Anno Giudiziario 2006: relazione del Presidente della Corte di Appello di Milano

Relazione di Giuseppe Grechi 28/01/2006
Il quadro finora tracciato dipinge le gravi carenze delle nostre strutture giudiziarie ed i possibili rimedi da un punto di vista per così dire "interno", quasi burocratico; ma uno scenario propositivo che voglia davvero incidere sull'attuale livello dei problemi richiede un approccio più ampio.

Inaugurazione Anno Giudiziario 2006

RELAZIONE DEL DOTT. GIUSEPPE GRECHI,
PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO DI MILANO


28 gennaio 2006


In apertura di questa cerimonia rivolgo anzitutto un omaggio non formale al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, essenziale punto di riferimento dell'unità nazionale ed appassionato garante dei valori e delle regole della nostra vitale Costituzione, anche nella Sua veste di Presidente dell'Organo di governo autonomo della Magistratura.

Saluto e ringrazio le Autorità religiose, politiche, civili, militari ed accademiche, ed i cittadini che hanno accolto l'invito a partecipare a questa assemblea, in visibile rappresentanza del Popolo sovrano, nel cui nome è amministrata la giustizia, ed a testimonianza di quei principi di unità e collaborazione che legano, pur nella diversità dei ruoli, tutte le Istituzioni della Repubblica.

Un saluto speciale rivolgo ai rappresentanti degli Ordini forensi di altri Paesi europei, qui presenti a testimoniare che lo spazio giuridico europeo non è più una mera astrazione, nonché a tutti gli Avvocati del distretto ed ai Presidenti dei Consigli dell'Ordine; saluto che vuol essere attestazione del clima di fattiva collaborazione che si è instaurato tra noi.

Sono invece rammaricato per l'assenza dell'Associazione Nazionale Magistrati, ma comprendo e condivido le ragioni di questa protesta: l'ingestibile riforma dell'Ordinamento giudiziario, che è stata voluta contro le opinioni della Curia, del Foro e dell'Accademia, mai così unanimi, non solo sembra negarci ogni prospettiva di modernità, ma rischia di riportarci indietro nel tempo.

Prima di iniziare, non posso non ricordare, con profonda commozione e grande dolore, il gravissimo lutto che ha appena colpito questa Corte con la scomparsa, il 6 gennaio, in un incidente stradale, del giovane e valentissimo funzionario, dr. Paolo Alberti, dirigente della Cancelleria della 2° sezione civile, e del figlioletto Simone di appena dieci mesi.

La relazione che vado ad illustrare non è frutto di mie solitarie riflessioni, ma del lavoro collettivo dei consiglieri Paola Accardo, Filippo Grisolia, Marcello Marinari, Rosa Polizzi, Elena Riva Crugnola ed Amedeo Santosuosso, nonché del dirigente della Cancelleria Antonino Alioto e dei funzionari Pierluigi Labella, Paolo Conti, Maria Luisa Cugno e Flora Bruno, sicchè essa può dirsi tendenzialmente espressione delle opinioni generali della Corte. Un ringraziamento particolarissimo rivolgo infine al Segretario Generale della Corte Luigi de Ruggiero per l'eccezionale impegno con il quale ha curato anche la redazione di questa relazione.





Il cui primo compito è quello di fornire alla collettività, che ne è la principale destinataria, un'informazione sull'amministrazione della giustizia nel distretto di Milano; poiché, peraltro, i dati statistici sul movimento dei processi sono esposti, ed anche "disegnati", in dettaglio nel volume che raccoglie tutte le relazioni dei Capi degli Uffici, mi limito solo ad una sintesi dei numeri essenziali nei diversi settori, quale prima base oggettiva per ogni successiva considerazione.

E così, per dire anzitutto della complessiva "domanda di giustizia", il totale dei procedimenti civili pendenti presso tutti gli uffici del distretto di Milano al 30 giugno 2005 risulta pari a 282.687 fascicoli (dei quali 118.533 di cd. "giurisdizione ordinaria"), con un incremento percentuale medio dell'11% rispetto all'anno precedente, più marcato presso il Giudice di Pace e la Corte d'appello. Il numero di procedimenti sopravvenuti è, del resto, in costante crescita negli ultimi cinque anni, mentre i procedimenti definiti sono purtroppo leggermente diminuiti nell'ultimo anno giudiziario.

In particolare, si conferma la forte crescita dei procedimenti civili presso la Corte d'Appello, la cui pendenza è ancora, secondo una stabile tendenza, aumentata del 15% nell'ultimo anno, così da raggiungere il 58% in cinque anni: e ciò, nonostante il dato, ricavato da orientative ma attendibili stime, di una percentuale di impugnazioni delle sentenze di primo grado ben inferiore alla media nazionale e pari al 9% circa. Il fatto è che è ben aumentata negli ultimi cinque anni, dopo la riforma del "giudice unico" e delle competenze del Giudice di pace, la produttività del primo grado, mentre nessuna attenzione è stata rivolta ad ottenere una corrispondente maggior efficienza del giudizio d'appello, il cui nuovo rito, interamente collegiale, appesantisce, anzi, e rallenta la trattazione dei processi.

Ora, nell'ultimo anno la "capacità produttiva", per così dire, dei Tribunali ordinari si è assestata e quindi, aumentando pur sempre le sopravvenienze, quel fenomeno positivo di progressiva erosione della pendenza si è fermato (i pendenti finali di cognizione ordinaria in primo grado ri-salgono dell'1,8%). La pendenza finale dei Giudici di Pace, per la cognizione ordinaria, cresce del 6% rispetto all'anno precedente e del 27% considerando gli ultimi cinque anni.

In costante aumento risultano i procedimenti pendenti in materia di lavoro, con un +43% in cinque anni ed un 10% in più solo nell'ultimo periodo, dato il maggior incremento delle sopravvenienze rispetto ad un pur positivo, ma più ridotto, incremento delle definizioni. Come nella materia civile ordinaria, l'aumento della pendenza è soprattutto da addebitarsi ai procedimenti di appello, dove si osserva un'impennata del 30%.

La durata media dei procedimenti civili dinanzi ai Tribunali Ordinari è di 23 mesi, un mese in meno rispetto all'anno precedente, ma il dato è subito compensato negativamente dalla Corte d'Appello, dove la durata media aumenta di un mese circa ed è pari a 22 mesi.

In materia penale la pendenza complessiva al 30 giugno 2005 per i processi nella fase del giudizio raggiunge i 26.163 fascicoli, con una crescita dell'8% rispetto al precedente anno giudiziario, come risultato dell'aumentato numero di nuove iscrizioni. Nei cinque anni, quest'aumento complessivo della pendenza appare dovuto ad una forte crescita dei procedimenti sopravvenuti (+32%), a fronte della quale la pur considerevole "rincorsa" delle definizioni (aumentate del 22%) si rivela sempre insufficiente. Dinanzi agli Uffici GIP/GUP sono pendenti altri 171.483 procedimenti e presso le Procure della Repubblica 315.665 fascicoli, per un totale complessivo per la materia penale di 513.311 affari, con un aumento del 12% in un anno.

Diversamente che nel civile, la pendenza del penale diminuisce, rispetto all'anno precedente, dell'8% in Corte d'Appello, mentre l'aumento riguarda il primo grado ed è del tutto fuori controllo presso gli Uffici del GIP: su questo punto tornerò tra breve. In notevole aumento è anche il numero dei procedimenti penali presso il Giudice di Pace, con una crescita del 23% al dibattimento e del 58% presso il GIP. Presso le Procure si osserva un incremento del 14% dei procedimenti sopravvenuti rispetto al precedente periodo, con una crescita del 4% della pendenza finale.

L'ovvia conseguenza è quella di un modesto peggioramento dei tempi medi di definizione dei processi penali in primo grado, mentre in Corte d'Appello la durata media resta invariata intorno ai 16 mesi.





La puntigliosa regolamentazione di questa rinnovata cerimonia inaugurale pone anche un limite di tempo alla mia relazione: ciò che forse non è un male perché impone che emergano solo i nodi fondamentali.

Il primo dei quali è costituito dalla gravissima carenza di personale amministrativo in tutti e ciascuno degli uffici del distretto. Su 2.281 unità costituenti la già insufficiente dotazione organica complessiva degli uffici giudicanti (a fronte di competenze aumentate, il decreto ministeriale dell'agosto 2002 ha ridotto, infatti, di oltre sessanta unità il precedente organico stabilito nel giugno 2000) sono in servizio soltanto 1.864 dipendenti, senza contare una significativa quota di rapporti di lavoro a tempo parziale, che dal canto loro determinano un'ulteriore riduzione della copertura pari a 62 unità. I posti complessivamente vacanti risultano dunque 490, con una scopertura complessiva media del distretto tra il 21% ed il 22%.

Al di là delle specifiche situazioni particolarmente drammatiche, ciò che conta sottolineare è che questa generalizzata carenza di personale, da tempo segnalata come "scandalosa", produce ormai dirette conseguenze negative sullo svolgimento dei processi, ritardando le prosecuzioni e gli adempimenti di quelli civili ed ostacolando la fissazione delle udienze penali presso gli uffici GIP/GUP e i Tribunali. Molti giudici, infatti, potrebbero fissare un maggior numero di udienze settimanali ovvero proseguirle al pomeriggio, ma ne sono impediti dalla mancanza di assistenza in udienza (nel Tribunale penale di Milano, ad esempio, su una media di 120 udienze settimanali solo 58 possono protrarsi oltre le 14,30, chè, se fosse altrimenti, potrebbero celebrarsi circa quattromila processi monocratici in più ogni anno). Ovvie ricadute sull'efficienza del sistema genera poi la cronica e gravissima carenza nel personale degli Ufficiali Giudiziari, tra i quali gli operatori B2, destinati alle notifiche, sono solo 46 su un organico di 97 (anche per effetto di numerosi "distacchi" e "comandi").

Se si vuole la paralisi, basta solo continuare così, lasciando che gli addetti alla giustizia, collocati in una "riserva" dotata di uscite ma priva di ingressi, progressivamente si estinguano.

Va poi aggiunto che le lacune e le incongruenze delle regole in tema di permessi e malattie determinano un numero assolutamente anomalo di assenze. Il dato è assolutamente rilevante, poiché se l'insieme delle assenze per malattie e permessi, pari complessivamente al 13,28% (62.298 giornate di assenza su 468.961 lavorabili), viene sommato al 21,39% delle vacanze di organico, si deve constatare che nel distretto la media della mancanza di personale sfiora il 35%, e ciò significa che ciascuna unità presente deve sopportare un carico di lavoro superiore di oltre la metà rispetto a quello previsto, con inevitabili disordini e confusioni di ruolo.

Né le minori risorse umane vengono sostituite con maggiori risorse economiche: anzi, mancano ormai i soldi perfino per le esigenze più elementari ed essenziali. Non voglio indulgere ad avvilenti esemplificazioni, ma, in questa sede pubblica e solenne, devo pur dare un'idea della drammaticità della situazione: senza aver mai nuotato nell'oro, per l'anno 2001 avevamo ricevuto per il fabbisogno complessivo delle spese d'ufficio dell'intero distretto una somma equivalente a circa 873.000 euro; ora, questa somma, senza neppur considerare la svalutazione monetaria, si è progressivamente ridotta (789.000 euro nel 2002; 642.000 nel 2003; 595.000 nel 2004) fino all'assegnazione di complessivi 412.755 euro nel 2005, meno della metà di quel che era già insufficiente quattro anni prima! E attendiamo con grande trepidazione, poiché intanto si sono già accumulati i debiti, lo stanziamento per il 2006. Speriamo che venga ascoltata, se non la nostra voce, almeno quella del Commissario del Consiglio d'Europa per i diritti umani, che un mese fa, nel suo rapporto al Comitato dei Ministri e all'Assemblea parlamentare, icasticamente riassumeva: "la giustizia italiana manca fondamentalmente di mezzi", raccomandando conclusivamente, tra l'altro, di "potenziare i mezzi finanziari ed umani a disposizione della giustizia".

Neppure la situazione logistica dei nostri uffici può dirsi ottimale (basta affacciarsi in una qualsiasi cancelleria… e dico solo "affacciarsi" perché in nessuna si può più circolare per le cataste di fascicoli che dal pavimento salgono a mirabili altezze). Mentre voglio dar atto dell'impegno profuso dai Ministeri delle Infrastrutture e della Giustizia nel restauro e nella messa in sicurezza di questo bellissimo palazzo, nonché della disponibilità del Comune di Milano, grazie alla quale abbiamo acquisito e stiamo acquisendo nuovi preziosi spazi in via San Barnaba, in via Zama, in via Ucelli di Nemi ed in via Pace (questi ultimi anche grazie alla disponibilità della Regione Lombardia), occorre però ormai entrare nell'ordine di idee per cui nessuna vera soluzione potrà raggiungersi se non attraverso il forte impegno delle Istituzioni ed il coinvolgimento dei privati per l'edificazione di una "cittadella giudiziaria" idoneamente localizzata e complessivamente pensata secondo le esigenze del terzo millennio.

Rispetto alle quali non rappresenta, invece, un problema strutturale quello degli organici della magistratura, il cui spropositato ed impraticabile incremento si sente spesso proporre come prima e più emotiva soluzione. Sempre che, ovviamente, i magistrati non vengano distolti dal loro lavoro con competenze amministrative non essenziali alla funzione. Tra i tanti, solo un esempio clamoroso: le concrete conseguenze di una normativa superata dai fatti vedono in questo preciso momento ben 124 magistrati del distretto coinvolti nelle Commissioni d'esame per avvocato. I nostri risalenti e ripetuti allarmi al Ministro della Giustizia ed al Consiglio Superiore non hanno finora ricevuto neppure un cenno d'attenzione.





Quanto al settore civile, la recente introduzione, con i dd. lgs. nn. 5/2003 e 30/2005, del processo c.d. "societario" non ha determinato e non poteva determinare una significativa svolta nell'andamento del contenzioso: l'applicazione di questo nuovo rito ha evidenziato infatti difficoltà di funzionamento soprattutto per i complessi meccanismi introduttivi (dai primissimi dati raccolti, in un incontro di studio che abbiamo tenuto nell'ottobre scorso, emerge che presso il Tribunale di Milano un procedimento su sei si è arenato sugli scogli della fase preparatoria), ma anche complicazioni e disfunzioni organizzative dovute alla collegialità della fase di trattazione, istruzione e decisione. E poiché il nuovo rito non ha neppure avuto ricadute positive in termini di durata, la sua estensione ad altre materie – addirittura rimessa, con il nuovo art. 70 ter disp. att. c.p.c., alla facoltà delle difese – risulta senz'altro sconsigliabile; tutti gli operatori avvertono, piuttosto, la necessità che le disfunzioni della giustizia civile vengano affrontate in primo luogo in termini di organizzazione e di mezzi, abbandonando la strada di un'esasperata moltiplicazione di riti e di regole (si è calcolato che sono almeno tredici i diversi riti civili oggi contemporaneamente vigenti).

Ed in quest'ottica, a legislazione invariata, alcune iniziative sono già state messe in pratica nel nostro distretto:
  • il Consiglio Giudiziario si è dotato, ormai da quattro anni, di una apposita "Commissione flussi", dedicata alla raccolta di dati attendibili per verificare la distribuzione dell'organico rispetto alla tipologia dei processi in entrata, in modo da poter compiere un'adeguata valutazione delle tabelle biennali di distribuzione dell'organico e delle cause; è motivo di compiacimento che questa nostra sperimentazione sia stata ora recepita a livello nazionale dal C.S.M. nella sua recentissima circolare sulla formazione delle tabelle organizzative per il prossimo biennio;
  • sono state poi particolarmente significative le iniziative (promosse sia dall'Ufficio dei referenti per la formazione decentrata dei magistrati, sia da altri organismi a partecipazione mista avvocati/magistrati, quali l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano, sia da questa stessa Presidenza) volte all'elaborazione di prassi processuali condivise e "acceleratorie" della durata dei processi, con riferimento non solo al processo civile ordinario, ma anche ai settori specifici delle esecuzioni immobiliari e dei fallimenti (ed anche qui le esperienze innovative, nate in particolare presso il Tribunale di Monza, sono state dapprima discusse e diffuse a tutto il distretto ed hanno poi trovato riconoscimento nelle riforme normative di settore emanate nel corso del 2005).





Vi è purtroppo da rilevare che il contenzioso del lavoro, il quale ha costituito in questo distretto, fino a tempi recenti, un modello positivo di ragionevole durata del processo, con il suo contenimento nell'anno per il primo grado ed in otto mesi per il secondo, è ulteriormente rotolato sulla china di quel progressivo allungamento, iniziato circa tre anni fa, fino a raddoppiare quasi i suoi tempi (a parte le "isole felici" di alcuni piccoli Tribunali).

Questa tendenza è innanzitutto determinata dal sensibile incremento delle controversie, al quale fa riscontro un organico decisamente inadeguato, per di più con ormai cronicizzate scoperture di posti. In un esame comparativo dei posti in organico per le sezioni lavoro, il distretto di Milano appare singolarmente ed incomprensibilmente sottodimensionato. In particolare (ma il rilievo può ripetersi anche per il Tribunale), per la Corte d'Appello di Milano, la sezione lavoro prevede un organico di 8 Consiglieri ed un Presidente, con un bacino d'utenza di oltre sei milioni di residenti, a fronte dei 21 Consiglieri e 4 Presidenti del distretto di Napoli, che ha un milione e mezzo di residenti in meno; ma, per restare in una realtà più vicina ed omogenea, la stessa Corte d'Appello di Torino ha in organico un consigliere in più di Milano, con due milioni di utenti in meno. E' vero che il numero degli abitanti non è un criterio esaustivo, dovendosi considerare anche l'indice di litigiosità locale; tuttavia tale sproporzione non può non denotare un'abnorme esiguità delle risorse per il distretto di Milano.

Un dato di interesse è il grande successo della fase pregiudiziale conciliativa di cui all'art. 410 c.p.c. presso gli uffici del Lavoro di Milano (4.111 conciliazioni nell'anno di riferimento, a fronte degli undicimila procedimenti sopravvenuti nel periodo al Tribunale), nonché di Varese e di Lodi. Il dato indica dunque un'effettiva potenzialità deflativa di tale istituto, ove il tentativo sia svolto da soggetti competenti e con modalità adeguate. E la conciliazione si dimostra non trascurabile modo di definizione dei procedimenti, anche in sede processuale, specialmente nei "grandi" Tribunali di Milano e di Monza; vi è anche un discreto numero di controversie che vengono conciliate nella fase d'appello ove, al rilevato aumento del carico delle pendenze, fa però appunto riscontro un adeguato incremento delle conciliazioni. Tutte le prassi processuali rivolte a risolvere in tal modo le liti, ove la loro natura lo consenta, vanno, come ancora dirò, senz'altro incoraggiate, anche se non espressamente previste dalla legge.

Quanto al tipo di contenzioso, comincia ad essere di un certo rilievo quello sul pubblico impiego, con andamenti molto differenziati nei diversi circondari del distretto in relazione alla presenza territoriale di enti pubblici.





Venendo al settore penale, faccio inevitabile rinvio, per un quadro della "realtà criminale" del distretto, alle relazioni dei Capi degli Uffici ed alle tabelle statistiche. Tra i tanti spunti di riflessione, richiamo l'attenzione soltanto sulla particolare difficoltà, nell'attuale momento storico, dei processi in corso (circa una dozzina) per reati di terrorismo di matrice islamica; sull'apparente diminuzione dei processi in tema di traffico di stupefacenti (ma non si può certo affermare che questo fenomeno criminale sia sradicato dal nostro territorio); sulla pressoché totale scomparsa dei sequestri di persona a scopo di estorsione; sul sempre elevato numero dei reati contro la Pubblica Amministrazione: ciò che rafforza il convincimento diffuso dell'inadeguatezza delle norme che dovrebbero, a monte, garantire efficienza, correttezza ed imparzialità nella attività della P.A. Aumentano costantemente i fatti di "piccola criminalità" commessi da imputati stranieri, soprattutto provenienti dal Nord Africa e dai Paesi dell'Est; la giustizia penale – qui sì! – sa mostrarsi rapida: addirittura il 75% degli imputati nei processi con giudizio direttissimo ha nazionalità diversa da quella italiana. Si confermano purtroppo numerosi i reati di violenza sessuale e di pedofilia, dove la risposta penale può ovviamente affrontare solo un aspetto, e forse neppure il principale, del fenomeno; un significativo rallentamento quantitativo dell'attività giudiziaria si riscontra, invece, in materia di reati societari e di bancarotta: l'ovvia constatazione è che soprattutto la nuova disciplina del falso in bilancio ha determinato in sostanza una radicale depenalizzazione della materia, in gravissima controtendenza logica rispetto al continuo emergere di fatti estremamente rilevanti di criminalità economica. Non fanno onore alla lombarda civiltà del lavoro i troppi procedimenti concernenti omicidi e lesioni personali colpose aggravati dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni: a questa recrudescente emergenza tutte le Istituzioni competenti devono dedicare la massima cura preventiva.

Né posso tralasciare di rilevare che alla data del 30 giugno 2005 il numero dei detenuti presenti negli Istituti penitenziari del distretto era di 2.517 imputati e di 4.340 definitivi, per un totale di 6.857 persone, ben un terzo in più della capienza regolamentare di 4.650. I dati rivelano vieppiù il loro significato se raffrontati a quelli dell'anno precedente, che segnalavano quattrocento detenuti in meno; e, se è positivo che diminuisca il numero dei detenuti imputati, è assolutamente allarmante che aumenti in percentuale ancora maggiore quello dei definitivi. Alle cui crescenti esigenze (di licenze, permessi, autorizzazioni, misure alternative, liberazioni anticipate) solo a stento il Tribunale e gli Uffici di Sorveglianza sono finora riusciti a far fronte, ma a prezzo di tempi di decisione inevitabilmente troppo lunghi. Ora, però, su questa tendenza si innesteranno gli effetti della legge nota come "ex-Cirielli" che, rendendo tra l'altro di fatto impossibile l'applicazione dei benefici nei confronti di larga parte dei detenuti, secondo le stesse previsioni ministeriali farà aumentare drasticamente la popolazione carceraria, senza che nulla – salvo l'astratta previsione di nuove carceri - sia stato predisposto per fronteggiare la nuova situazione. Contro questa legge gli Avvocati delle Camere penali italiane hanno appena messo in atto tre giorni di astensione dal lavoro, denunciandone l'impianto "regressivo ed autoritario", fondato su una concezione della pericolosità sociale "per tipo d'autore", che inibisce al giudice una concreta personalizzazione della pena e ne mortifica la funzione rieducativa; che esalta ancor più quel "doppio binario" che rende il nostro processo penale inesorabile con la piccola criminalità comune ed inefficace verso la criminalità economica.

Sotto il profilo processuale, è netto e comune a tutti i Tribunali del distretto l'incremento, rispetto al giudizio ordinario, dei giudizi abbreviati, via via divenuti – e conformemente alla logica del codice di rito – epilogo privilegiato dell'udienza preliminare. L'attuale disciplina, alla cui stregua l'imputato ha facoltà di subordinare il rito a richieste istruttorie ed il giudice può largamente sopperire a lacune delle indagini preliminari, grava così il GUP di attività sempre più lunghe ed articolate. E, però, l'organico dei magistrati degli uffici GIP/GUP si rivela allora inadeguato a fronteggiare quest'aumentato carico di lavoro: il dato complessivo di tutte le sezioni GIP del distretto è clamoroso e registra un aumento delle pendenze dei procedimenti contro imputati noti del 180,6%. Sono ovvie le ricadute negative sulla durata dei processi in tale fase, fino a quando non si ripenserà drasticamente la distribuzione dei magistrati e delle risorse. Peraltro, anche i processi in fase dibattimentale hanno registrato un aumento della pendenza complessiva del 10%; al loro interno può notarsi, in genere, un incremento del giudizio monocratico rispetto a quello collegiale.

La modifica apportata all'art. 151, 1° co., c.p.p.,consentendo la notificazione degli atti del p.m. da parte della polizia giudiziaria a soli limitati casi, provoca ritardi nel compimento degli altri atti del p.m. nonché un ulteriore aggravio per gli Ufficiali giudiziari, già particolarmente oberati di lavoro e già a Milano ridotti, come ho ricordato, circa alla metà dell'organico.

Situazione peggiorata dal contemporaneo trasferimento di alcuni adempimenti dalla polizia giudiziaria all'ufficio del p.m. in relazione ai procedimenti per reati di competenza dei giudici di pace, trasferimento che, a sua volta, provocherà sia ritardi nella definizione di tali procedimenti, sia un ulteriore aggravamento del problema delle carenze degli organici del personale amministrativo presso gli uffici di procura. A quanto precede si affiancano gli effetti negativi derivanti dal venir meno della possibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria di svolgere le funzioni del pubblico ministero nell'udienza dibattimentale dinanzi al tribunale ordinario e dinanzi al giudice di pace. In alcuni uffici requirenti, tutte queste limitazioni comporteranno – a seconda delle realtà locali - la drastica riduzione del numero di udienze dei giudici di pace e dell'udienze del giudice monocratico del tribunale (o, comunque, l'impossibilità di un loro aumento) ovvero, in alternativa, una ridotta capacità dei medesimi sostituti - a causa degli aumentati impegni di udienza – di far fronte alle esigenze connesse con le indagini preliminari.

Inoltre, il più marcato utilizzo in udienza dei vice procuratori onorari, degli studenti delle scuole forensi e degli eventuali ufficiali di p.g. in quiescenza produrrà prevedibili ragguardevoli aumenti delle spese di giustizia, apparendo evidente che a tutti costoro dovranno essere corrisposte adeguate indennità.





A proposito di costi, una speciale riflessione occorre poi fare sul patrocinio a spese dello Stato. Ferma restando, infatti, la giusta esigenza di garantire una difesa efficiente ai non abbienti, sono però sempre più gravi le crepe e gli inconvenienti generati dall'attuale sistema, in termini di aumento esponenziale dei costi e dell'impegno richiesto ai giudici penali in un'attività di liquidazione sostanzialmente amministrativa (e, comunque, per lo più formale, data l'incontrollabilità di fatto dei dati esposti in parcella). L'attenzione va richiamata, per un verso, sull'evidente inefficacia (e, comunque, tardività) delle procedure previste dagli artt. 96,98 d.P.R. 115/2002 per gli accertamenti sulle condizioni di ammissione al patrocinio, ammissione decisa, in fatto, sulla base di mere autocertificazioni. Per altro verso, le nuove tariffe forensi del 2004 – che hanno comportato un maggior dettaglio di voci ed un incremento delle spese forfetizzate – hanno ovviamente incrementato la spesa e dunque l'onere finanziario a carico dello Stato. Per dare un'idea dell'ordine di grandezze di cui si discorre, un'incompleta rilevazione degli ammontari pagati per le difese penali degli ammessi nel solo primo semestre 2005 (e soltanto dalla Corte d'appello, dal Tribunale di Milano, dal Tribunale di Sorveglianza e dall'Ufficio del Giudice di pace di Milano: il dato è dunque molto parziale) indica una somma complessiva superiore ai tre milioni e duecentomila euro. E comunque vanno segnalati: il rilevantissimo aumento del numero dei mandati di pagamento (passati, ad esempio, nel solo Tribunale di Milano, dai 1327 del secondo semestre 2004 ai 2158 del primo semestre 2005), il conseguente aggravio per gli uffici amministrativi addetti all'esecuzione di tali mandati, l'aumento (verosimilmente anch'esso da qui conseguente) delle stesse impugnazioni penali e, segnatamente, di quelle proposte contro sentenze contumaciali di condanna da parte di difensori d'ufficio di imputati resisi irreperibili (dopo che, a seguito della modifica dell'art. 571, co. 3°, c.p.p., non vi è più la necessità di una procura speciale a tal fine). L'equiparazione tra l'irreperibilità dichiarata d'ufficio e l'irreperibilità di fatto (riferibile all'elevato numero di imputati extracomunitari senza fissa dimora nello Stato) rende evidentemente ancor più incisivo questo rilievo. Non è tanto, insomma, l'impegno economico che preoccupa, quanto l'aggravio che il sistema in concreto determina per le strutture giudiziarie e per lo stesso processo.





Nel campo della giustizia minorile, mentre il settore civile è sempre in sofferenza quanto a pendenze, pur non segnalandosi variazioni nella durata media dei processi, sembra in leggera diminuzione il numero dei reati contro il patrimonio, alla cui commissione i minori extracomunitari, spesso in una situazione di solitudine caratteristica della clandestinità, appaiono per lo più indotti dagli adulti che ne intascano il profitto. Rapine e furti da parte dei minori italiani riguardano invece specifiche "cose" rese (e non da loro) oggetto di desiderio: ed è sconcertante che queste "acquisizioni" (forse di "status symbols") avvengano sempre più spesso con un contorno di sproporzionata violenza, in qualche caso anche con rischio della vita delle vittime.

La struttura dei servizi sociali sul territorio, e, più in generale, le politiche socio-assistenziali propongono gravi problemi di funzionalità ed esigono un ripensamento da parte degli Enti locali. Le ristrettezze di bilancio qui non possono condurre ad abbandoni od abdicazioni, soprattutto per quanto riguarda la preventiva percezione dei disagi: occorre dunque un comune sforzo propositivo per individuare, pur nelle contingenti difficoltà economiche, irrinunciabili priorità ed eventuali modalità innovative.





Va ancora segnalato, come dato globalmente significativo, il crescente carico di lavoro – e quindi la crescente rilevanza sull'intera amministrazione della giustizia – dell'ufficio del Giudice di Pace, esito anche dell'aumento delle competenze ad esso assegnate: è consolante rilevare la davvero minima percentuale di impugnazioni avverso le sentenze dei Giudici di Pace, segno della diffusa accettazione di questa giurisdizione ed anche, evidentemente, della sua buona qualità complessiva.





Un altro dato (fin qui) positivo viene dal progresso nella informatizzazione dei servizi, grazie alla disponibilità di tutto il personale del Coordinamento Interdistrettuale per i Sistemi Informativi Automatizzati, sotto l'impulso dei due magistrati referenti distrettuali. Da loro è venuta l'elaborazione di soluzioni innovative, quali la procedura RG Find, che di fatto realizza l'archivio digitale dei provvedimenti previsto dall'art. 15 del DM 264 del 2000. Questa procedura, implementata con la collaborazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, oltre a varie utilità interne nella gestione dei provvedimenti in formato elettronico, consente agli avvocati di avere l'immediata disponibilità via Internet delle sentenze non appena pubblicate, con un notevole risparmio delle attività di cancelleria. L'attività diretta al più efficiente utilizzo dei programmi informatici unificati proposti in sede ministeriale ha portato all'ideazione di modalità semplificate di accesso al sistema Polis Web, che gestisce le banche dati SICC (Sistema Informativo del Contenzioso Civile), SIL (per il Contenzioso del Lavoro) e SVG (per i procedimenti di Volontaria Giurisdizione). Anche in questo campo, ricordo volentieri la determinante collaborazione venuta dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano per il caricamento dei dati arretrati nel SICC.

Notevole è stata anche l'attività propulsiva nell'ambito dell'alfabetizzazione informatica dei magistrati e del personale amministrativo e della formazione alle tematiche della sicurezza. Voglio poi segnalare l'ideazione del "sito web" della Corte d'Appello di Milano, che sta per entrare in funzione nella sua struttura di base, che metterà a disposizione informazioni per il pubblico e che in prospettiva sarà in grado di fornire anche utili servizi (quali la prenotazione di certificati), nonché diverse possibilità di interazione per magistrati, personale amministrativo ed avvocati, previo rilascio di strumenti di autenticazione per l'accesso.

Purtroppo, accanto a questi positivi fermenti, si profilano ora vari ostacoli e minacce incombenti, perché la spesa informatica è stata già ridotta e se ne prospetta un'ulteriore riduzione. Intanto quel che già il Ministero intende ridurre è il personale esterno di assistenza tecnica, che da 92 unità dovrebbe diminuire ad una ventina. E peraltro l'attuale gestione delle risorse, con l'amplissimo superamento della soglia di utilizzo dei beni informatici di tre anni (ritenuta comunemente il ragionevole limite d'uso di una risorsa hardware prima della sua sostituzione) si sta rivelando alla lunga antieconomica. Avviene così che, scaduti i contratti di garanzia, in caso di guasti non è più possibile usare la risorsa, se non con specifici e costosi interventi tecnici e con antieconomiche sostituzioni di pezzi (quando siano ancora reperibili sul mercato).

Un altro intralcio è la riduzione delle utenze di inter-operabilità (cioè, dei servizi di posta elettronica ed Internet), prospettata dal Ministero della giustizia con una circolare dell'agosto scorso, in piena contraddizione con le direttive generali, ed anche dello stesso Ministero, che raccomandano l'uso più intensivo della posta elettronica e delle tecnologie informatiche nelle comunicazioni tra le articolazioni della Pubblica Amministrazione ed in contraddizione anche con le prospettive di riforma del processo civile, che suggeriscono l'ordinaria comunicazione dei provvedimenti in via telematica. Sarebbe dannosa miopia troncare questi processi di necessaria modernizzazione: l'auspicio è che anzi questo distretto milanese possa essere presto all'avanguardia nell'attuazione del cd. "processo civile telematico", per ora in fase di sperimentazione solo in alcune sedi "pilota". Polis Web ne costituisce, infatti, già una prima anticipazione di funzioni.





Il quadro finora tracciato dipinge le gravi carenze delle nostre strutture giudiziarie ed i possibili rimedi da un punto di vista per così dire "interno", quasi burocratico; ma uno scenario propositivo che voglia davvero incidere sull'attuale livello dei problemi richiede un approccio più ampio. Se anche, infatti, per miracolo si colmassero i vuoti degli organici amministrativi e si fornissero mezzi adeguati per il funzionamento degli uffici, non ne deriverebbe per ciò solo un recupero strutturale di efficienza nella gestione dei processi e sulla loro durata. Esiste un accordo generale sul fatto che la durata delle cause, civili e penali, è eccessiva, e l'esigenza di intervenire in questa materia appare quanto mai attuale non solo per le ripetute condanne riportate dall'Italia proprio per questo motivo dinanzi alla Commissione Europea dei diritti dell'uomo e poi dinanzi alla Corte, ma anche a seguito della modifica costituzionale dell'articolo 111, che fin dal 1999 ha inserito il principio della "ragionevole durata" del processo tra quelli garantiti sul piano costituzionale e che, pertanto, oggi pone severamente in mora il legislatore e tutti noi operatori.

La struttura amministrativa della giustizia, che ricalca sostanzialmente quella del primo novecento, è infatti funzionalmente indirizzata, anche in astratto, al contenimento della ricaduta burocratico-finanziaria dei processi, ma non ad una loro efficiente gestione. L'organizzazione della giustizia nei suoi aspetti più concreti di "macchina giudiziaria" è stata largamente trascurata nel nostro Paese, dove ci si dedica piuttosto, quasi sempre, alle modifiche procedurali, solo indirettamente ed occasionalmente utilizzabili, proprio per la loro natura, come strumento per affrontare problemi di efficienza del processo. Anzi, purtroppo, una costante di tutte le riforme civili e penali degli ultimi anni è stata la totale indifferenza del legislatore per l'impatto delle modifiche introdotte sul funzionamento della macchina giudiziaria.

Si può dire, senza timore di esagerare, non solo che, nel senso appena chiarito, la giustizia italiana non è organizzata, ma che non c'è mai stata, fino a tempi recenti, e solo in una minoranza di casi, neppure l'idea che lo debba essere, e neppure tra i magistrati e gli avvocati, salvo rare eccezioni. Nei nostri Tribunali il giudice si sente talvolta quasi "ospite" di una struttura che fa "altre cose", una struttura che è stata efficacemente definita come "condominiale", nella quale i vari "condòmini" non comunicano tra loro ed anzi qualche volta litigano, come in tutti i condomìni.

La gestione degli uffici in quanto strettamente finalizzati allo svolgimento dell'attività giudiziaria e la "gestione dei processi", intesa come individuazione di criteri di programmazione, generale ed individualizzata, delle cause, hanno cominciato a divenire oggetto di esame solo da poco tempo e con modalità prevalentemente volontaristiche. Lo strumento istituzionale utilizzabile per la programmazione dei processi è, del resto, pressoché unicamente quello delle tabelle organizzative, come regolamentate in dettaglio dal C.S.M.; meccanismo che ha però un'efficacia limitata sia dalla macchinosità della procedura applicativa, sia dalla durata biennale eccessivamente breve.

Per cercare di affrontare il problema in modo corretto, e coerente con gli obbiettivi che ci si vuole proporre, è necessario invece dare vita ad un progetto organico, che si inserisca, sul piano dell'impostazione, nelle linee di tendenza espresse dai più recenti interventi legislativi stranieri (si vedano, ad esempio, i documenti programmatici "civiljustice 2000" e "modernising civil courts" elaborati nel Regno Unito). Il concetto fondamentale alla base di queste riforme è quello di passare da un sistema tradizionale imperniato sul processo quale strumento unico ed indifferenziato di risoluzione della conflittualità ad un sistema integrato di giustizia: non si può infatti prescindere dalla complessiva organizzazione del sistema-giustizia, e dal ruolo parziale che in tale àmbito si assegna al processo, in una visione del sistema degli strumenti di giustizia che, appunto, non coincide con i soli strumenti giurisdizionali.

Il modello deve prevedere un attivo e tempestivo coinvolgimento del giudice nella causa, per assumere il controllo dei suoi tempi e per giungere, insieme alle parti ed ai loro avvocati, ad una rapida e completa individuazione dei punti in discussione e dello schema di procedimento più appropriato, sulla base di una programmazione individualizzata e flessibile. E non deve mai perdersi di vista lo scopo di questa gestione, cioè l'obbiettivo di realizzare la più rapida ed economica definizione possibile della specifica controversia.

Il sistema giudiziario, che oggi subisce passivamente l'impatto del contenzioso, deve dunque riuscire a riprenderne il controllo, a partire da un monitoraggio continuo. Il nostro sistema, in effetti, attribuisce al giudice, almeno sul piano normativo astratto, il pieno controllo del processo, ma non ne prevede, al suo inizio, una programmazione complessiva: richiede, bensì, al giudice di depositare la motivazione della sua decisione entro una certa scadenza, ma non si cura di quanti anni è durato il processo. L'idea stessa di una gestione complessiva è assente, in quanto tale, nel nostro sistema.

Nell'àmbito di un programma organico, con obbiettivi di medio-lungo periodo, sono tuttavia possibili immediate e coerenti anticipazioni: per rendere più efficiente il lavoro quotidiano del giudice, si dovrebbe dedicare una speciale attenzione all'introduzione di figure professionali attualmente assenti in Italia e che costituirebbero un elemento di grande importanza in termini di recupero di efficienza, sia in senso quantitativo sia, soprattutto, in senso qualitativo; e mi riferisco alla figura dell'assistente legale del giudice, in qualche modo rapportabile ai Law Clerks americani o ai Judicial Assistants inglesi, oltre che a figure professionali collegate alla stessa gestione dell'attività processuale di udienza. Si tratta, in effetti, della pratica realizzazione di quell'ufficio del Giudice, o "per il processo", del quale si parla da molti anni, da ultimo raccomandato anche nel citato rapporto del Commissario del Consiglio d'Europa, e che prevede di introdurre una struttura di personale che assista il lavoro quotidiano del magistrato. E' molto positivo che sul tema anche parte dell'avvocatura si sia pronunciata favorevolmente. La presenza di collaboratori del giudice specificamente destinati allo studio, alla programmazione ed alla stessa gestione dei processi potrebbe avere sulla produttività e sui tempi del sistema effetti assai più rilevanti dello stesso incremento d'organico della magistratura.

L'uso della tecnologia informatica, poi, potrebbe modificare radicalmente la stessa gestione della singola udienza, dal punto di vista della verbalizzazione e dell'immediata ed automatica registrazione degli adempimenti di cancelleria. La stessa tecnologia potrebbe assistere il giudice nella redazione dei provvedimenti, mettendo a disposizione "on line" il fascicolo elettronico del processo, la cui realizzazione avrebbe effetti molto positivi anche per il lavoro delle cancellerie e per l'attività difensiva. Sono prospettive che sembrano avveniristiche, ma che sono invece molto più vicine di quanto non si pensi, se non già in parte realizzate in Paesi da noi non lontani.





Sul versante degli strumenti di risoluzione alternativi alla decisione giudiziaria, poi, è necessaria, nella prospettiva dell'approvazione della direttiva europea in materia, che prevede la scadenza del settembre 2007 per adempiere alle sue previsioni, anche una regolamentazione del rapporto tra processo e conciliazione extragiudiziaria, quella che lo stesso progetto di direttiva chiama "mediazione" e che è già oggetto di previsione in materia di processo societario. Non è casuale, in effetti, che già si siano sviluppati, in alcune sedi giudiziarie, protocolli di gestione di tali rapporti, pur in assenza di norme cogenti, per iniziativa di singoli uffici giudiziari ed organismi di conciliazione; e questo crescere della cultura conciliativa, e delle connesse attività di formazione, comporta anche la crescita del numero degli organismi, anche privati, che, accanto a quello istituzionale rappresentato dalle Camere di Commercio, forniscano tale servizio.

Ciò non significa affatto svalutare il diverso strumento del tentativo di conciliazione giudiziale, che opera nel solco di una tradizione plurisecolare e che, anzi, si può utilmente integrare con la mediazione extragiudiziaria. Sulla cui possibilità ed utilità occorre un'opera preventiva d'informazione verso gli utenti e servono poi forme di regolamentazione, unilaterale o plurilaterale, che permettano al giudice, in condizioni di assoluta imparzialità e trasparenza, di indirizzare fin da subito le parti verso l'organismo più indicato. Si può anche pensare, sull'esempio del modello francese, ad un servizio di conciliazione delegata che operi all'interno degli stessi uffici giudiziari.

A questo proposito desidero segnalare l'iniziativa di questa Corte che – oltre a sollecitare con specifiche indicazioni tutti i magistrati a dar concreta attuazione ai compiti conciliativi endoprocessuali – ha coinvolto la Camera di Commercio, l'Ordine degli Avvocati, quello dei Dottori Commercialisti ed il Comitato Unitario delle Professioni di Milano in un gruppo di studio misto che sta alacremente lavorando per promuovere, anche con la predisposizione degli opportuni protocolli e la previsione di facili accessi, il miglior utilizzo della conciliazione e mediazione extra giudiziarie.

Non c'è dubbio che occorrerà poi anche un forte impegno del Parlamento e del Governo, ed un incremento delle risorse, anche finanziarie, destinate alla giustizia; tuttavia, la magistratura e l'avvocatura italiane possono fin d'ora contribuire in modo assolutamente determinante a questo processo riformatore, attraverso la costituzione, nel solco di quanto già sorto spontaneamente, di gruppi di lavoro su base locale.

L'elaborazione di linee guida e di indicazioni normative nazionali è, infatti, perfettamente compatibile con lo sviluppo diffuso di prassi virtuose, con l'adozione, da parte di singoli uffici, di specifici modelli organizzativi adatti alle rispettive esigenze, con una forte auto-responsabilizzazione – soprattutto - rispetto ai risultati da raggiungere, primo fra tutti la definizione di standards di durata massima totale, e per le singole fasi dei processi. Deve essere chiaro che, senza fissare, in modo realistico, un obbiettivo da raggiungere in termini di durata, non ci sarà mai, se non del tutto accidentalmente, una riduzione della durata dei processi: si può pensare alla predisposizione – d'intesa con gli avvocati e con le altre categorie professionali - di veri e propri programmi di lavoro annuale o pluriennale, con obbiettivi a breve, medio e lungo termine, che coinvolgano tutti i magistrati ed il personale operante nell'ufficio ed individuino anche standards di rendimento complessivi, e non collegati, certamente, al solo numero delle sentenze emesse.

Nella prospettiva che si è cercato di illustrare, un segnale importante è stato dato recentemente, nel distretto di Milano, dal locale Osservatorio sulla giustizia civile, aggregazione spontanea di avvocati, magistrati e personale di cancelleria, attiva fin dai primi anni '90; nello scorso semestre, l'Osservatorio, attraverso una serie di riunioni di tutte le sue varie componenti, ciascuna delle quali ha portato il proprio significativo punto di vista, ha elaborato una proposta di Protocollo per i processi civili, volta ad individuare e valorizzare, in via di condivisione da parte di tutti gli operatori, sia norme di comportamento, talora già direttamente codificate, utili ad una maggior celerità e razionalità del contraddittorio, sia prassi organizzative, relative anche all'utilizzo di strumenti informatici, idonee ad una più efficace gestione del processo.

La proposta di Protocollo è stata pensata come contributo di un "gruppo promotore" aperto a tutti i suggerimenti degli interessati: perciò nel mese di dicembre scorso è stata inviata dal Consiglio dell'Ordine di Milano a tutti gli avvocati iscritti alla propria mailing-list ed è stata esaminata dai responsabili delle varie cancellerie del Tribunale e della Corte, mentre il 18 gennaio è stata presentata ai magistrati del settore civile, in una riunione appositamente convocata da questa Presidenza, in modo da raccogliere ogni ulteriore contributo prima della sua presentazione pubblica, fissata per l'8 febbraio prossimo in questa stessa Aula Magna. In questa sede non è possibile esaminare tutti gli aspetti della proposta, ma preme sottolineare come le regole in essa delineate mirino a favorire, per un verso, la fluidità del contraddittorio e degli adempimenti informatici e di cancelleria - anche con rilevanti indicazioni di reciproca cortesia -, per altro verso una trattazione effettivamente concentrata della singola causa e della relativa istruttoria, in particolare attraverso la fissazione di ruoli di udienza adeguati e la preliminare previsione di un definito calendario delle udienze.

La proposta, ancora, pur negli ovvi limiti della sua natura di Protocollo condiviso, si occupa anche della "durata media della trattazione", posta in relazione alla distribuzione dell'organico ed ai criteri di assegnazione degli affari, auspicando in particolare che all'inizio di ciascun anno "ogni giudice comunichi al Presidente della Sezione i tempi medi di rinvio prevedibili per ciascun incombente", e che si adottino poi provvedimenti opportuni nel caso di rilevanti discrepanze temporali da giudice a giudice: si tratta dunque di una previsione (anzi, di un auspicio) il cui contenuto organizzativo, ove effettivamente condiviso, potrebbe innescare non solo una sistematica verifica da parte di ciascun magistrato sui tempi di gestione del proprio ruolo (determinando così una tendenziale "prevedibilità" dei tempi di durata del singolo processo, di per sé utile a tutti gli utenti del servizio giustizia), ma anche una più ampia riflessione sugli "obiettivi temporali di durata dei processi di cognizione" richiesti dall'ultima circolare del CSM in materia.

Sono "piccoli passi", ma lungo una strada, quella del concreto confronto tra operatori della giustizia e del loro comune impegno, che può infine condurre ad avvicinare il processo civile alle effettive esigenze di tutela dei cittadini. Occorre che la giustizia civile italiana riparta dopo anni di rassegnata sfiducia, con iniziative che possano immettere un po' di ottimismo, se non proprio di entusiasmo, in coloro che vi dedicano pur sempre la maggior parte della propria giornata e soprattutto nei cittadini, che possano sperimentare in concreto i primi segni di un cambiamento per il quale i tempi sono ormai maturi.

Poiché è purtroppo vero che la fiducia dei cittadini nella giustizia e nei confronti dei magistrati è oggi appannata, ed anche per colpe a noi addebitabili. E però non dobbiamo mai smettere di progettare: voglio farvi notare che in nessuna delle relazioni dei Capi degli uffici, pur quando elenchino drammatiche difficoltà, si legge mai una parola di sconforto o di rinuncia. Dobbiamo investire nel possibile obbiettivo di un processo equo e funzionale e di magistrati professionalmente adeguati, che sappiano rapportarsi al nuovo che emerge.

E - per indicare appena un'ultima prospettiva - basti pensare a quale sfida la scienza e le applicazioni scientifiche in campo biologico rappresentino anche per il diritto e per le corti.

E la genetica in particolare. Essa non è soltanto un nuovo capitolo, che si aggiunge all'insieme delle conoscenze consolidate, ma costituisce, appunto, una prospettiva che coinvolge tutti gli aspetti del sapere, della vita associata e, quindi, anche del diritto. Ne sono coinvolte le relazioni familiari, così come il modo di rendere giustizia, in campo sia civile che penale. La prospettiva della genetica impone di riconsiderare i limiti entro i quali può essere giustificata un'ingerenza pubblica nella sfera individuale. Si pensi, per esempio, all'istituzione e regolamentazione giuridica di una banca dati del DNA a fini di investigazioni criminali, sul quale vi è un grave ritardo legislativo (come dimostra la mancata partecipazione dell'Italia alla Convenzione di Prum del 27-5-2005 tra altri Paesi europei), ovvero al più ampio tema delle banche di materiale biologico (le "bio-banche") a fini di ricerca scientifica, che merita grande attenzione per le implicazioni sui diritti fondamentali delle persone. Alla fine, la genetica coinvolge la base di tutte le relazioni giuridiche, e cioè il concetto di individuo, che è messo in discussione e richiede nuove definizioni.

A fronte di tutto ciò, i magistrati non possiedono una preparazione specifica, hanno una limitata capacità di confrontarsi con i problemi proposti da periti e consulenti tecnici, devono forse ancora superare antiche diffidenze idealistiche. O, per altro verso, rischiano di rimanere ingenuamente affascinati dalle novità scientifiche, oscillando così da un atteggiamento di rifiuto acritico a uno di adesione, altrettanto acritica.

Diritto e scienza non sono due blocchi compatti e reciprocamente non permeabili. Ci tocca il compito difficile, ma di straordinario interesse, di acquisire una maggiore consapevolezza della natura e dei presupposti sia dell'argomentazione giuridica sia del ragionamento scientifico. In altre parole, le corti hanno bisogno di acquisire tanto la migliore informazione scientifica disponibile quanto la capacità di farne un uso corretto.

Proprio nel distretto della Corte d'appello di Milano il Consiglio Superiore della Magistratura ha organizzato negli ultimi anni, in collaborazione con l'Università degli Studi di Pavia ed il Collegio Ghislieri, alcune iniziative di formazione che si collocano all'avanguardia a livello italiano ed europeo. Ricordo tra le altre il seminario internazionale Hot genetic issues and the Courts del settembre scorso, al quale hanno partecipato magistrati provenienti da quindici paesi europei, che hanno avuto la possibilità di entrare in un laboratorio biologico, di toccare con mano l'ambiente e le modalità della ricerca scientifica e di meglio misurare, così, sia le loro attese eccessive che le diffidenze ingiustificate.

E' in quest'irrinunciabile contesto europeo, in questa personale e collettiva assunzione di responsabilità per il servizio che prestiamo, in questo impegno di formazione permanente ed in questa apertura verso tutti i saperi e le attese della società che, nonostante tutto, ci ostiniamo a collocare il futuro.

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