie accidentali».

Ora, poiché il diritto di surrogazione dell’assicuratore, in quanto mira ad impedire il cumulo nello stesso soggetto del diritto al risarcimento verso il terzo responsabile e del diritto all’indennizzo verso l’assicuratore, costituisce sicura applicazione del principio indennitario, l’esplicita estensione della relativa disciplina all’assicurazione contro gli infortuni consente di affermare che anche questo tipo di assicurazione si caratterizza per la funzione indennitaria.

16.2. Va altresì considerato che l’infortunio è sicuramente evento produttivo di danno per l’assicurato: danno patrimoniale, qualora incida sulla capacità di lavoro del soggetto leso, da valutarsi in relazione al grado dell’inabilità o invalidità, alla natura dell’attività svolta dall’assicurato ed al suo reddito; ovvero, qualora l’infortunio venga in considerazione come rischio dell’assicurato indipendentemente dalla sua capacità di lavoro e di guadagno, danno non patrimoniale, ma pur sempre patrimonialmente valutabile, come attesta l’elaborazione giurisprudenziale in tema di valutazione, mediante apposite tabelle, del danno biologico.

L’infortunio, in quanto evento dannoso da indennizzare, ben può quindi essere ricondotto nell’ambito di applicazione del principio indennitario.
A ciò non osta la circostanza che, nell’assicurazione contro gli infortuni, la misura dell’indennizzo è predeterminata nella polizza, atteso che, anche in materia dell’assicurazione contro i danni, in relazione alla quale il principio indennitario è espressamente sancito, è prevista tale eventualità, mediante la cosiddetta polizza stimata (articolo 1908).

Né la sottrazione al principio indennitario può essere giustificato affermando che colui che contrae una assicurazione contro gli infortuni, sarebbe libero, a sua discrezione, di stabilire l’importo dell’indennizzo, svincolando da ogni obiettivo riferimento alle conseguenze dannose dalla lesione. Come già rilevato, il pregiudizio determinato dalla perdita o dalla riduzione, a causa di infortunio, della capacità di produrre reddito (danno patrimoniale), ovvero dal peggioramento della qualità della vita di una persona (danno biologico in senso lato), ben può essere valutato e monetariamente quantificato in riferimento alla specifica situazione dell’assicurato, con conseguente contenimento della pretesa assoluta discrezionalità dell’assicurato. Si tratta di una valutazione del rischio indubbiamente più difficoltosa di quella concernente l’apprezzamento del valore di una cosa, ma pur sempre possibile anche in relazione al pregiudizio che un infortunio può determinare, nel patrimonio o nella persona, al soggetto che stipula una assicurazione contro tale rischio. Valutabilità che rende percepibile la manifesta sproporzione tra indennizzo preteso dall’assicurando e presumibili conseguenze dell’infortunio, e che consente quindi all’assicuratore di esercitare la sua facoltà di non accettare la proposta, che controparte deve tenere ferma per quindici giorni ex articolo 1887, proprio per dar modo all’assicuratore di valutare il rischio.

17. In conclusione, il contrasto va composto affermando che: «alla assicurazione contro le disgrazie accidentali (non mortali), in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell’assicurazione contro i danni, va estesa l’applicazione dell’articolo 1910, trattandosi di norme dettate a tutela del principio indennitario, per evitare che, mediante la stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l’assicurato, ottenendo l’indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro conseguendo un indebito arricchimento».

È opportuno precisare che la disposizione sarà pienamente applicabile nei primi due commi. Quanto al secondo ed al terzo, concernenti rispettivamente l’obbligazione solidale degli assicuratori per l’indennizzo, nei limiti dell’ammontare del danno, ed il regresso dell’assicuratore che ha pagato nei confronti degli altri per la ripartizione proporzionale del debito, la peculiarità dell’assicurazione contro gli infortuni, che è assicurazione di persone e non di cose, con le conseguenti difficoltà di rapportare la misura dell’indennizzo ad un danno di consistenza obiettivamente accertabile, se non osta radicalmente alla loro applicazione, se non osta radicalmente alla loro applicazione, la rende indubbiamente difficoltosa nella pratica.

18. Quanto detto finora ben si attaglia alla assicurazione contro le disgrazie accidentali non mortali, nella quale vi è coincidenza tra l’assicurato, titolare dell’interesse garantito e beneficiario dell’indennizzo per inabilità o invalidità, e la persona sulla quel fisicamente incide l’infortunio (coincidenza che si verifica sia nel caso di assicurazione contro i propri infortuni, sia nel caso di assicurazione contro gli infortuni di terzi stipulata nell’interesse dei medesimi).

A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in relazione all’assicurazione contro gli infortuni ove sia prevista la corresponsione dell’indennizzo nel caso di infortunio morale. E ciò per le ragioni che seguono.

18.1. Nella detta ipotesi, viene in considerazione un rischio che è tipico dell’assicurazione sulla vita: il rischio assicurato, ancorché collegato ad una specifica causa (l’infortunio), è infatti pur sempre costituito dalla morte, e cioè da un evento attinente alla vita umana, e non alla persona, come l’infortunio invalidante.

Inoltre, beneficiario dell’indennizzo non è l’assicurato, sul quale incide l’evento morte, ma un terzo, come nell’assicurazione sulla vita.

Lo schema è, con tutta evidenza, del tutto simile a quello dell’assicurazione sulla vita, ed è quindi dalla disciplina dettata per questo tipo di assicurazione che dovranno essere prevalentemente desunte, in relazione alle singole fattispecie, le norme applicabili (in tal senso hanno appunto statuito le sentenze che hanno ritenuto applicabili gli articoli 1919, comma 2, e 1929).

Risulteranno invece incompatibili altre norme, dettate in materia di assicurazione contro i danni, non tanto per ragioni di inquadramento, ma per intrinseca inettitudine (come, ad esempio, quelle sull’obbligo di avviso di cui agli articoli 1913 e 1915, non essendone ipotizzabile l’adempimento da parte del soggetto deceduto per infortunio mortale).

18.2. La diversità di disciplina dell’ipotesi in esame, nella quale viene in evidenza un infortunio con conseguenze mortali, rispetto a quella precedentemente esaminata concernente gli infortuni non mortali, emerge con chiarezza ove si ponga mente all’articolo 1916, che prevede il diritto di surrogazione dell’assicuratore.

Si tratta, come già ricordato, di norma che, nel comma 4, prevede l’estensione del diritto anche alle assicurazioni contro le disgrazie accidentali, ma che può trovare applicazione solo in relazione all’assicurazione contro infortuni invalidanti che colpiscano lo stesso assicurato, e non anche in relazione all’ipotesi dell’infortunio mortale, poiché in quest’ultimo caso, essendo beneficiario del diritto di surrogazione, costituito dal cumulo in unico soggetto di diritti derivanti da titoli diversi, e cioè del cumulo del diritto al risarcimento verso i terzi responsabili e del diritto all’indennizzo verso l’assicuratore.

In proposito, alcune decisioni di questa Suprema corte hanno ritenuto egualmente operante il diritto di surrogazione dell’assicuratore nell’ipotesi in cui il terzo beneficiario, quale prossimo congiunto dell’assicurato, sia anche titolare del diritto al risarcimento dei danni contro il terzo responsabile dell’infortunio mortale, sussistendo anche in tale caso un cumulo di diritti in capo ad unico soggetto, pur riconoscendosi che in tale eventualità l’assicuratore non si surroga in un diritto dell’assicurato verso il terzo responsabile, poiché il diritto all’indennità ed al risarcimento spettano al terzo beneficiario iure proprio, e non gli derivano dal patrimonio dell’assicurato (sentenza 2336/66; 1175/74).

Ora, anche aderendo al cennato indirizzo (non condiviso dalla dottrina), l’inapplicabilità della surrogazione, nel caso di infortunio mortale, resta comunque ferma, qualora non ricorra la suindicata ipotesi di coincidenza di titolarità di diritti. E tanto basta a sorreggere l’affermata diversificazione della disciplina (anche in riferimento ad una singola disposizione) dell’assicurazione contro gli infortuni secondo il tipo di evento, invalidante o mortale, coperto dalla polizza.

18.3. La ravvisata diversificazione sussiste anche in punto di applicabilità della disciplina dettata dall’articolo 1910.

18.3.1. Va anzitutto rilevato che sembra da escludere la configurabilità di un danno patrimoniale da morte nei riguardi dell’assicurato, per il significativo rilievo che la morte determina il venir meno del soggetto che potrebbe farlo valere (vedi, in riferimento al tema del cosiddetto danno biologico da morte, sentenza 1704/97).

D’altra parte, occorre considerare che neppure per il terzo beneficiario la morte dell’assicurato si risolve necessariamente in un danno: non vi sarà danno, ad esempio, nel caso di terzo beneficiario non destinatario di contributi economici da parte dell’assicurato in vita.

Per l’assicurazione contro l’infortunio mortale risulta quindi assai dubbia la vigenza del principio indennitario, analogamente a quanto si sostiene, sia pur non senza contrasti, per l’assicurazione sulla vita. E ciò costituisce ostacolo all’applicabilità dell’articolo 1910, che del detto principio costituisce espressione.

18.3.2. Deve inoltre considerarsi che viene meno, in relazione all’evento morte, una delle ragioni sulle quali si fonda la disciplina dettata dall’articolo 1910, e cioè l’incentivo alla provocazione volontaria del sinistro anche mediante forme di autolesionismo.

Una cosa è procurarsi volontariamente una lesione, altra è darsi la morte. Il naturale istinto di conservazione sembra costituire sufficiente remora agli intenti fraudolenti che l’articolo 1910 mira a prevenire.

E, d’altra parte, nel caso di assicurazioni plurime che includano tra i rischi anche l’infortunio mortale, qualora il contraente giunga a porre fine volontariamente alla sua vita, ed il beneficiario richieda a tutti l’indennizzo, ciascun assicuratore avrà adeguata tutela nell’articolo 1900, compreso tra le disposizioni generali in materia di assicurazione, secondo il quale l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo dell’assicurato.

Tutti gli assicuratori saranno invece obbligati a corrispondere al beneficiario l’indennità stabilità nella polizza nel caso in cui la morte del pluriassicurato consegua ad infortunio involontario, anche se della pluralità di assicurazioni, sopportando l’onere dei relativi premi, l’assicurato non abbia dato avviso.

19. In conclusione, occorre apportare una limitazione al principio enunciato nel paragrafo 17, affermando che: «deve ritenersi inapplicabile all’ipotesi di assicurazione contro gli infortuni mortali la disciplina dettata dall’articolo 1910».

20. Nella pratica corrente, le polizze di assicurazione contro gli infortuni non si limitano a coprire l’ipotesi dell’infortunio inabilitante o invalidante, ma anche quella dell’infortunio mortale.

Le differenziazioni di disciplina sopra menzionate sono quindi destinate ad oprare nell’ambito di un medesimo contratto.

Una peculiarità del contratto di assicurazione privata contro gli infortuni è infatti proprio quella dell’essere tale contratto caratterizzato dalla complessità del rischio coperto, in quanto comprensivo sia del rischio di infortunio produttivo di inabilità temporanea o invalidità permanente, sia del rischio di infortunio mortale.

La duplicità del rischio implica diversificazione di disciplina del contratto, che deve quindi ritenersi soggetto ad una disciplina di tipo misto: da ricavare prevalentemente dalla disciplina dettata per l’assicurazione contro i danni, nel caso in cui il particolare aspetto del rapporto del quale deve essere individuata la disciplina si ricolleghi alla deduzione di un infortunio che abbia determinato inabilità o invalidità, ovvero prevalentemente dalla disciplina dettata per l’assicurazione sulla vita, nel caso in cui venga in considerazione un infortunio mortale.

21. Nella controversia oggetto dl ricorso l’indennizzo è stato richiesto in relazione ad un infortunio invalidante ed è stato rifiutato dagli assicuratori ai sensi dell’articoli 1919, commi 1 e 2.

Consegue che, dovendosi, per le suesposte ragioni, ritenere applicabile all’assicurazione contro gli infortuni (salvo il caso in cui sia dedotto un infortunio mortale) l’articolo 1910, l’impugnata sentenza, che ha deciso in conformità, accogliendo le difese degli assicuratori, risulta corretta.

Anche il primo profilo di censura risulta quindi infondato ed il ricorso va rigettato.

22. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Roma, 7 dicembre 2001.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA il 10 aprile 2002.

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