L’equity crowdfunding e la progressiva perdita del “diritto di esclusiva” delle start-up e PMI innovative

Articolo, 10/05/2017

Come noto l’Italia è stata il primo paese in Europa, e uno dei primi al mondo, ad adottare una specifica normativa sull’equity crowdfunding, una forma di crowdinvesting che si risolve nella sottoscrizione online, per mezzo di portali accessibili tramite internet, di una partecipazione al capitale sociale delle società che i singoli investitori intendono finanziare.

È altrettanto noto che la possibilità di utilizzare questa innovativa forma di finanziamento ha rappresentato, in un primo momento, una esclusiva delle “start-up innovative”, una particolare categoria di società introdotta nel nostro ordinamento dalla sezione IX (artt. 25-32) del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, poi convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221 (cd. “Decreto Crescita 2.0). 

In particolare, l’art. 30 del Decreto Crescita 2.0 ha introdotto, nei suoi primi tre commi, alcune nuove disposizioni nel Testo Unico della Finanza, Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“TUF”) relative all’equity crowdfunding, ossia: (i) il comma 5-novies dell’art. 1, che definisce che cos’è un portale di equity crowdfunding, (ii) l’art. 50-quinquies, che definisce e regolamenta l’attività dei gestori di portali, e (iii) l’art. 100-ter, che regolamenta le offerte al pubblico di strumenti finanziari condotte tramite i portali. 

All’art. 26 del Decreto Crescita 2.0 sono state poi previste alcune deroghe al diritto societario per le società start-up innovative costituite in forma di s.r.l. Si tratta, in particolare, per quanto qui più interessa, della deroga al divieto per le quote di partecipazione delle s.r.l. di costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, posto dall’art. 2468, comma primo del codice civile. L’art. 26, comma 5 del Decreto Crescita 2.0, derogando a tale divieto, ha reso possibile l’offerta al pubblico di quote di start-up innovative costituite in forma di s.r.l. “anche attraverso i portali per la raccolta di capitali” di cui al sopra citato art. 30 del Decreto Crescita 2.0, uniformando così, per certi aspetti, tali società alla disciplina delle s.p.a., le quali ultime possono infatti fisiologicamente collocare sul mercato le loro azioni, che sono titoli di credito e si caratterizzano pertanto per la facilità con la quale possono circolare, mentre il regime ordinario di trasferimento delle quote di s.r.l. previsto dall’art. 2470 c.c. prevede un meccanismo più complesso (atto di trasferimento con sottoscrizione autenticata da un notaio e successivo deposito presso il Registro delle Imprese).

Sulla limitazione della disciplina sull’equity crowdfunding alle sole start-up innovative è stato poi impostato il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali online” adottato dalla Consob con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013, a seguito di una pubblica consultazione promossa dalla stessa Autorità di Vigilanza.

La barriera posta dal legislatore alla possibilità di raccogliere capitali online è stata poi via via erosa nel corso degli ultimi anni, anche sulla spinta delle sollecitazioni provenienti dagli operatori di settore.

Già ad inizio 2015 si è infatti avuto un primo importante ampliamento della platea delle società cui è consentito raccogliere capitali online in base alla nuova normativa, tramite l’estensione di tale possibilità alle “PMI innovative”, un’altra speciale categoria di società introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 4 del Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante “Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti”, poi convertito nella Legge 24 marzo 2015, n. 33 (cd. “Investment Compact”), nonché agli “organismi di investimento collettivo del risparmio e altre società che investono prevalentemente in start-up innovative o in PMI innovative”. A tale intervento del legislatore primario ha fatto seguito, a febbraio 2016, la revisione del Regolamento Consob sull’equity crowdfunding, preceduta anche in questo caso da una pubblica consultazione.

Recentemente la platea delle società che possono giovarsi dell’alleggerimento normativo scaturente dalla nuova disciplina è stata (finalmente) estesa a tutte le piccole e medie imprese italiane, indipendentemente dalla loro data di costituzione, dall’innovatività dell’oggetto sociale o dell’attività esercitata, nonché (da ultimo) dalla loro forma giuridica. Ciò è avvenuto dapprima tramite l’introduzione del comma 70 all’art. 1 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (“Legge di Stabilità 2017), approvata “in fretta e furia” dal Senato – per i noti motivi contingenti conseguenti all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 – nella stessa identica versione licenziata dalla Camera il 24 novembre 2016; ed ora con la “correzione” contenuta nel comma 1 dell’art. 57 del Decreto Legge 24 aprile 2017, n. 50 (cd. “Decreto Correttivo), con la quale il legislatore ha inteso togliere ogni dubbio sull’applicabilità della normativa sull’equity crowdfunding anche alle PMI costituite in forma di s.r.l. (e pertanto non solo a quelle costituite in forma di s.p.a.), ferma restando – se ne dirà oltre – la permanenza di un piccolo “dubbio”, che (purtroppo) sembra non essere stato fugato del tutto dal sopra citato Decreto Correttivo.

1. La prima fase: il “diritto di esclusiva” delle start-up innovative sull’equity crowdfunding

Come visto, il Decreto Crescita 2.0 del 2012 aveva reso accessibile lo strumento dell’equity crowdfunding esclusivamente alle società iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese quali start-up innovative, che l’art. 25, comma 2 di tale decreto definisce come le “società di capitali, costituit[e] anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione”, e le quali siano in possesso di determinati requisiti, tra cui: avere “quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”, avere residenza fiscale in Italia (o in uno stato dell’UE o dello Spazio economico europeo, laddove però, in tali casi, la società deve avere anche una sede produttiva o filiale in Italia), non essere costituite da più di cinque anni, avere un fatturato non superiore a 5 milioni di euro, non distribuire e non aver distribuito utili e non essere state costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda. Inoltre, le start-up innovative devono possedere almeno uno dei tre requisiti alternativi previsti dalla legge relativamente: alla percentuale di spese impiegate in ricerca e sviluppo, all’utilizzo di dipendenti o collaboratori particolarmente qualificati, ed al possesso di determinati diritti di proprietà industriale.

Il “diritto di esclusiva” sull’equity crowdfunding riservato alle start-up innovative era frutto di una precisa (e, nelle sue intenzioni, certamente lodevole) scelta del legislatore, che aveva inteso favorire lo sviluppo di tali società, e dell’ecosistema delle start-up in generale, con il deliberato obiettivo di facilitare la transizione del sistema economico italiano verso un modello incentrato sulla conoscenza e sull’innovazione.

Come si avrà modo di accennare brevissimamente nella parte conclusiva del presente contributo, l’introduzione nel nostro ordinamento della possibilità anche per le società costituite in forma di s.r.l. di raccogliere capitali tramite l’equity crowdfunding è stata per certi aspetti rivoluzionaria, comportando il superamento di alcuni principi fondamentali del nostro diritto societario.

Al sopra accennato carattere rivoluzionario della normativa introdotta dal Decreto Crescita 2.0 ha fatto però da contraltare, nella prima fase di implementazione dell’equity crowdfunding in Italia, la scelta del legislatore di limitarne l’ambito di applicazione ad un esiguo numero di società rispetto alla platea delle piccole e medie imprese italiane (all’8 maggio 2017 il numero delle start-up innovative era pari a 7.082 unità). Tale scelta è stata forse dovuta proprio alla volontà di sperimentare “sul campo” la disciplina sull’equity crowdfunding, limitandola ad un ristretto numero di imprese, senza che ciò implicasse l’immediato e generalizzato allontanamento dai sopra citati paradigmi del diritto societario.

2. La seconda fase: l’allargamento alle PMI innovative ed agli “organismi di investimento collettivo del risparmio e altre società che investono prevalentemente in start-up innovative o in PMI innovative”

Con il Decreto Investment Compact del 2015 il legislatore – confermando l’atteggiamento di maggiore benevolenza per le imprese tecnologiche rispetto a quelle “tradizionali” – ha ampliato il novero delle società abilitate a raccogliere capitali online tramite l’equity crowdfunding, estendendo tale possibilità (così come buona parte delle altre misure di favore previste per le start-up innovative, ed in particolare quelle relative al diritto societario ed alle agevolazioni fiscali) alle PMI innovative. L’equity crowdfunding è stato inoltre esteso anche agli “organismi di investimento collettivo del risparmio e altre società che investono prevalentemente in start-up innovative o in PMI innovative”, per tali intendendosi (ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettere e) ed f) del D.M. 30.01.2014), rispettivamente, gli OICR che investano in azioni o quote delle predette società almeno il 70% del valore complessivo degli investimenti in strumenti finanziari risultanti dal loro rendiconto di gestione o bilancio, e le altre società di capitali che investano in tali società almeno il 70% del valore complessivo delle immobilizzazioni finanziarie iscritte a bilancio.

Ai sensi della normativa europea applicabile (Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003) sono PMI le imprese con meno di 250 dipendenti e fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro (oppure totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro). Per richiedere l’iscrizione quali PMI innovative nella relativa sezione speciale del Registro delle Imprese esse devono inoltre possedere determinati requisiti, individuati dall’art. 4, comma 1 dell’Investment Compact ed in parte coincidenti con quelli prescritti per le start-up innovative. Precisamente, le PMI innovative sono società di capitali (diverse dalle start-up innovative), costituite anche in forma cooperativa, le cui azioni non devono essere quotate su un mercato regolamentato; esse devono inoltre avere l’ultimo bilancio certificato da un revisore contabile o da una società di revisione ed avere residenza fiscale in Italia (o in uno stato dell’UE o dello Spazio economico europeo, laddove però, anche in questo caso, la società deve avere anche una sede produttiva o filiale in Italia). I “requisiti di innovatività” delle PMI innovative consistono invece nel possesso di almeno due dei sopra citati tre requisiti alternativi relativi alle start-up innovative, ma con delle soglie inferiori rispetto a quanto previsto per queste ultime.

Questa prima estensione è avvenuta, da un lato, attraverso la modifica espressa (da parte del comma 10 dell’art. 4 dell’Investment Compact) di tutte e tre le sopra citate norme del TUF relative all’equity crowdfunding, ossia il comma 5-novies dell’art. 1, l’art. 50-quinquies e l’art. 100-ter, e nello specifico tramite l’inserimento in tali disposizioni delle nuove categorie di società alle quali veniva esteso l’equity crowdfunding (PMI innovative ed organismi di investimento collettivo del risparmio e altre società che investono prevalentemente in start-up innovative o in PMI innovative); nonché, dall’altro lato, tramite l’espressa estensione (contenuta nel comma 9 del citato art. 4 dell’Investment Compact) alle PMI innovative dell’applicazione dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0, il quale prevede al suo comma 5 (come visto al precedente capitolo 1), tra le deroghe al diritto societario per le società costituite in forma di s.r.l., la possibilità che le relative quote di partecipazione costituiscano oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, con ciò rendendo possibile anche per le PMI innovative in forma di s.r.l. l’offerta al pubblico di tali quote attraverso i portali di equity crowdfunding. 

Va inoltre segnalato che la legge di conversione dell’Investment Compact ha introdotto i commi da 2-bis a 2-quinques dell’art. 100-ter TUF, con i quali è stato previsto un regime derogatorio facoltativo per la sottoscrizione o l’acquisto e per la successiva alienazione di quote rappresentative del capitale di start-up innovative e PMI innovative costituite in forma di s.r.l., rispetto a quanto previsto dalla disciplina ordinaria di cui all’art. 2470, comma 2 del codice civile (ed all’art. 36, comma 1-bis del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relativo alla possibilità di sottoscrizione in forma digitale degli atti di trasferimento di partecipazioni in s.r.l.). L’introduzione della possibilità di aderire a tale regime derogatorio – che si realizza, in concreto, per il tramite di intermediari abilitati alla resa di servizi di investimento, i quali effettuano la sottoscrizione o l’acquisto delle quote in nome proprio e per conto dei sottoscrittori o degli acquirenti che abbiano aderito ad una offerta tramite un portale di equity crowdfunding – è volta a superare alcune criticità emerse con riferimento al funzionamento dello strumento dell’equity crowdfunding, favorendo: (i) da un lato, la diversificazione e riduzione del rischio di portafoglio per l’investitore “retail”, e (ii) dall’altro, la riduzione degli oneri connessi al regime ordinario di trasferimento delle quote di s.r.l., che viene pertanto “dematerializzato” per le start-up e PMI innovative. Ciò con il dichiarato (ed ambizioso) obiettivo di creare un vero e proprio mercato secondario per lo scambio delle partecipazioni societarie delle predette società, come espressamente riportato anche nella “Scheda di sintesi della policy a sostegno delle PMI innovative” pubblicata dal MISE sul proprio sito internet.

Dal punto di vista della politica legislativa, la scelta del legislatore rappresentava – come risulta dalla sopra citata “Scheda di sintesi” del MISE – “un’evoluzione logica e ineludibile per una politica industriale … che attraverso lo sviluppo tecnologico intende promuovere la crescita sostenibile e la diffusione di una nuova cultura imprenditoriale più incline ad attingere dal mondo della ricerca e dell’università e ad aprirsi ai flussi internazionali di capitale umano e finanziario”; tale scelta raffigurava inoltre la volontà di “accelerare il rafforzamento e la crescita dimensionale delle imprese caratterizzate da una forte dotazione tecnologica”, anche “sulla scorta delle incoraggianti evidenze empiriche prodotte dalla normativa sulle start-up innovative”.

Le modifiche apportate dall’Investment Compact sono state poi riflesse nel nuovo Regolamento Consob sull’equity crowdfunding, la cui revisione è avvenuta – sempre a seguito di una pubblica consultazione che ha visto il coinvolgimento di numerosi “addetti ai lavori” – con delibera n. 19520 del 24 febbraio 2016. Con l’adozione del nuovo Regolamento (attualmente in vigore) l’Autorità di Vigilanza ha altresì colto l’occasione per apportare alcune importanti modifiche al Regolamento non necessariamente connesse alle novità normative introdotte dall’Investment Compact, tra le quali spicca la possibilità ora riconosciuta ai portali di sottoporre “in proprio” (e quindi senza l’intervento di una banca o altra impresa di investimento) il questionario di appropriatezza ai potenziali investitori direttamente online (cd. “opt-in”), ai fini della verifica “che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere le caratteristiche essenziali e i rischi che l’investimento comporta, sulla base delle informazioni fornite”.

Nonostante la sua estensione alle PMI innovative, l’equity crowdfunding continuava però a rappresentare un fenomeno “di nicchia”, anche alla luce dell’esiguità del numero delle PMI innovative iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese (solo 526 all’8 maggio 2017), rispetto alla platea potenziale delle PMI italiane che operano nel campo dell’innovazione tecnologica.

3. La terza fase: la Legge di Stabilità 2017 e l’estensione a tutte le PMI (in forma di s.p.a.)

Come visto nella parte iniziale del presente contributo, con l’introduzione del comma 70 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2017 il legislatore ha sancito il definitivo tramonto dell’idea dell’equity crowdfunding quale strumento di finanziamento dedicato esclusivamente a progetti imprenditoriali definiti “innovativi”.

Dal punto di vista della tecnica legislativa, la novità normativa è stata introdotta tramite la modifica di due delle sopra citate tre disposizioni del TUF relative all’equity crowdfunding: il comma 5-novies dell’art. 1 e l’art. 50-quinquies. Con la modifica dell’art. 1, comma 5-novies si è provveduto a ridefinire i portali di equity crowdfunding quali “portali per la raccolta di capitali per le PMI”, considerandoli alla stregua di “piattaform[e] online che abbia[no] come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI come definite dalla disciplina dell’Unione europea e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in PMI”. Si è poi provveduto a sostituire la parola “PMI” alle parole “start-up innovative e PMI innovative”, ovunque ricorrano, nel disposto dell’art. 50-quinquies del TUF (nonché nell’intitolazione del capo III-quater del TUF).

Il legislatore è però incorso (a differenza di quanto fatto in occasione dell’allargamento alle PMI innovative di cui all’Investment Compact) in due gravi “dimenticanze”, dovute con ogni probabilità alla fretta con la quale era stato approvato il provvedimento. Da un lato, si è infatti scordato di emendare espressamente la terza norma del TUF rilevante ai fini dell’equity crowdfunding, ossia l’art. 100-ter. Dall’altro lato, si è inoltre dimenticato di estendere l’applicazione di alcune delle sopra citate deroghe al diritto societario, ed in particolare – per quanto qui più rileva – di reiterare la previsione che, derogando alla disposizione che vieta che le partecipazioni dei soci di s.r.l. possano formare oggetto di offerte al pubblico di prodotti finanziari (art. 2468, comma 1 c.c.), rende possibile per le start-up e PMI innovative organizzate in forma di s.r.l. di offrire al pubblico le proprie quote, anche tramite campagne di equity crowdfunding.

Per quanto riguarda la mancata espressa deroga all’art. 2468, comma 1 c.c., le conseguenze di questa “svista”, come alcuni osservatori (tra cui chi scrive) hanno rilevato all’indomani dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità, erano di non poco conto. Non essendosi espressamente derogato al divieto previsto dalla legge per le quote di s.r.l. di formare oggetto di offerte al pubblico, la raccolta di capitali di rischio online tramite equity crowdfunding risultava essere praticabile (oltre che dalle start-up e PMI innovative) solo dalle PMI non innovative organizzate in forma di società per azioni. Paradossalmente, quindi, la maggior parte delle società alle quali il legislatore aveva voluto estendere l’equity crowdfunding (le PMI in forma di s.r.l.) non poteva, di fatto, farvi ricorso.

4. Continua: il Decreto Correttivo e la definitiva estensione a tutte le PMI (anche in forma di s.r.l.)

Con l’art. 57, comma 1, del Decreto Correttivo approvato in via d’urgenza dal Governo ed entrato in vigore il 24 aprile 2017, si è opportunamente “corretto il tiro” rispetto alla mancata deroga al divieto per le partecipazioni dei soci di s.r.l. di formare oggetto di offerte al pubblico di prodotti finanziari, tramite l’estensione a tutte le PMI – siano esse start-up o società mature, innovative o tradizionali, costituite in forma di s.p.a. o di s.r.l. – dell’applicazione del comma 5 dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0, il quale, come visto, prevede la sopra citata deroga all’art. 2468, comma 1 c.c. 

Dal punto di vista della tecnica legislativa, tale rilevante correzione della Legge di Stabilità è avvenuta tramite la sostituzione delle parole “start-up innovative” e “start-up innovativa”, ovunque ricorrano, con la parola “PMI” nel sopra citato comma 5 dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0. 

Le medesime sopra citate sostituzioni di termini sono state previste anche relativamente ai commi 2 e 6 dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0, nonché (si ritiene, per il richiamo ivi contenuto alle “società di cui al comma 2”) nel comma 3 di tale articolo. Anche i predetti commi 2, 3 e 6 prevedono importanti deroghe alla disciplina di diritto societario relativa alle s.r.l., introdotte dal legislatore con l’evidente intento di facilitare gli investimenti nel capitale delle PMI in forma di s.r.l., anche tramite campagne di equity crowdfunding. 

Le sopra citate ulteriori deroghe al regime ordinario previsto dal codice civile per le s.r.l. sono pertanto anch’esse attualmente applicabili a tutte le PMI e consistono: (i) nella possibilità di prevedere nell’atto costitutivo la creazione di particolari categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, determinare liberamente il contenuto delle varie categorie di quote, anche in deroga all’art. 2468, commi 2 e 3 del c.c. (i quali prevedono, rispettivamente, il principio di proporzionalità nelle s.r.l. dei diritti sociali rispetto alle partecipazioni possedute, a cui fa eccezione la possibilità di attribuire particolari diritti unicamente a singoli soci, che possono riguardare esclusivamente l’amministrazione della società e la distribuzione degli utili); (ii) nella possibilità di prevedere nell’atto costitutivo, anche in deroga all’art. 2479, comma 5 c.c., la creazione di categorie di quote che non attribuiscano diritti di voto o che attribuiscano al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta, ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative; (iii) nella possibilità, infine, di effettuare operazioni sulle proprie partecipazioni, in deroga all’art. 2474 c.c., qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori d’opera e servizi, anche professionali (come, ad esempio, i “piani di stock option”).

Le ulteriori deroghe al diritto societario e tributario previste dagli altri commi dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0 non sono state invece estese a tutte le PMI e restano pertanto appannaggio delle sole start-up e PMI innovative, ossia: (i) il comma 1 (“grace period” di un ulteriore anno nei casi di riduzione del capitale per perdite di cui agli artt. 2446 e 2482-bis c.c. e di un anno nei casi di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale di cui agli artt. 2447 e 2482-ter c.c.), (ii) il comma 4 (non applicabilità della normativa fiscale sulle “società di comodo”), e (iii) il comma 7 (possibilità di prevedere nell’atto costitutivo l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi, ad esclusione del diritto di voto, a seguito dell’apporto da parte di soci o terzi di opere o servizi).

5. Alcune considerazioni (anche de iure condendo) sulle ultime novità legislative

Tutto è bene, quindi, quel che finisce bene? Sicuramente sì, dal momento che non sembrano ormai esservi più dubbi sulla volontà del legislatore di “dare completa attuazione all’estensione della disciplina dell’equity crowdfunding per tutte le PMI”, come espressamente indicato nella “relazione tecnica” di accompagnamento al Decreto Correttivo.

Corre però l’obbligo di rilevare come, purtroppo, con l’approvazione da parte del Governo del Decreto Correttivo non si sia colta l’occasione per rettificare in modo esplicito anche l’altra “dimenticanza” occorsa al legislatore nella fretta di approvare la Legge di Stabilità 2017 e citata al precedente capitolo 3, ossia la mancata modifica dell’art. 100-ter TUF. Il comma 1 di tale articolo, che, come visto, definisce quali sono gli strumenti finanziari che possono essere oggetto di campagne di equity crowdfunding, recita quindi a tutt’oggi ancora così: “Le offerte al pubblico condotte esclusivamente attraverso uno o più portali per la raccolta di capitali possono avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up innovative, dalle PMI innovative, dagli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative e in PMI innovative e devono avere un corrispettivo totale inferiore a quello determinato dalla Consob ai sensi dell’articolo 100, comma 1, lettera c)”. Anche nel comma 2 dell’articolo 100-ter TUF, nonché nei successivi commi 2-bis e seguenti – questi ultimi inseriti, come visto al capitolo 2, dall’Investment Compact per creare un regime di “dematerializzazione” facoltativo per la sottoscrizione o acquisto e per la successiva alienazione di quote rappresentative del capitale di start-up innovative e PMI innovative costituite in forma di s.r.l., derogatorio rispetto alla normativa ordinaria – si fa a tutt’oggi riferimento alle sole start-up e PMI innovative, e non alle PMI tout court.

I motivi di una tale (reiterata) dimenticanza sfuggono a chi scrive. Se qualche dubbio in merito alla effettiva volontà del legislatore, sia primario che delegato, di estendere a tutte le PMI costituite in forma di s.r.l. il sopra citato – e per molti aspetti innovativo – regime derogatorio facoltativo per la sottoscrizione o acquisto e per la successiva alienazione di quote rappresentative del capitale di società costituite in forma di s.r.l. (commi da 2-bis a 2-quinquies dell’art. 100-ter TUF), non si capisce sinceramente il motivo per cui non si sia provveduto con il Decreto Correttivo a coordinare (quanto meno) i primi due commi dell’art. 100-ter del TUF, sostituendo ai termini start-up innovative o PMI innovative il termine “PMI”, come fatto per i commi 2, 5 e 6 dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0.

Si ritiene pertanto opportuno che, nella fase di conversione in legge del Decreto Correttivo attualmente in corso, si provveda ad emendare nel senso di cui sopra anche l’art. 100-ter del TUF, tramite l’inserimento della relativa modifica nel testo dell’art. 57; pur essendo consapevoli che “il tempo è tiranno”, dal momento che (come si apprende da recenti notizie di stampa) il termine per la presentazione degli emendamenti da parte dei gruppi parlamentari sembra essere stato fissato per giovedì 11 maggio 2017, ossia il giorno successivo alla data in cui è prevista la pubblicazione del presente contributo.

In ogni caso, e come già osservato, anche laddove tale “aggiustamento” non dovesse trovare spazio nella legge di conversione del Decreto Correttivo, non vi è dubbio alcuno sulla volontà del legislatore di estendere l’equity crowdfunding a tutte le PMI. Estensione che rimarrebbe pertanto in ogni caso pienamente efficace, anche in ragione del fatto che con l’applicazione a tutte le PMI di quanto contenuto nel comma 5 dell’art. 26 del Decreto Crescita 2.0 – il quale recita ora: “In deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, comma primo, del codice civile, le quote di partecipazione in PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all’articolo 30 del presente decreto, nei limiti previsti dalle leggi speciali” – può affermarsi che, implicitamente, anche l’applicazione di quanto previsto all’art. 100-ter del TUF (introdotto, come visto sopra, dal sopra citato art. 30 del Decreto Crescita 2.0) è da considerarsi estesa a tutte le PMI, nonostante non si sia provveduto ad una espressa modifica del testo di tale norma.

Si ritiene inoltre che – fermo restando l’auspicio di una correzione in sede di conversione in legge –su una tale linea interpretativa possa convenire anche l’Autorità di Vigilanza, che verrà tra l’altro a breve chiamata ad emanare il nuovo Regolamento sull’equity crowdfunding (per il quale ci si aspetta l’avvio di una pubblica consultazione prima dell’estate), che non potrà non tenere conto dell’espressa volontà del legislatore di estendere a tutte le PMI la possibilità di utilizzare lo strumento dell’equity crowdfunding.

6. Note conclusive

In questo breve contributo ci si è limitati a sollevare le questioni di più immediata evidenza cui, nel complesso, le evoluzioni regolatorie in materia hanno dato luogo. 

Al di là della contraddizione derivante dal fatto che le quote delle s.r.l. non rientranti nella definizione di PMI, e quindi di quelle di maggiori dimensioni, non possono ad oggi (9 maggio 2017) costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, mentre le quote di partecipazione di quelle più piccole (ivi comprese le “microimprese”) sì – si ritiene che il nuovo approccio del legislatore italiano vada sicuramente salutato con favore. Esso permetterà infatti di utilizzare l’equity crowdfunding anche a chi, pur volendo avvicinarsi a nuove opportunità di investimento, preferisce farlo puntando su business più tradizionali, o comunque su aziende più solide e con un “track record” consolidato, le quali sono normalmente considerate meno rischiose dal pubblico degli investitori “retail”. Uno dei settori che potrà, ad opinione di chi scrive, maggiormente beneficiare della novella legislativa è il real estate, dove proprio recentemente si è assistito all’autorizzazione quale portale di equity crowdfunding di Walliance, una piattaforma dedicata al finanziamento di società attive nel settore immobiliare.

In realtà, la disciplina analizzata pone ben altre, e forse più importanti, questioni che nel complesso valgono a renderla un oggetto di analisi estremamente interessante dal punto di vista del diritto societario sotto molteplici profili, e cui qui non è neppure possibile accennare. Come è stato da più parti notato, infatti, l’estensione ad un così ampio numero di società (come quello rappresentato da tutte le PMI-s.r.l. italiane) della possibilità di raccogliere capitali tramite l’equity crowdfunding rappresenta un cambiamento epocale, che sembra portare con sé il superamento di veri e propri dogmi del diritto societario italiano, quale l’apertura generalizzata al mercato dei capitali delle quote di partecipazione delle società costituite in forma di s.r.l., con le implicazioni che scaturiscono da tale “pubblicizzazione” della s.r.l. sul versante della governance dell’impresa che in tale forma si sia organizzata.

D’altra parte, ancor prima di considerare le implicazioni che dalla disciplina vigente scaturiscono sul versante dell’impresa che procede alla raccolta di capitali, ci si dovrebbe a rigore innanzitutto interrogare, in una prospettiva assai più generale e per certi versi pregiudiziale, se, pur fermi taluni “pilastri”, non sia il caso di pensare anche ad un radicale “aggiornamento” delle discipline dei servizi di investimento, al fine di tenere conto di certe evoluzioni, la cui rilevanza ormai non può più essere né sminuita, né trascurata. Ci si riferisce in particolare alle cc.dd. società “fintech”, il cui ruolo non è più trascurabile e che – come il Presidente della Consob ha riconosciuto nel suo discorso introduttivo alla relazione annuale dell’Autorità (disponibile qui) – rappresentano «[l]a sfida che oggi in tutto il mondo i regolatori dei mercati finanziari hanno davanti a sé». Il che richiama l’attenzione sull’esigenza di ripensare, almeno per certi aspetti, il paradigma regolatorio dei servizi di investimento (e bancari) in generale, in quanto ormai tendenti a una disintermediazione sempre più pronunciata, che non è senza ricadute sul piano della disciplina ottimale applicabile. Poiché, per citare nuovamente il Presidente della Consob, «[p]er l’industria dei servizi finanziari il futuro è già iniziato», sarebbe forse auspicabile avviare una consultazione pubblica utile a far emergere le idee rilevanti in vista di una qualsiasi iniziativa regolatoria che – lo si intende – non potrà a lungo essere posticipata. Ma questo, lo sappiamo, è un altro discorso.

(Altalex, 10 maggio 2017. Articolo di Giovanni Cucchiarato, partner studio legale DWF)

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