Attività giudiziali, definizione, praticante avvocato non abilitato

Cassazione civile, sez. II, sentenza 19/02/2007 n° 3740

Attività giudiziali – definizione – praticante avvocato non abilitato – attività giudiziale – conseguenze [artt. 1418-2231 c.c.]

Sono da considerarsi prestazioni giudiziali anche quelle che si svolgono al di fuori del processo, purché strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio, cosicché possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad esse complementari; ne segue che tale attività svolta da un praticante non abilitato, che abbia ricevuto mandato, è affetta da nullità, ex art. 1418 c.c..

(Fonte: Altalex Massimario. Cfr. nota di Sabrina Pane e nota su Altalex Mese)

Cassazione Civile | Febbraio 2007

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 20 giugno 2006-19 febbraio 2007, n. 3740

(Presidente Pontorieri – Relatore De Julio)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15.7.1997 l’avv. S. L. conveniva in giudizio innanzi al GdP di Rimini la società S. Srl (già S. Sas di C. B. & C.), chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di lire 4.005.540 o di altra ritenuta equa, a titolo di compenso per l’opera professionale da lui prestata in relazione alla lite giudiziaria intrapresa dalla medesima società S. nei confronti della società D. P. Spa avanti al Tribunale di Como in opposizione a decreto ingiuntivo; esponeva l’attore che fra le parti era stato concordemente pattuito che l’attore, all’epoca solo praticante procuratore legale, avrebbe comunque studiato la causa e redatto tutti gli atti relativi nell’interesse della società opponente, mentre il legale rappresentante della società avrebbe dovuto conferire il mandato ad litem a un avvocato abilitato del foro di Como.

Si costituiva alla prima udienza la società S. Srl, assumendo di nulla dovere per l’attività giudiziale svolta dal dott. L. nell’ambito della causa intrapresa avanti al Tribunale di Como, per il periodo intercorrente dall’aprile del 1989 (periodo di notifica della citazione) al 20 novembre 1990 (data di iscrizione dell’avv. L. all’albo dei legali) e ciò sulla base del disposto dell’articolo 2231 c.c. che nega al professionista, che non sia iscritto all’apposito albo, azione per il pagamento della retribuzione; precisava inoltre la società convenuta di avere comunque provveduto al pagamento del compenso spettante all’attore mediante versamento, tramite assegni bancari, della somma complessiva di lire 2.960.000, somma da imputarsi all’attività professionale svolta dal dott. L. nel periodo successivo alla sua iscrizione all’albo dei procuratori legali. In via subordinata la società convenuta avanzava domanda di del contratto di prestazione d’opera professionale concluso fra le parti, essendo il rappresentante legale della società incorso in un errore essenziale sulla qualifica professionale della controparte, all’epoca solo dottore in legge, iscritto all’albo dei praticanti procuratori, abilitato esclusivamente al patrocinio innanzi al Giudice conciliatore ed al Pretore; infine la società convenuta proponeva domanda riconvenzionale di accertamento dell’esatta imputazione delle somme gia versate dalla S. alla controparte con eventuale condanna di quest’ultima alla restituzione di quanto indebitamente percepito.

Svolto l’interrogatorio libero del legale rappresentante della società convenuta, C. B., la causa veniva istruita mediante interrogatorio formale dell’avv. L. ed escussione dei testi Avv. M. B., del foro di Como, G. B. ed E. R..

Il GdP di Rimini con sentenza del 28.10.1999 accoglieva parzialmente sia la domanda attorea, sia quella riconvenzionale di controparte: qualificati, infatti, inesistenti, ai sensi dell’articolo 2231 c.c.. gli atti compiuti dal dott. L. nel periodo anteriore alla sua iscrizione all’albo dei procuratori legali, condannava l’attore alla restituzione di quanto indebitamente percepito, valutato nella somma complessiva di lire 1.160.000, e, nello stesso tempo, condannava la società S. S.r.l. a corrispondere la somma di lire 1.160.000 quale compenso per l’attività residua svolta dal dott. L. dopo la data del 20.11.1990, con compensazione tra le parti delle reciproche obbligazioni, aventi medesimo importo, nonché compensazione delle spese legali.

Avverso tale decisione proponeva appello l’Avv. L. con atto di citazione notificato il 13.10.2000, col quale lamentava l’erronea interpretazione effettuata dal Giudice di primo grado dell’articolo 2231 c.c., da cui era derivata una errata applicazione nei suoi confronti della sanzione civile ivi prevista. Ribadiva infatti l’appellante di non avere mai assunto la rappresentanza legale della società S. in giudizio e, pertanto, di non avere mai violato gli obblighi imposti dalla legge professionale forense, ma di essersi limitato allo studio delle questioni controverse ed alla redazione delle minute degli atti di causa, attività per la quale non è necessaria l’iscrizione ad alcun albo ed in forza della quale trovava giustificazione l’obbligo alla corresponsione di un adeguato compenso, come pattuito.

Costituitasi la società S. Srl mediante deposito di comparsa in cancelleria, resisteva alle pretese dì controparte in base ad argomentazioni già esposte in primo grado e proponeva appello incidentale al fine di ottenere la restituzione delle somme ritenute indebitamente versate.

Con sentenza in data 16.2.2002 il Giudice Unico del Tribunale di Rimini riformava l’impugnata sentenza e condannava la società S. Srl, già S. Sas di C. B. & C., al pagamento a favore dell’avv. Stefano L. della somma di L. 2.015.000, pari ad Euro 1.040,66; rigettava la domanda riconvenzionale proposta con l’appello incidentale, dalla S. Srl.

Avverso tale sentenza la S. Srl ha proposto ricorso per Cassazìone affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso l’avv. S. L..

Motivi della decisione

Con l’unico motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 82 c.p.c., 2231, 1418 e 1193 c.c., articolo 1 Rdl 1578/33 convertito in legge 36/1946, articolo 348 c.p., nonché dei principi afferenti la riserva esclusiva dell’attività difensiva giudiziale a favore degli avvocati, in riferimento all’articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c., nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, perché il rapporto professionale intercorso tra la società S. e l’avv. L. è nato e si è sviluppato in palese ed inequivocabile violazione di tutte le norme che regolano la professione forense.

Deduce la ricorrente che erroneamente il Tribunale ritiene che in tutti i casi di mancata iscrizione nell’albo professionale l’esercente l’attività forense abbia in ogni caso diritto al rimborso delle spese e ad un adeguato compenso; e, distinguendo tra attività giudiziale e stragiudiziale, considera solo la prima riservata agli iscritti all’albo.

Si duole la ricorrente che il Tribunale, pur avendo escluso che l’attività svolta dal L. a favore della S. “non può essere considerata attività stragiudiziale in senso stretto” tuttavia “.. le modalità con cui il dott. L. svolse tale attività giudiziale non furono mai tali da ledere l’interesse pubblico tutelato dalle norme sopra citate, e cioè l’interesse dello Stato a che specifiche prestazioni professionali vengano rese esclusivamente da soggetti adeguatamente qualificati” (cfr. sent. a pag. 6).

Deduce ancora la ricorrente che le attività consistenti nel decidere di apporre un decreto ingiuntivo, l’individuare le ragioni da porsi a base di una opposizione, il redigere l’atto di citazione (le attività per cui il L. chiede il pagamento) sono l’essenza dell’attività difensiva civile in quanto attività svolta anche alla collaborazione con il Giudice nel processo, e come tali sono riservate agli iscritti negli albi forensi; che, se si ritenesse altrimenti, e cioè la redazione di un atto di citazione non sia attività difensiva, non si capirebbe quali possano essere le attività riservate agli avvocati, se non, forse, la redazione dei verbali di udienza.

Il motivo è fondato e va accolto.

È giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cassazione sentenze 5566/01 e 8286/99 che ai fini dell’applicazione delle disposizioni della legge professionale forense 1794/42, sono da considerarsi prestazioni giudiziali non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgano al di fuori del processo, purché strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio, cosicché possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad esse complementari.

Rientra, ad esempio, fra le prestazioni giudiziali l’attività svolta dal difensore di una parte in giudizio per la conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la transazione stessa abbia luogo non sotto forma di conciliazione davanti al Giudice, ma mediante negozio extraprocessuale, quale che sia la sua rilevanza economica (cfr. in senso conforme Cassazione, Sezione seconda, 7275/91 e 2471/99).

Alla stregua di detti principi deve pertanto ritenersi che tutta l’attività professionale svolta da L. S. prima del 20 novembre 1990 data della sua iscrizione all’albo dei procuratori legali, quando egli non era abilitato al tirocinio davanti ai Tribunali, perché non ancora procuratore legale, a favore della società S. sia affetta da insanabile nullità sin dalla sua genesi e che nessuna somma L. poteva pretendere con riferimento alle attività professionali da lui svolte e per le quali ha chiesto il compenso nel presente giudizio.

Detta nullità discende dall’applicazione dell’articolo 1418, 10 comma, c.c., che disciplina i casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagna una previsione espressa di nullità. Pertanto è affetto di nullità assoluta ed insanabile il contratto di patrocinio stipulato in contrasto con l’articolo 2231 c.c. da una persona non iscritta nell’albo forense, e quindi abusivamente, atteso l’interesse dell’ordinamento a rimuovere detto contratto contrario all’ordinamento professionale (cfr., in senso conforme, Cassazione sentenza 3272/01).

Accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata; e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, decidendo nel merito, rigetta la domanda di L. S..

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito rigetta la domanda, compensando le spese dell’intero giudizio.

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