Cessione del credito: al TFR non si applica il limite del quinto
La Suprema Corte di cassazione, nella sentenza in epigrafe, affronta e risolve la questione del se ed entro quali limiti sia ammissibile la cedibilità del credito relativo al trattamento di fine rapporto, ed in particolare se a siffatta cessione sia applicabile il limite del quinto stabilito per gli stipendi e le pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e delle aziende private dal T.U. in materia di sequestro, pignoramento e cessione (D.P.R. n. 180/1950).
Sommario
Il fatto
A chiamare in causa la Suprema Corte è una società riconosciuta debitrice nei confronti del creditore pignorante, in entrambi in grado di merito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, della parte eccedente il quinto dell’importo complessivo del TFR di un proprio lavoratore dipendente, versato, invece, per l’intero - correttamente nelle intenzioni della società – alla finanziaria con la quale il lavoratore aveva in essere, al momento del licenziamento, un prestito con cessione del quinto dello stipendio.
La decisione
Punto di partenza del ragionamento logico giuridico risolutorio della Sezione investita sono due principi espressi in punto dalla giurisprudenza di legittimità, ai quali la stessa si conforma: la libera cedibilità del credito del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 1260 c.c., non essendo annoverabile tra i crediti di cui la legge ne vieta la cessione o il trasferimento (crediti di natura strettamente personale); la totale estensione, ad opera della Legge n. 311/2004 e da ultimo dalla Legge n. 80/2005, al lavoro svolto alle dipendenze di datori di lavoro privati delle norme in materia di sequestro, pignoramenti e cessioni degli stipendi, salari e pensioni stabilite dal D.P.R. n. 180/1950, originariamente previsti e dettate per il solo lavoro pubblico.
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Codice commentato del lavoro a cura di Del Punta Riccardo, Franco Scarpelli, IPSOA, 2020Date le premesse, dunque, essendo la fattispecie concreta qualificabile come credito di lavoratore dipendente da un’azienda privata, la Corte individua nel D.P.R. n. 180/1950 la disciplina applicabile al caso di specie, soffermandosi in particolare sull’analisi di quelle disposizioni che regolamentano le facoltà e i limiti di cessione degli stipendi e dei salari dei non dipendenti dalla Stato, contenute nel Titolo III del testo unico.
Ferma la regola generale della insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti, anche se corrisposte da aziende private, sancita dalla richiamata normativa, la Corte riconosce nel combinato disposto degli artt. 43, 52 e 55 del suo Titolo III la disciplina dirimente la controversia sottopostole, nella parte in cui espressamente esclude l’applicabilità del limite del quinto al trattamento di fine rapporto.
Nella lettera dell’art. 52, invero, mentre viene prevista la possibilità per gli impiegati e i salariati di imprese private, con contratto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato, rispettivamente di “fare cessione di quote di stipendio o di salario non superiore al quinto per un periodo non superiore ai dieci anni” ovvero “per il periodo di tempo che al momento dell’operazione deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere” (I comma e primo capoverso del II comma), rispetto al trattamento di fine rapporto, per i medesimi soggetti, viene, di contro, esplicitamente esclusa l’operabilità di tale limite, essendo che “Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere dai soggetti di cui al precedente e presente comma, non si applica il limite il quinto” (al suo II comma, secondo capoverso).
L’assenza di un limite alla cedibilità del trattamento di fine rapporto viene, altresì, confermata, secondo la Corte, dal combinato disposto degli artt. 55 e 43 del medesimo testo unico, in base al quale alle indennità spettanti agli impiegati e ai salariati non dipendenti dalla Stato da erogare una tantum al momento della cessazione dal servizio, - alle quali, in ossequio all’interpretazione data dalla giurisprudenza di legittimità già intervenuta in argomento, è sicuramente riconducibile il trattamento di fine rapporto – si estendono gli effetti della cessione “per tutto il residuo dovuto e, quindi, senza il limite del quinto”.
Il principio di diritto
Ciò posto in diritto, pertanto, accogliendo le istanze formulate dalla società ricorrente e cassando la sentenza impugnata, la Suprema Sezione Lavoro ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Ai sensi del D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, art. 52 , comma 2, come modificato dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35, art. 13-bis, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005 n. 80, alla cessione del trattamento di fine rapporto dei lavoratori pubblici e privati non si applica il limite del quinto”.
CASSAZIONE, SEZ. LAVORO, SENTENZA N. 3913/2020 >> SCARICA IL TESTO IN PDF
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