Crisi d'impresa

L’imprenditore agricolo non fallisce

Tribunale, Rovigo, decreto 20/09/2016

Anche alla luce della nuova normativa che ha modificato l’art. 2135 c.c., l’imprenditore agricolo non è assoggettabile all’imprenditore commerciale.


Tanto è stato ribadito dal Tribunale di Rovigo – sez. fallimentare – con la sentenza del 20 settembre scorso, che rigetta il ricorso per promuovere la dichiarazione di fallimento, proposta da una Cassa di risparmio nei confronti di una società agricola nella supposizione che essa svolgesse prevalentemente un’attività commerciale (in tal senso vedi anche Trib. Rovigo, decreto 20/11/2014).

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La nostra analisi deve necessariamente partire dal dato normativo, richiamato anche dalla sentenza in commento.

All’art. 1 del R.D. del 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. Legge Fallimentare) si statuisce che “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”, escludendo così gli imprenditori agricoli.

Col tempo la nozione di imprenditore agricolo si è ampliata ed in particolare l’art. 1 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 ha riscritto l’art. 2135 c.c. il quale contiene la definizione di imprenditore agricolo. Tale nozione è stata notevolmente ampliata ed ha assottigliato il confine tra le categorie di imprenditore agricolo ed imprenditore commerciale.

Pertanto il collegamento con la terra ed i rischi connessi all’attività agricola derivanti dalle stagioni, non sono più criteri qualificanti, ma entrano in gioco il collegamento con il ciclo biologico, ed il legame con il fondo, inteso in senso lato.

Il Tribunale di Rovigo analizza tali aspetti con riferimenti giurisprudenziali sia di merito che di legittimità.

In particolare vengono richiamate alcune sentenze della Corte di Appello di Torino la quale afferma che “alcun rilievo la dimensione della impresa o le modalità di organizzazione della stessa né l’eventuale svolgimento di attività connesse – in quanto tali non principali, ma accessorie alla attività agricola”.

Pertanto l’assoggettabilità o meno, alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo, resta dunque discrezionale alla concreta verifica dell’attività svolta.

Nulla rileva il possibile affitto del ramo di azienda, il quale non muta l’attività che viene svolta essendo tale attività collegata all’attività imprenditoriale agricola.

(Altalex, 10 novembre 2016. Nota di Mauro Lanzieri)

Tribunale di Rovigo

Decreto 20 settembre 2016

IL TRIBUNALE DI ROVIGO

riunito in camera di consiglio nelle persone dei sigg. magistrati:

Dr. Marcello D’Amico, Presidente

Dr. Mauro Martinelli, Giudice relatore ed estensore

Dr.ssa Valentina Vecchietti, Giudice

nella causa rubricata sub n. 110/2016 R.G.N.C., ha pronunciato il seguente

DECRETO

La “Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.” ha depositato, in data 8 giugno 2016, ricorso inteso a promuovere la dichiarazione di fallimento della “società agricola X. s.r.l.”, con sede legale a Castelnovo Bariano, via OMISSIS.

La convenuta si è costituita, non contestando il credito, né lo stato di insolvenza, bensì il requisito soggettivo della fallibilità, rivendicando la natura di impresa agricola.

***

E’ circostanza nota che la nozione di imprenditore agricolo sia stata profondamente modificata dall’art. 1 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, il quale ha riscritto l’art. 2135 c.c., a mente del quale “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” (“Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”).

La nozione ampia data dalla disposizione normativa ha certamente esteso il concetto di imprenditore agricolo, finendo – come attentamente osservato dalla dottrina – per annullare il confine tra le categorie dell’imprenditore commerciale e di quello agricolo.

Non più il collegamento con la terra, né i rischi connessi all’imponderabile evoluzione metereologica rappresentano i confini qualificanti dell’imprenditore agricolo – che hanno giustificato storicamente una diversa disciplina normativa in tema di iscrizione al registro delle imprese, tenuta delle scritture contabili ed esenzione dalla dichiarazione di fallimento – bensì il collegamento con un ciclo biologico, con un legame con il fondo, inteso in senso lato.

Come già affermato in altra sentenza di questo Tribunale non assumono “alcun rilievo la dimensione della impresa o le modalità di organizzazione della stessa (cfr. Corte di Appello di Torino 26 ottobre 2007 in Fall. 2007, p. 1484, nonché la relazione illustrativa al decreto “correttivo” d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), ovvero i parametri quantitativi di  cui all’art. 1, II comma della l.f. (cfr. Cass., 10 dicembre 2010, n. 24995); né l’eventuale svolgimento di attività connesse – in quanto tali non principali, ma accessorie alla attività agricola, individuata nei termini sopra riportati” ai fini della distinzione; “l’impresa agricola si fonda sul ciclo biologico, mentre quello imprenditoriale sulle attrezzature, sulla modifica del prodotto; il prodotto agricolo è, per così dire vivente; quello imprenditoriale inanimato, frutto della manipolazione.

L’ampliamento della nozione di imprenditore agricolo, la sostanziale elisione delle originarie differenze ontologiche con l’imprenditore commerciale, hanno indotto larga parte della dottrina a rivendicare la necessità di una modifica normativa dell’art. 1 della legge fallimentare, senza che allo stato vi sia stato alcun intervento da parte del legislatore.

Del pari la questione di costituzionalità sollevata - per prospettata violazione dell’art. 3 – è stata respinta dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 104 del 20 aprile 2012)” (Tribunale di Rovigo, 20 novembre 2014): la assoggettabilità o meno alla procedura fallimentare resta, dunque, connessa alla verifica della attività concretamente svolta.

Il quadro normativo – così come interpretato dal diritto vivente – è stato integrato coerentemente con la modifica dell’art. 7, comma 2 bis della l. n. 3/2012 – la quale prevede soluzioni per la crisi da sovra indebitamento dei soggetti non fallibili – che ha confermato la volontà legislativa di non sottoporre le aziende agricole alla procedura fallimentare.

Ciò premesso, si evidenzia come non sia contestata dalla parte ricorrente la coincidenza tra l’attività indicata nell’oggetto sociale e quella concretamente svolta, ovvero una attività agricola e di silvicoltura, sicché la parte era a conoscenza della non assoggettabilità al fallimento della resistente.

L’intervenuto affitto del ramo di azienda non ha modificato la circostanza.

La Suprema Corte ha, infatti, recentemente esaminato un caso del tutto analogo asserendo, da un lato, come l’affitto della azienda escluda la natura imprenditoriale e, dall’altro, negando che il contratto di affitto possa mutare la natura agricola dell’impresa in commerciale (cfr. Cass., 1 settembre 2015, n. 17397: “La corte d'appello non ha infatti revocato il fallimento perché la F. s.r.l. è un'impresa agricola, ma perché la F. s.r.l. ha dimesso qualsiasi attività imprenditoriale.

E' vero, secondo i giudici del merito, che la F. s.r.l. ha dismesso l'attività agricola, ma è vero anche che non ha intrapreso altra attività imprenditoriale. E solo un imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito.

Il ricorrente deduce con il secondo motivo che tra impresa commerciale e impresa agricola tertium non datur. Ma i giudici del merito non hanno affatto individuato un tertium genus tra attività agricola e attività commerciale; hanno semplicemente escluso che F. s.r.l. esercitasse una qualsiasi attività imprenditoriale.

Non v'è dubbio che "le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l'impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale" (Cass., sez. I, 16 dicembre 2013, n. 28015, m. 629320, Cass., sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991, m. 624544). Tuttavia nel caso in esame la F. s.r.l. aveva per oggetto sociale l'esercizio di un'impresa agricola, non di un'impresa commerciale. E quindi la sua assoggettabilità al fallimento non può essere ricollegata al suo oggetto sociale. Correttamente dunque i giudici del merito hanno affermato che non può essere dichiarata fallita una società avente a oggetto l'esercizio di attività agricola che, dismessa tale attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, tale non potendo essere considerate né la prestazione non professionale di garanzie né l'affitto dell'azienda”; conf. Tribunale di Mantova 18 novembre 2014 e Tribunale di Udine 21 settembre 2012 in www.unijuris.it).

Considerato l’orientamento espresso dalla Suprema Corte e quello di merito – anche di questo Tribunale – si ritiene applicabile il III comma dell’art. 96 c.p.c.

L’aver proposto una domanda per la dichiarazione di fallimento nella consapevolezza (o conoscibilità) della sua inammissibilità (in virtù del disposto normativo come interpretato dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza di merito anche di questo Tribunale), infatti, integra i presupposti soggettivi richiesti dal primo comma della norma citata. Nel ricorso, inoltre, si evidenzia la sottoposizione dei beni della resistente ad esecuzione forzata, sicché la parte aveva già promosso l’azione finalizzata alla soddisfazione delle proprie ragioni. L’esistenza di un contratto di affitto – che tra le righe del ricorso si prospetta come frodatorio delle ragioni creditorie – potrebbe legittimare la parte all’esercizio di diverse azioni giudiziarie estranee al petitum richiesto in questo giudizio.

La liquidazione equitativa viene parametrata all’importo liquidato per le spese di lite.

Le spese di lite, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

A) RIGETTA l’istanza di fallimento proposta dalla ; “Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.” nei confronti della “Società Agricola X. s.r.l.”;

B) CONDANNA la “Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese processuali sostenute dalla “Società Agricola X. s.r.l.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, quantificate in € 1.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e CPA come per legge;

C) CONDANNA, ai sensi dell’art. 96, III comma c.p.c., la“Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento dell’importo di € 1.500,00 a favore della “Società Agricola X. s.r.l.”, in persona del legale rappresentante pro tempore.

Si comunichi.

Rovigo, 20 settembre 2016

Il Giudice estensore

Il Presidente

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