Società, Banca e Impresa

Buoni postali: ennesimo scacco alla tutela del risparmio

Cassazione civile, SS.UU., sentenza 11/02/2019 n° 3963

Mastercash: il banco vince sempre. Peccato però, che chi investe in buoni postali è convinto di essere in una botte di ferro anziché al casinò.

Volubile come la fortuna, infatti, la Suprema Corte a sezioni Unite con la sentenza 11 febbraio 2019, n. 3963 interviene a gamba tesa nel contrasto giurisprudenziale insorto sul tema del rimborso dei buoni postali emessi prima del 1986 frustrando le legittime attese di tutela che l’ordinanza interlocutoria di rimessione n. 21543/2018 aveva generato nei risparmiatori.

A leggerla bene, però, la sentenza che potrebbe apparire come “panacea di tutti i mali” presenta ben più di un neo.

La questione affrontata è se i buoni postali trentennali emessi ante 19861debbano essere rimborsati in base ai tassi di rendimento indicati sul cartaceo in possesso del risparmiatore, ovvero in base ai saggi più bassi fissati dal DM 13 giugno 1986 ed applicati dagli uffici postali al momento della riscossione.

Il dubbio nasce dall’infelice formulazione dell’art. 173 DPR 156/73 come modificato dalla L.588/74 che, nel riconoscere all’ente emittente la possibilità di variare i tassi di rendimento tramite decreto ministeriale, estende l’applicabilità delle modifiche sopravvenute anche ai buoni già collocati2, prevedendo che la tabella presente a tergo degli stessi ed indicante lo sviluppo del rendimento “è integrata con quella che è a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali”.

Questa previsione sibillina ha reso legittimo chiedersi se la variazione operata dal DM 1986 citato sia automaticamente operativa sul buono per il solo effetto della pubblicazione del decreto in G.U. ed in forza di eterointegrazione automatica del contratto ex art. 1339 c.c. o se, invece, sia necessari un passaggio intermedio rappresentato dalla messa a disposizione dei sottoscrittori, presso gli uffici postali, delle tabelle indicative dei nuovi saggi.

Anche ammettendo che la facoltà di variazione dei rendimenti sia operativa senza esigenza di alcuna ulteriore specificazione sul testo del buono3 (in quanto prevista da normativa primaria - DPR 156/73- anteriore alla sottoscrizione e, pertanto, da ritenersi nota al risparmiatore ), il dubbio permane, perché  all’investitore consapevole della variabilità in astratto restano, in ogni caso, ignoti  sia la misura sia il senso (aumento o diminuzione) della modifica, ossia i parametri essenziali per decidere se mantenere in essere l’investimento o recedere.

La questione di cui si tratta, cioè, non è la redditività dei bpf, bensì quella dell’informazione dell’investitore in funzione della libera allocazione del risparmio, oggetto di tutela costituzionale. Non è in discussione l’applicabilità del citato art. 173 e quindi la possibilità che il rendimento dei bpf sia modificato per effetto di interventi amministrativi successivi alla sottoscrizione. E’ in discussione la necessità che tali interventi siano pubblicizzati in modo tale da poter essere agevolmente conosciuti dall’investitore onde consentire di valutare se proseguire l’investimento o meno.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte “risolve” il quesito accogliendo l’opzione interpretativa secondo cui la pubblicazione in G.U. del DM istitutivo dei nuovi tassi è condizione sufficiente a rendere noti tali dati, in forza della presunzione di conoscenza che da tale pubblicazione deriverebbe. Si legge: il riferimento alla tabella concernente la revisione dei tassi non costituisce affatto una parte della modalità di comunicazione all’interessato della intervenuta nuova prescrizione ministeriale. La conoscenza è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale”.

Ad avviso della giurisprudenza più accorta - e, sommessamente, anche di chi scrive - tale approdo non è condivisibile in quanto in aperto contrasto sia con il T.U. 1092/854, sia con principi espressi in precedenza dalla stessa Suprema Corte - anche a Sezioni Unite - e dalla Corte Costituzionale non disconosciuti in sentenza e, pertanto, da ritenersi tutt'ora validi e condivisi.

E’ notorio, infatti, che la pubblicazione G.U. produce effetti diversi a seconda del tipo di atto pubblicato.

In particolare il T.U. citato (art. 15 ) riserva l’operatività della presunzione di conoscenza ai soli atti normativi prevedendo, negli altri casi - ad esempio per gli atti amministrativi tra cui si colloca il DM ’865 - che la pubblicazione assolve ad “esigenze di carattere informativo diffuso” (art. 18), ma su di essa non è possibile fondare alcuna presunzione di conoscenza.

Corollario di tale previsione è l'art. 113 c.p.c. che sottrae gli atti amministrativi al principio iura novit curia, esonerando il giudice dalla loro applicazione, salvo il caso che siano allegati dalla parte interessata.

Se ciò è vero - come è vero - allora affermare che il DM '86 debba ritenersi noto a titolari di buoni postali perchè pubblicato in Gazzetta equivale a gravare il comune cittadino di un onere conoscitivo che non grava neppure sui magistrati il che è, evidentemente, paradossale.

Stupisce dover rilevare che la sentenza non prenda neppure in considerazione questo profilo, pur trattandosi di normativa primaria da ritenersi nota ai giudici e di applicazione obbligatoria anche se non richiamata nelle difese di parte.

Proprio per porre rimedio al gap conoscitivo determinato dalla natura amministrativa dell'atto e di cui il risparmiatore risente suo malgrado, il legislatore del 1974 ha previsto (comma 3 dell'art. 173 citato) la messa a disposizione delle tabelle integrative presso gli uffici postali quale strumento indispensabile per garantire ai titolari di buoni di venire a conoscenza - realmente, non presuntivamente - delle variazioni sopravvenute e, per l'effetto, disporre del proprio investimento.

Questa interpretazione trova conferma negli atti parlamentari dell'epoca6.

Nel dibattito d'aula, infatti, emerge con chiarezza la preoccupazione del governo circa l'impatto negativo che una eventuale futura variazione al ribasso avrebbe potuto produrre;  di qui la premura di assicurare la tempestiva informazione dei risparmiatori attraverso la messa a disposizione delle tabelle integrative presso gli uffici postali sfruttandone la diffusione capillare sul territorio. In proposito l'allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni On. Togni, ebbe ad affermare”il presente provvedimento prevede la conversione dei vecchi titoli in nuovi, con accreditamento dei valori aggiornati, valori che ogni ufficio postale ha in evidenza per il pubblico”.

Quindi l'intenzione del legislatore, la c.d. voluntas legis, che ai sensi dell'art. 12 preleggi C.C. deve animare l'interpretazione del comma 3 art. 173 in esame, affida la conoscenza della nuova prescrizione ministeriale alle tabelle integrative, non alla pubblicazione del DM in Gazzetta come sostenuto in sentenza.

Queste considerazioni trovano conforto anche nell'attuale disciplina relativa alle comunicazioni ai titolari dei buoni fruttiferi. L'art. 6 comma 4 DM Economia e Finanze 6/2004 prevede che "le comunicazioni della CdP spa ai titolari di buoni postali fruttiferi vengono effettuate mediante l'inserzione di appositi avvisi nella Gazzetta ufficiale E nel sito  web della CDP spa". Ciò che, a partire dal 2004, si realizza attraverso la pubblicazione sul sito web, nell'anno 1973 si realizzava con la messa a disposizione delle tabelle integrative presso gli uffici postali. Ciò che qui rileva è che, oggi come ieri, le modalità informative sono comunque due: la pubblicità legale in gazzetta da un lato e l'informazione di prossimità dall'altro.

La natura amministrativa del DM '86 esclude, inoltre, l'applicabilità dell'art. 1339 c.c., esclude, cioè, che le clausole di rendimento previste dal DM possano essere automaticamente sostituite a quelle presenti sul cartaceo del buono.

La norma prevede, infatti che  i prezzi di beni o servizi sono diritto inseriti nel contratto e sostituiscono le previsioni delle parti solo se previsti dalla legge (o da fonte primaria equivalente), mentre nel caso in questione sono previsti da un atto amministrativo, ossia da fonte secondaria priva di efficacia normativa.

Avvalora questa interpretazione il principio affermato dalla corte costituzionale e richiamato della Sezioni Unite 2007 secondo cui le norme che disciplinano i tassi e la durata dell'investimento in buoni postali sono prive di profili autoritativi, ossia prive di efficacia imperativa necessaria per rendere operativa l'eterointegrazione contrattuale automatica.

L’obiezione per cui tale effetto sostitutivo si produrrebbe comunque, trattandosi di DM attuativo di norma primaria (art. 173 DPR 156/73), ha già da tempo trovato risposta negativa a cura di autorevole dottrina (RODOTA’- le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969) che ha precisato come, nel caso in cui il precetto esterno da sostituire alle clausole contrattuali sia contemplato da un atto amministrativo – come nel caso che ci occupa – dell’eterointegrazione sarà operativa solo se tale precetto trovi base in una fonte primaria la quale abbia fissato i criteri ed i limiti del potere di statuirlo.

Nel caso in esame l’art. 173 DPR 156/73 – fonte primaria che rinvia ai decreti ministeriali per le variazioni- non prevede nessun criterio né limite per l’esercizio di tale potere rendendo, per l’effetto, assolutamente imprevedibile, l’an, il quando e il quantum della variazione eventualmente operata.

Diversamente da quanto sostenuto in sentenza, dunque, le nuove condizioni di rendimento divengono opponibili al titolare e , quindi, operative sul buono postale solo per via mediata, ossia  per il tramite delle c.d tabelle integrative, nel caso di buoni emessi prima del 1986 ovvero per mezzo  del timbro correttivo apposto sopra la tabella, nel caso di buoni emessi dopo il 1986 con l'utilizzo di cartacei vecchi (cioè riferiti a serie non più in vigore).

Così come l'assenza di timbro correttivo viene valorizzata (SS.UU. 2007) al fine di riconoscere il diritto del risparmiatore al rimborso del titolo in base ai tassi indicati sul cartaceo, allo stesso modo  la carente disponibilità delle tabelle integrative deve essere valorizzata a tal fine.

La soluzione opposta adottata in sentenza (secondo cui  solo l’ipotesi di assenza di timbro genera il diritto al rimborso ai tassi originari) risulta - a dir poco - incoerente in quanto implica di riconoscere ai DM istitutivi delle variazioni una sorta di “capacità camaleontica”, per così dire,  cioè di attitudine a cambiar pelle a seconda del contesto in cui si trovano ad operare: se entrati in vigore prima del collocamento dei buoni che vanno a modificare, acquisiscono natura dispositiva con conseguente inapplicabilità dell'eterointegrazione automatica e necessità di timbratura del buono;  se entrati in vigore dopo, acquistano natura imperativa con conseguente eterointegrazione automatica e inutilità delle tabelle.

Si perverrebbe, cioè ad un approdo inaccettabile anche perché produttivo di una illegittima discriminazione tra i risparmiatori in buoni postali, poichè solo coloro che hanno acquistato i buoni in periodo successivo alla variazioni ed hanno avuto la “fortuna” di ricevere un cartaceo privo di timbro correttivo si vedranno riconosciuto il diritto al rimborso dei titoli ai tassi concordati alla sottoscrizione, tutti gli altri, invece, resteranno insoddisfatti e “col cerino in mano”.

E’ evidente, però, che la tutela del risparmio non è - né può diventare - “un terno al lotto”, in nessun caso, tanto meno nel caso in cui lo Stato si sia reso garante dell’investimento.

La questione che si è esaminata è già stata più volte portata all’attenzione del Legislatore a mezzo di interrogazioni parlamentari tra il 2014 ed il 2016 che hanno sortito risposte tutt’altro che soddisfacenti.

In questo quadro, cui si aggiunge una giurisprudenza ondivaga per non dire autocontraddittoria da ultimo alimentata dalla sentenza in commento, non possiamo che auspicare da un lato un - quanto mai - tempestivo revirement della Suprema Corte e, dall’altro, un immediato intervento dell’Esecutivo che stimoli il Parlamento a riportare chiarezza normativa anche attraverso l’istituzione di meccanismi di indennizzo affinché chi ha per trent’anni creduto ed investito sul proprio Paese, non si senta abbandonato e tradito come di recente è successo a chi ha comprato le azioni e scommesso sulla banca sbagliata.

(Altalex, 4 marzo 2019. Nota di Marta Buffoni)

______________

1 si tratta dei buoni appartenenti alle serie antecedenti la serie Q istituita con DM 13/6/86.

2 nel caso esaminato in sentenza il DM 13/6/86 ha istituito la serie Q ed i relativi rendimenti; l’art. 6 prevede l’applicazione dei tassi previsti per la serie Q anche appartenenti alle serie precedenti (O, P, P/O, Q/P).

3 è stato autorevolmente osservato (U. Cardinali - Buoni Postali Fruttiferi e la riduzione unilaterale dei tassi di interesse prefissati. In attesa delle Sezioni Unite”; I contratti 1/2019- Ipsoa gennaio 2019)  che l’esercizio di un diritto potestativo - categoria cui è stato ricondotto il potere di variazione unilaterale dei tassi riservato all’emittente - può avvenire solo nel caso in cui il contratto riporti una specifica avvertenza in tal senso, necessaria ad informare la parte esposta agli effetti dell’esercizio di quel diritto. Nel caso specifico, tale avvertenza diviene parte delle caratteristiche tecniche dei buoni postali solo a partire dal 1987 e fa la sua comparsa sul retro dei buoni mediante la dicitura “i tassi sono suscettibili di variazioni successive ai sensi di legge”.

4 DPR 1092/85 noto come T.U. delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sulla emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana. (GU Serie Generale n.123 del 29-05-1986 - Suppl. Ordinario).

5 il DM in parola, infatti, anche a tacer d’altro, risulta privo della numerazione progressiva e del visto del guardasigilli, ossia dei tratti formali caratterizzanti gli atti normativi. Pertanto ha natura di atto amministrativo generale non regolamentare.

6 atti parlamentari - camera dei deputati . n. 3265A -verbale seduta 19/11/1974.

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