Amministrativo

L’intervento umanitario di ONG nel Mediterraneo. Il caso ProActiva Open Arms

Articolo, 10/05/2018

Il sequestro preventivo della motonave della ONG ProActiva Open Arms

Come le notizie di stampa hanno diffusamente riferito, la Procura della Repubblica di Catania, indiscutibilmente tra gli uffici giudiziari italiani più esposti dal punto di vista della gestione investigativa e processuale del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, drammaticamente in essere lungo le rotte mediterranee, ha disposto il sequestro preventivo della nave della ONG spagnola ProActiva Open Arms, ipotizzando – seppure in via del tutto preliminare - a carico del comandante e del coordinatore della ONG i reati di cui agli articoli 416 comma 6 c.p. e 12 comma 3 lett. a) e b), comma 3-bis del D.Lgs. 286/1998.

Il provvedimento1 si basa sugli eventi accaduti in data 17 marzo 2018, riguardanti la motonave Open Arms della ONG Proactiva Open Arms, relativamente alle attività di soccorso effettuate nella giornata del 15.03.2018 nelle acque internazionali antistanti la Libia.

Secondo le ricostruzioni emergenti dagli atti di polizia giudiziaria, nonostante il messaggio da parte della IMRCC (Italian Maritime Rescue Co-ordination Centre, inteso come Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, istituito presso il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto in Roma, in forza del dettato della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979, resa esecutiva in Italia dalla legge n. 147/1989) che riferiva che la guardia costiera libica era in procinto di intraprendere operazioni di soccorso dei migranti, la Motonave Open Arms della ONG Proactive Open Arms effettuava il soccorso nel medesimo evento di salvataggio, denominato convenzionalmente come “evento 164”.

Questa decisione veniva intrapresa dopo un confronto tra il responsabile della motonave ed il coordinatore della ONG in Spagna, indagati nel procedimento in questione.

Conseguentemente, sempre in forza delle ricostruzioni preliminari, l'equipaggio della motonave, a suo dire impegnato in altre attività di salvataggio (evento 167) si imbatteva nell’evento 164, di competenza della guardia costiera libica, ancora non intervenuta ma pronta a farlo, procedendo lo stesso al recupero dei migranti. Durante le fasi di soccorso, in attesa delle disposizioni dell'lMRCC di Roma, quando i migranti erano ormai già tutti a bordo dei gommoni di salvataggio della ONG, la motonave Open Arms veniva raggiunta dalla motovedetta della guardia costiera libica e dopo le drammatiche fasi immediatamente successive al salvataggio, otteneva di poter soccorrere i 218 migranti.

Le “concitate fasi” secondo quanto riportato dalle notizie di stampa e confermato da documenti video ripresi da personale dell’equipaggio della ONG, consistevano anche in gravi minacce con armi da parte della guardia costiera libica che pretendeva la restituzione immediata di tutti i migranti, in un contesto caratterizzato da momenti di elevata tensione. Al termine, tuttavia, la guardia costiera libica cedeva e assentiva a che la motonave riprendesse la navigazione con i migranti a bordo.

L’IMRCC di Roma comunicava alla ONG di non avere competenza in quanto il coordinamento delle operazioni SAR effettuate apparteneva allo stato della Libia, pertanto sarebbe stato necessario richiedere l’indicazione di un porto sicuro per effettuare lo sbarco allo stato di bandiera della loro nave, ovvero la Spagna.

Nelle more e nell’incrocio di comunicazioni, venivano sbarcati e condotti a Malta due migranti (una madre ed il figlio di tre mesi che versava in gravi condizioni di salute). Frattanto, sempre l’IMRCC di Roma suggeriva alla motonave di richiedere autorizzazione allo sbarco alle autorità maltesi dato che in quel momento l’isola mediterranea era il luogo più vicino. Tale adempimento non veniva svolto (secondo la ONG poiché si conosceva già, sulla base dell’esperienza pregressa, il certo rifiuto delle autorità maltesi) cosicché, sintetizzando gli ulteriori eventi e lo scambio di comunicazioni tra IMRCC di Roma e corrispondente autorità spagnola, alla fine veniva concessa l’autorizzazione per l’approdo a Pozzallo, dove avvenivano tutte le operazioni di sbarco e identificazione dei migranti.

Emergenza o normalità?

Sono noti i cambiamenti nei meccanismi di salvataggio migratorio nel Mediterraneo. La situazione è cambiata molto negli ultimi anni.

In un elevato numero di casi, gli interventi di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mar Mediterraneo sono stati delegati alle ONG, almeno fino alla metà del 2017.

Nel 2016, circa il 30% dei 181.450 migranti sbarcati sulle coste italiane è stato salvato da organizzazioni navali appartenenti a ONG. L’agenzia europea Frontex segnala un cambiamento importante nel modus operandi delle attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. In particolare, le ONG avrebbero, loro malgrado, contribuito a influenzare le strategie operative dei trafficanti di migranti2.

Indipendentemente dal dibattito in corso sulla utilità e validità dei codici di condotta sottoposti dal Governo italiano al vaglio del Consiglio Europeo di Tallin del giugno 2017 e sottoposti alla firma delle ONG3 (che in qualche modo avrebbero indirettamente determinato anche una sensibile diminuzione degli sbarchi e del numero di migranti giunti sulle coste italiane4) il tema dei salvataggi in mare deve essere affrontato compiutamente, oltre che sulla base dei principi di diritto umanitario, alla luce dei principi e degli obblighi sanciti nelle tre convenzioni internazionali: la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (nella sua ultima versione del 1 novembre 1974, recepita con la legge 23 maggio 1980 n. 313) la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (del 10 dicembre 1982, recepita con legge 2 dicembre 1994, n. 689) e la Convenzione internazionale sul soccorso marittimo (la già citata Convenzione di Amburgo).

L'attuale dibattito sui compiti delle ONG e sui limiti delle loro operazioni di salvataggio in mare è estremamente delicato. Implica principi generali di diritto umanitario, che non possono non (o dovrebbero) influenzare le politiche internazionali in termini di strategie da adottare per far fronte ai flussi migratori, che mutano in conseguenza del mutare delle azioni degli Stati. Le organizzazioni criminali transnazionali che gestiscono gli imponenti flussi migratori misti e quindi lucrano su smuggling e trafficking, adottano immediate contromisure e modificano le rotte migratorie, per quanto interessa l’Italia, principalmente dall'Africa sub-sahariana.

Dunque, non è soltanto alle convenzioni internazionali in materia di salvataggio in mare che deve essere fatto riferimento, ma anche alle plurime fonti normative internazionali ed europee che mirano alla salvaguardia dei diritti umani delle persone migranti, alla loro protezione internazionale o alla loro protezione in qualità di vittime di gravi reati, al contrasto alle organizzazioni criminali transnazionali (valgano per tutto i protocolli contro trafficking e smuggling, addizionali alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale aperta alla firma a Palermo del 2000, recepita in Italia con la legge 16 marzo 2006 n. 146)5.

La crisi dei migranti e dei rifugiati nell'UE è chiaramente una questione globale. Al refrain secondo cui si tratterebbe di un’emergenza ormai non crede più nessuno. E’ una situazione critica strutturale che impone risposte complesse e programmatiche ed azioni integrate rivolte a tutte le diverse categorie di persone coinvolte. Richiedenti asilo e rifugiati, persone e gruppi vulnerabili, presunte vittime della tratta, migranti “economici” attraversano le stesse rotte nell’ambito dei flussi migratori misti e quindi, sono tutti potenziali destinatari di azioni nazionali e internazionali. La comprensibile ricerca di procedure di tutela della sicurezza degli Stati e delle frontiere nazionali non dovrebbe compromettere il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti la protezione e del principio di non respingimento, nonché l'identificazione delle possibili vittime della tratta di esseri umani6.

La lotta contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani è una priorità per Commissione europea che, con la pubblicazione dell’agenda europea per la migrazione (approvata nel Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015)7 ha sottolineato l'importanza di affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e di cooperare con i paesi terzi per combattere le reti criminali. Malgrado l'Agenda sembri concentrarsi sulla sicurezza piuttosto che sulla protezione delle vittime della tratta e sull’affermazione dei diritti fondamentali delle persone migranti, identificare le vittime, proteggere i loro diritti umani e alla fine ottenere il loro sostegno nelle indagini, può fare la differenza nella lotta alla criminalità organizzata.

Le azioni europee nel Mediterraneo sono dunque incentrate sulla lotta allo smuggling of migrants con un approccio principalmente militare e basato sul controllo delle frontiere. Il primo obiettivo è la creazione di operazioni (EUNAVFOR MED) identificate come missioni di polizia con mezzi militari incentrati sulla sicurezza.

Il secondo obiettivo è la creazione di hotspots per identificare i richiedenti asilo e distinguerli da altre categorie di migranti (ad esempio inseriti nella opinabile categoria dei migranti “economici”) per proteggere quelli e restituire gli altri ai loro paesi di origine o residenza.

Le reti criminali hanno sfruttato la crisi migratoria per colpire i migranti vulnerabili, in particolare donne e minori non accompagnati, che corrono il serio rischio di diventare vittime della tratta di esseri umani.

Molti migranti lasciati nei punti di crisi (ed oggi il principale terreno di profonda crisi è la Libia) vengono reclutati dai trafficanti per motivi di lavoro o sfruttamento sessuale o impiego in attività illegali e comunque subiscono pesanti violazioni dei diritti umani.

Tutto ciò deve, inoltre, confrontarsi con il fatto che L'Europa è diventata un'area giuridica più ampia. Dopo il trattato di Lisbona, i sistemi giuridici nazionali sono integrati con quello europeo. Le Corti supreme e di merito degli Stati membri devono occuparsi della giurisprudenza delle corti europee. E nel campo dei diritti umani, uno dei livelli più elevati del diritto è quello della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretata e attualizzata dalla CEDU, che indica precisi obblighi positivi di protezione effettiva dei diritti umani in capo agli Stati8.

Diritto internazionale

Su Shop.Wki.it è disponibile il volume:

Diritto internazionale Salerno Francesco, CEDAM, 2017

Codice di condotta per le ONG e stato di necessità

Fatto questo breve preambolo, necessario per creare un alveo in cui calare la vicenda che ha determinato clamore mediatico e reazioni contrapposte, la principale riflessione che sorge è relativa alla definizione di stato di necessità quale scriminante della condotta illecita penalmente rilevante ed alla sua operatività rispetto al contesto specifico.

Un primo elemento di valutazione è dato dal rapporto che si determina tra la violazione del codice di condotta sottoscritto dalle ONG (ProActiva Open Arms ha sottoscritto in data 8 agosto 2017) e adottato dal ministero degli interni e gli elementi essenziali delle fattispecie incriminatrici contestate. In questo ambito sono strettamente correlate anche le considerazioni circa il limite di esigibilità dell’osservanza di tale codice e la gerarchia rispetto ad altre fonti normative.

Vengono contestate diverse azioni alla ONG, ma la più rilevante e determinata appare essere senza dubbio quella di cui al primo degli impegni menzionati nel codice di condotta in base a cui si richiede alla ONG conformemente al diritto internazionale pertinente, l’impegno a non entrare nelle acque territoriali libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata, e di non ostacolare l’attività di Search and Rescue (SAR) da parte della Guardia costiera libica: al fine di non ostacolare la possibilità di intervento da parte delle Autorità nazionali competenti nelle proprie acque territoriali, nel rispetto degli obblighi internazionali.

Direttamente conseguente è anche la contestazione dell’impegno a cooperare con l’ MRCC, eseguendo le sue istruzioni ed informandolo preventivamente di eventuali iniziative intraprese autonomamente perché ritenute necessarie ed urgenti.

Va chiarito che l’obbligo giuridico del soccorso in mare, la cui ingiustificata omissione costituisce reato (art. 1113 cod. nav., 1158 cod. nav.) richiede, per chiunque sia in grado di farlo, di prestare il soccorso necessario ad assistere una persona in pericolo e di dare immediato avviso alle autorità competenti.

Per “stato di pericolo” si intende una situazione in cui si può ritenere, con valutazione reale ed obiettiva, che una persona sia minacciata da un grave ed imminente pericolo di perdita della vita e pertanto abbia bisogno di soccorso immediato. L’obbligo di soccorso in mare sorge in relazione all’esistenza dello stato di pericolo e cessa nel momento in cui la persona in pericolo sia stata tratta in salvo, sia certamente deceduta o non vi siano più ragionevoli speranze di trovarla in vita.

In attuazione di questo principio la Convenzione di Amburgo stabilisce che gli Stati contraenti devono dividere, sulla base di accordi regionali, il mare in zone di propria competenza S.A.R. (soccorso e salvataggio). In sostanza, la Convenzione prevede la delimitazione tra gli Stati frontisti delle c.d. zone S.a.r. tramite accordi regionali, senza pregiudicare il regime giuridico degli spazi marittimi.

L’impegno che si ritiene violato nel caso di specie, però, non richiama la zona SAR libica (la cui identificazione sarebbe anche discutibile perché unilateralmente istituita e mai riconosciuta dall’Organizzazione Marittima Internazionale - OMI) bensì le acque territoriali di quello Stato. Una volta appurato che, malgrado le modalità drammatiche e tese, la guardia costiera libica ha acconsentito a che l’ONG ultimasse le operazioni di salvataggio e proseguisse verso nord, l’unica presunta violazione che residua è quella contenuta nel codice di condotta. Ma qual è il valore cogente del codice di condotta? Verosimilmente potrebbe essergli attribuito valore di atto amministrativo di natura convenzionale, in quanto predisposto dal ministero degli interni e sottoscritto per accettazione dalle ONG firmatarie.

Non può certamente trattarsi di norme con valore di legge in quanto nessun processo di formazione di norme di rango legislativo è stato attivato, né vi sono espressi provvedimenti di legge che demandano all’esecutivo l’emanazione di norme regolamentari attuative. Ed allora, resta da chiedersi in che modo l’impegno sottoscritto e contenuto nel codice di condotta possa vincolare le ONG fino al punto di non assolvere ad altri principi sovraordinati, in quanto provenienti da norme che, in virtù del meccanismo dell’articolo 10 della Costituzione, hanno un rango anche superiore alla legge ordinaria. Appare evidente, dunque, che il citato codice di condotta non può non avere una valore recessivo rispetto a norme e principi di rango legislativo o superiore e che mira a indirizzare i comportamenti dei soggetti in linea con le esigenze di governo dell’immigrazione via mare in un dato periodo e contesto storico. Peraltro, ove si consideri altri casi di codici di condotta o anche di autoregolamentazione (si pensi a quello di professionisti, come ad esempio gli avvocati) le norme ivi contenute devono applicarsi salvo che non debbano cedere di fronte ad interessi contrapposti in cui è in gioco la tutela di beni costituzionalmente rilevanti, come, tra i tanti, l’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Dal punto di vista strettamente penalistico ci si può domandare se la violazione del codice di condotta, una volta accertata, incida sul fatto tipico della fattispecie incriminatrice o sulla colpevolezza, ma ancora prima sulla stessa antigiuridicità della condotta. Nel caso concreto sembra essere stata assunta a indice di sussistenza di attività dirette a procurare l’ingresso irregolare in Italia ex art. 12 d.lgs. 286/1998.

L’aspetto di maggior rilievo, alla luce delle precedenti considerazioni, appare essere quello del mancato rispetto delle istruzioni della IMRCC di Roma. Ma rilevato che le comunicazioni con l’autorità dello Stato di bandiera sono regolarmente intervenute, allora l’istruzione disattesa che residua è quella della mancata richiesta di porto sicuro alle autorità di Malta.

Sul punto, per il mare Mediterraneo in ambito IMO è stato approvato un piano in cui sono stabiliti i limiti delle zone SAR, proprio con l’eccezione di Malta, poiché l’isola rivendica unilateralmente un’enorme zona SAR senza tuttavia disporre di mezzi per svolgere operazioni di soccorso (avvalendosi, di fatto, della cooperazione dell’Italia). Invero, di fatto, non sembra evincersi in modo chiaro la disponibilità di Malta a consentire lo sbarco di tutti i migranti a cui avrebbe fatto seguito il rifiuto della ONG.

Ad ogni modo, i dettagli del fatto saranno in divenire ed appartengono alla dinamica investigativa e processuale. Qui si vuole solo prendere spunto dal provvedimento per riflessioni di carattere generale. Ed in questo senso l’elemento di maggior clamore è senz’altro dato dalla sussistenza o non della causa di giustificazione dello stato di necessità ex articolo 54 c.p.

Le basi del provvedimento di sequestro si fondano sull’assenza di un reale pericolo per la vita dei migranti, perché al momento dell'intervento comunque vi sarebbe stata una valida alternativa al soccorso effettuato dalla ONG. Si sostiene, inoltre l’evitabilità del pericolo poiché la guardia costiera libica era in zona. Inoltre, l‘esimente non si applica a chi si è volontariamente posto nella situazione di pericolo e tale sarebbe stata la condotta della ONG.

Il fondamento della scriminante dello stato di necessità, secondo la dottrina prevalente viene individuato nell'equivalenza tra l'interesse sottoposto a pericolo di lesione e quello leso dall'azione necessitata. Il bilanciamento di detti interessi determina l’insussistenza dell’antigiuridicità della condotta in violazione dell’interesse sacrificato.

Analizzando i singoli presupposti della scriminante, la situazione di pericolo che rende l'azione necessitata deve essere attuale.

L'attualità del pericolo9 è stata interpretata rigorosamente dalla giurisprudenza e deve essere valutata ex ante nella situazione in cui versa l'agente prima di porre in essere la sua condotta offensiva. In particolare, la giurisprudenza, con riferimento alle situazioni di bisogno economico, ha rilevato come le stesse non siano idonee a scriminare ex art. 54 cp in considerazione della mancanza del requisito dell'attualità del pericolo e dell'urgenza della conseguente azione penalmente rilevante.

Il pericolo deve, quindi, riferirsi ad un danno grave alla persona propria o altrui. Con riferimento all'interpretazione del requisito in esame la giurisprudenza, pur con delle recenti aperture, ritiene che il danno debba riguardare la vita o l'integrità fisica della persona mentre la dottrina è incline a ritenere che il pericolo di danno possa riferirsi anche ad altri diritti della personalità come l'onore, il decoro, la libertà personale e sessuale.

Lo stato di pericolo, prosegue la norma, non deve essere stato volontariamente causato10; secondo la giurisprudenza il requisito della volontarietà del pericolo sussiste allorché la situazione che risulta fonte diretta del pericolo sia stata causata dalla condotta dolosa o colposa del soggetto che poi pone in essere l'azione necessitata. Tale previsione, però, non si riferisce al caso del cd. soccorso di necessità (che ricorre nella specie). Infatti, L'art. 54 cp contempla, oltre all'azione difensiva causata da una situazione di pericolo di danno grave alla propria persona, anche il c.d. soccorso di necessità che si verifica quando l'azione difensiva sia volta ad evitare un danno grave all'altrui persona.

La norma prescrive poi, con riferimento all'azione lesiva, che essa sia necessaria e che il pericolo non sia altrimenti evitabile11. Il presupposto dell'inevitabilità della condotta necessitata è stato interpretato in chiave rigorosa dalla giurisprudenza soprattutto con riferimento alle situazioni di bisogno economico12. In tali ipotesi, ha osservato la Suprema Corte, non è mai ravvisabile la causa di giustificazione dello stato di necessità qualora sussista una percorribile alternativa lecita che possa realizzare la medesima funzione di salvaguardia del bene messo in pericolo.

L'ultimo presupposto richiesto dall'art. 54 c.p. ai fini della scriminante, è la proporzionalità13 tra il danno arrecato con l'azione necessitata ed il pericolo di danno determinato dalla situazione necessitante. La comparazione deve effettuarsi con riferimento al valore dei beni contrapposti e con riferimento al grado di lesione minacciato e arrecato.

Soccorso di necessità dei migranti in bilico tra il mare e la Libia

In primis si rileva che l’elemento del pericolo non volontariamente causato si riferisca nella norma al caso in cui è lo stesso soggetto in pericolo ad averlo causato e dunque, da tale previsione esula il soccorso di necessità, che ricorre nel caso concreto.

La valutazione circa la (in)sussistenza del pericolo che si fa nel provvedimento lascia davvero perplessi. Il fatto di trovarsi alla deriva nel mezzo del Mediterraneo, ammassati in duecentodiciotto su barconi destinati certamente ad affondare non costituisce per ciò stesso un pericolo attuale di danno grave alle persone?

Sembrerebbe che l’interpretazione che si fornisce escluda il pericolo perché ancora non era in atto un vero naufragio e che il pericolo sarebbe stato comunque evitabile perché la situazione era comunque nota alla guardia costiera libica.

Questa interpretazione non è accettabile perché allontana la soglia del pericolo attuale ad un limite estremo, quasi invalicabile. Se il pericolo deve consistere nel naufragio già in atto (con le persone in acqua) e nel fatto che nessun soccorritore deve essere in situ, ciò equivale ad escludere la possibilità di salvare tutti i migranti, anche in considerazione del loro numero elevato (il mare Nostrum ci ha fornito migliaia di drammatici esempi in questi anni).

A ciò si aggiunga il modus operandi della guardia costiera libica che, come pare documentato anche da vari filmati girati nell’occasione e disponibili in rete14, minacciava di morte a mano armata il personale sui gommoni di salvataggio, il che aumentava lo stato di terrore dei migranti, le loro possibili reazioni scomposte e la concreta possibilità di elevare il già consistente pericolo in atto in tali circostanze.

Peraltro, la stessa norma del codice di condotta che si assume violata contempera espressamente gli impegni richiesti alle ONG con la previsione dell’art. 54 c.p., specificando che il divieto di ingresso nelle acque territoriali libiche per le ONG vale salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata.

Ma esiste un altro fondamentale aspetto che nella valutazione del pericolo grave ed attuale non può essere trascurato ed anzi forse è ancora più drammaticamente rilevante. Quale sarebbe stato il destino dei migranti ove fossero stati consegnati alla guardia costiera libica?

Se il recupero avviene in acque internazionali la consegna di tutti i migranti alla guardia libica equivarrebbe a violare il principio di non respingimento sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo Status dei rifugiati del 1951. Ciò ha determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ad esempio con la sentenza nel caso Hirsi Jamaa ed altro contro Italia del 23 febbraio 2012 (relativa ai respingimenti di migranti eritrei in Libia)15.

Non è un dubbio, ma ormai – allo stato – un fatto notorio che in Libia i migranti siano stabilmente sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, a tortura e comunque a situazioni di grave sfruttamento con concreto pericolo per la vita all’interno dei centri di detenzione libici, dei ghetti, delle connection houses.

Oltre alle plurime denunce documentate provenienti da molte ONG, le organizzazioni internazionali offrono un panorama sconvolgente. Da ultimo si veda il rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite del 12 febbraio 2018 che analizza gli sviluppi politici e di sicurezza in Libia, offre una visione degli sviluppi in tema di situazione umanitaria e rispetto dei diritti umani. La lettura di estratti di questo rapporto spazza via ogni dubbio sull’esistenza del pericolo grave ed attuale per i migranti, non solo in quanto naufraghi del Mediterraneo, ma forse ancora di più in caso di restituzione alla Libia, anche se trattasi di migranti soccorsi – come nel caso in esame - in acque libiche:

In tutto il paese, la detenzione arbitraria ha continuato ad essere diffusa sia nelle carceri ufficiali che nelle strutture di detenzione controllate da gruppi armati.

La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha continuato a ricevere rapporti credibili di tortura e altri maltrattamenti, condizioni di detenzione inadeguate, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di familiari e avvocati. Un modello simile di arresti illegali è presente nella Libia orientale. La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha documentato la detenzione prolungata arbitraria e in isolamento, torture, maltrattamenti e condizioni di detenzione inumane.

I migranti sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale, rapimenti per estorsione, estorsione, lavori forzati e uccisioni illegali. Tra i responsabili sono inclusi funzionari statali, gruppi armati, smugglers, traffickers e bande criminali.

La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha visitato quattro centri di detenzione supervisionati dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale e ha osservato un grave sovraffollamento e condizioni igieniche spaventose. I detenuti erano malnutriti e avevano limitato o nessun accesso alle cure mediche.

La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha continuato a documentare la condotta spericolata e violenta da parte della Guardia costiera libica nel corso di salvataggi e / o intercettazioni in mare. Ad esempio, il 6 novembre 2017, i membri della Guardia Costiera hanno picchiato i migranti con una fune e hanno puntato le armi da fuoco nella loro direzione durante un'operazione in mare. La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha anche documentato l'uso di forza eccessiva e illegale da parte dei funzionari del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale. Il 19 novembre, durante un raid su un campo di migranti improvvisato nella zona di Warshafanah, membri dei gruppi di Tajura e Janzur affiliati al Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale hanno aperto il fuoco sui migranti senza fornire alcun preavviso verbale, causando un numero di morti e lesioni.

Le donne sono state arbitrariamente detenute, spesso a causa di affiliazioni di famiglia o per "crimini morali", come impegnarsi in relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, e sono state trattenute in strutture senza guardie di sesso femminile, esponendole al rischio di abusi sessuali. Le donne hanno riferito di essere state sottoposte a perquisizioni e sottoposte a ricerche intrusive di cavità da parte o sotto lo sguardo di guardie di sesso maschile. Le donne e le ragazze migranti sono state oggetto di stupro, prostituzione forzata e altre forme di violenza sessuale per mano di funzionari statali, membri di gruppi armati, smugglers e trafficanti di esseri umani.

La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha continuato a ricevere segnalazioni di gravi violazioni nei confronti dei bambini, tra cui l'omicidio, la mutilazione e il rapimento16(traduzione non ufficiale)

Qualora la giurisdizione, per una sorta di malinteso senso di autoreferenzialità, dovesse aver bisogno di sentenze per accertare la sussistenza di un grave ed attuale pericolo per le persone connesso alla restituzione dei migranti alle guardie libiche per essere – nella migliore delle ipotesi – ricondotto nei centri di detenzione libici, dove regna il caos, oggi trova anche questo genere di riferimenti.

Ad esempio, la pregevole sentenza della Corte di Assise di Milano, resa il 1 dicembre 201717 illustra tragiche vicende all’interno di un centro di detenzione da cui è possibile ricavare molto di più del “pericolo” grave ed attuale per le persone dei migranti, bensì la quasi certezza di trattamenti disumani che spesso sfociano nelle torture e talvolta nell’omicidio.

Se questo è il quadro di riferimento, se le valutazioni scendono nel dettaglio e non si limitano ad analizzare le comunicazioni intercorse tra la motonave e l’IMCRR competente, se si effettua una valutazione del pericolo ex ante, ma anche complessiva, non è possibile non accorgersi della sua sussistenza, della proporzionalità dell’azione di salvataggio e di mancata restituzione dei migranti alla guardia costiera libica, della necessaria recessività delle clausole del codice di condotta sottoscritto dalle ONG di fronte alla tutela del bene primario dell’incolumità fisica dei migranti.

Nell’ulteriore fase processuale incidentale che riguarda la vicenda concreta, si sono registrate significative adesioni all’impostazione che si vuole qui suggerire. In conclusione, il giudice per le indagini preliminari di Ragusa (ufficio giudiziario divenuto competente dopo che l’omologo magistrato di Catania aveva ritenuto insussistente il reato di cui all’articolo 416 comma 6 c.p., che radicava la competenza distrettuale) in data 16 aprile 2018 rigettava la richiesta di sequestro del pubblico ministero (da rinnovarsi a seguito del trasferimento del fascicolo per competenza funzionale a Ragusa).

Il giudice ragusano18 ha escluso una lettura dell’articolo 54 c.p. che si limiti alla sola situazione relativa al momento del recupero in mare, ma richiede una valutazione più ampia, che tenga conto delle terribili condizioni esistenti presso i centri di detenzione libici, dell’assenza di porti sicuri in Libia e delle numerosa altre condizioni regolative delle procedure di soccorso, avuto riguardo alla legislazione internazionale vigente ed alla scarsa (o nulla) collaborazione delle autorità maltesi nelle operazioni.

In conclusione, le riflessioni che precedono trovano nei provvedimenti giudiziari siciliani solo un’occasione di elaborazione e si estendono ad una portata più ampia rispetto al caso concreto, che investe il significato e la portata del soccorso ai migranti del Mediterraneo. Una considerazione generale agganciata alla lettura circa l’insussistenza della causa di giustificazione ex art. 54 c.p. è che le valutazioni a sostegno appaiono inevitabilmente astratte, riduttive, non calibrate nel concreto sulle capacità di resistenza al pericolo di un uomo medio. E’ come se esistesse una soglia di tollerabilità per il migrante subsahariano, abituato ad atrocità indicibili ed un’altra soglia molto più blanda per l’uomo europeo. Ciò che è insostenibile per l’essere umano del Paese di destinazione diviene normale per il migrante alla deriva in mare, potenzialmente restituito ai centri di detenzione libici.

La chiave di lettura del substrato motivazionale ricavabile dal provvedimento di sequestro sembra affondare nella incapacità di percepire la debolezza dei corpi dei migranti in quel contesto di salvataggio in mare ed il conseguente trattenimento in un campo libico, che avrebbe dovuto essere ovviamente il passo successivo di un ragionamento che non vi è stato19 e che, a modesto avviso di chi scrive, avrebbe consentito (e consente) di scriminare l’ipotetico illecito penale agganciato a presunte violazioni di codici di autoregolamentazione ovvero di protocolli organizzativi divenute - in modo estensivo – elemento della condotta del grave reato ex art. 12 comma 3bis D.Lgs 286/1998.

Diritto internazionale

Su Shop.Wki.it è disponibile il volume:

Diritto internazionale Focarelli Carlo, CEDAM, 2017

(Altalex, 10 maggio 2018. Articolo di David Mancini)

_______________

6 Per un’analisi sui flussi migratori misti e sulle procedure di identificazione dei soggetti vulnerabili, potenziali vittime di tratta e richiedenti protezione, si veda il Rapporto dell’Ufficio dello Speciale Rappresentante e Coordinatore OSCE per combattere la tratta di esseri umani From Reception to Recognition: Identifying and Protecting Human Trafficking Victims in Mixed Migration Flows, a cura di D. Mancini.

7 Commissione Europea, “A European Agenda on Migration” COM(2015) 240 final, 13 May 2015. Accessed 21 August 2017.

8 Un’ampia ed articolata esposizione dei principi in materia, con riferimento particolare alle vittime di reati di tratta, sfruttamento e violenze di genere è contenuta nelle sentenze Cedu; cfr. Rantsev v. Cyprus and Russia App No. 25965/04 (ECtHR, 7 January 2010), M. and Others v. Italy and Bulgaria app No. 40020/03 (ECtHR, 31 July 2012), C.N. v. the United Kingdom App No. 4239/08 (ECtHR 13 November 2012), Siliadin v. France App No. 73316/01 (ECtHR, 26 July 2005), C.N. and V. v. France App No. 67724/09 (ECtHR, 11 October 2012), Keenan v. The United Kingdom App No. 27229/95 (ECtHR, 2 April 2001), Opuz v. Turkey App No. 33401/02 (ECtHR, 9 June 2009), Talpis v. Italia App No. 41237/13 (ECtHR, 21 March 2017).

9 Cassazione penale sez. II 19 settembre 2017 n. 47; Cassazione penale sez. IV 19 gennaio 2017 n. 6635.

10 Cassazione penale sez. II 14 aprile 2015 n. 19714.

11 Cassazione penale sez. II 22 ottobre 2009 n. 42422.

12 Cassazione penale sez. VI 24 settembre 2014 n. 45068.

13 Cassazione penale sez. I 08 novembre 2007 n. 4060.

Novità editoriali

Vedi Tutti
Codice del processo amministrativo commentato
Risparmi 5% € 180,00
€ 171,00
La riforma del codice degli appalti
Risparmi 5% € 50,00
€ 47,50
Giornale di Diritto Amministrativo
Risparmi 20% € 305,00
€ 244,00
Urbanistica e appalti
Risparmi 20% € 295,00
€ 236,00
Processo Amministrativo - Formulario Commentato
Risparmi 30% € 160,00
€ 112,00
Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati
Risparmi 30% € 170,00
€ 119,00
Azienditalia Enti Locali
Risparmi 40% € 215,00
€ 129,00
ilQG - Il Quotidiano Giuridico
Risparmi 52% € 250,00
€ 118,80
Procedure concorsuali e diritto pubblico
Risparmi 30% € 60,00
€ 42,00
Procedimento amministrativo
Risparmi 30% € 75,00
€ 52,50
Appalti pubblici
Risparmi 30% € 85,00
€ 59,50
Parcelle avvocati e fatturazione elettronica verso la PA
Risparmi 30% € 70,00
€ 49,00

Codici e Ebook Altalex Gratuiti

Vedi tutti