Ddl Pillon, affido condiviso o affido paritario
Il disegno di legge Pillon ha sollevato diverse perplessità ed acceso un dibattito che si alimenta sempre di più, suscitando non poche perplessità specie in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bi-genitorialità.
Il rischio, infatti, è che le tempistiche paritarie, già di per sé di dubbia realizzazione pratica, portino, come unico effetto concreto, ad un intollerabile
“sballottolamento” dei figli da un genitore ad un altro, con conseguenze fortemente pregiudizievoli per il minore. Il testo del disegno di legge sembra, infatti, mettere al centro l’interesse dei genitori e non quello del minore, che appare essere considerato come oggetto di diritto di qualcuno e come un bene di scambio.
Sarebbe invece essenziale comprendere in che modo l'affido condiviso può manifestarsi attraverso una suddivisione del tempo, il buon senso non può essere dato da norme di legge, ma deve essere valutato sui casi concreti, altrimenti si crea un diritto che non fa altro che generare conflittualità e proliferazione di contenziosi.
Quanto al mantenimento diretto, lo stesso non può non apparire assai iniquo, infatti, nel caso di redditi sostanzialmente differenti tra i coniugi, non è prevista una corresponsione perequativa a tutela del più debole, così come oggi avviene, ad esempio, per le spese straordinarie ripartite in percentuali diverse.
Inoltre, l’imporre una mediazione obbligatoria, addirittura come condizione di procedibilità, non porterà alcun beneficio né alle parti coinvolte, che anzi, si vedranno costrette ad affrontare ulteriori spese, né alla finalità deflattiva del contenzioso, come insegna la recente storia delle procedure ADR.
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Filiazione e responsabilità genitoriale Gorgoni A., CEDAM, 2018Probabilmente le intenzioni di chi ha proposto la riforma, pur partendo dal cercare di dare soluzione a problematiche effettivamente esistenti e che meritano una soluzione, come l'alienazione parentale, la povertà dei papà (dato triste ed inequivocabile in una copiosa casistica), la voglia di responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli e nel trascorrere con loro più tempo (spesso disattesa dai giudici), deraglia in un turbinio di norme slegate tra loro, disattendendo, soprattutto, il così detto best interests of the child, che rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del minore, garantendo che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice tenga in considerazione il suo superiore interesse.
Sta di fatto che ad oggi la piena bi-genitorialità è spesso mortificata dalla previsione di tempi di frequentazione sbilanciati, tant’è che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è più volte intervenuta sanzionando il nostro Paese per non avere predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (nella specie e quasi sempre il padre separato) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio - Sentenza Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, 29 gennaio 2013 (Pres. Jočienė).
Molte sono le problematiche irrisolte, appare anacronistico che in molti Tribunali si adotti ancora il criterio guida della maternal preference, nei fatti restaurando l’ancien regime dell’affidamento monoparentale, tale criterio interpretativo, infatti, non è previsto dagli articoli 337 ter e seg. del codice civile ed è in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della Legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso.
Anche a livello di diritto internazionale, in ossequio al principio di piena bigenitorialità si è andato verso il superamento del criterio della maternal preference per favorire quello del gender neutral child custody, che si basa sulla neutralità del genitore affidatario, che può dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore. Non può quindi essere solo il genere tout court a determinare la preferenza per l’uno o l’atro genitore.
Non poche perplessità suscitano anche le pronunce di superamento del principio dell’autosufficienza economica del coniuge in favore di un oramai anacronistico concetto di tenore di vita matrimoniale.
I tempi sono oramai maturi per superare il dogma della natura assistenziale dell’assegno divorzile, dovendo essere tutelata solo l’esigenza di compensare il coniuge debole per i sacrifici fatti a favore della famiglia durante il matrimonio, perimetrando il concetto di autosufficienza economica.
La struttura familiare si è oggi profondamente modificata, i coniugi spesso svolgono entrambi un’attività lavorativa, perciò riconoscere il diritto all’assegno divorzile basandosi soltanto sul tenore di vita precedente appare oltre che anacronistico iniquo e si risolverebbe in una richiesta ingiustificata da parte dell’ex coniuge, soprattutto guardando all’impoverimento subito dalle parti in seguito al divorzio.
(Altalex, 30 ottobre 2018. Articolo di Luca Lorenzo)