Lavoro e previdenza sociale

Il divieto di licenziamento nel decreto Rilancio 2

Il D.L. 104/2020 introduce un nuovo termine mobile per il divieto di licenziamento ed alcune importanti eccezioni al limite

licenziamento: dubbi Il Governo con l’art. 14 del c.d. decreto Rilancio 2 (D.L. 14 agosto 2020, n. 104), ex “decreto agosto”, interviene nuovamente sul tema “caldo” del divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo e dei licenziamenti collettivi.

Si tratta della terza proroga del divieto de qua: il divieto introdotto inizialmente dall’art. 46 del Decreto c.d. Cura Italia (D.L. n. 18/2020) fino alla data del 17 maggio, era stato ulteriormente prorogato con il Decreto c.d. Rilancio  (D.L. n. 34/2020) fino alla data del 17 agosto, con un periodo di “vacatio” di due giorni per il divieto in questione, considerato che il Decreto Rilancio è entrato in vigore a partire dal 19 maggio.

La novità prevista dal Decreto Rilancio 2 è l’assenza di un termine fisso per il divieto di licenziamento, termine fisso sostituito invece da una scadenza che potremo dire mobile, e che può essere determinata leggendo in combinato disposto l’art. 1 del D.L. 104/2020 che introduce un nuovo periodo di ammortizzatori sociali da utilizzare entro il 31 dicembre 2020 per un totale di 18 settimane, e dall’altra parte all’art. 3 una agevolazione contributiva per un periodo massimo di 4 mesi fruibili sempre entro il 31 dicembre per i datori di lavoro che non utilizzeranno il nuovo periodo di ammortizzatori sociali.

Pertanto, fermo il limite ultimo del 31 dicembre, i datori di lavoro potranno avviare procedure di licenziamento collettivo (artt. 4, 5, 24 Legge n. 223/1991) e intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo solo dopo aver concluso il periodo di ammortizzatori sociali previsti dall’art. 1 del Decreto o soltanto dopo aver fruito dell’agevolazione contributiva prevista dall’art. 3 del D.L. 104/2020.

Pertanto in considerazione dei due diversi termini di riferimento ancorati rispettivamente alle due diverse norme, il primo giorno utile per procedere con licenziamenti per giustificato motivo oggettivo potrebbe essere sensibilmente diverso. L’agevolazione contributiva di cui all’art. 3, infatti, è pari al doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno. Un’impresa che avesse adoperato poche ore di cassa integrazione nei mesi di maggio e giugno (ad esempio, due settimane) trascorso solo un mese dal 17 agosto, potrebbe procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966.

Le complessità di natura applicativa risultano aggravate, però, dalle difficoltà ermeneutiche risultanti dalla formulazione a dir poco nebulosa del secondo comma dell’art. 3 il quale dispone che “al datore di lavoro che abbia beneficiato dell'esonero di cui al comma 1, si applicano i divieti di cui all'articolo 14 del presente decreto”. La norma così enunciata sembrerebbe creare una sorta di corto circuito giuridico che potrebbe far pensare ad una sorta di definitività del divieto di licenziamento una volta che il datore di lavoro abbia optato per la soluzione dell’esonero contributivo.

Una lettura sistematica della norma consente, ad avviso di chi scrive, di rigettare tale tipo di conclusione ermeneutica, in quanto da una parte creerebbe una fattispecie di divieto di licenziamento sine die palesemente incostituzionale e dall’altra non apparirebbe conforme all’impianto previsto dalla norma che intende chiaramente vincolare il divieto di licenziamento alla durata delle misure straordinarie introdotte dal Governo (periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali o dell’esonero contributivo).

Il comma 3 dell’art. 14 introduce alcune deroghe al divieto di licenziamento:

  • Cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, con messa in liquidazione della società. La chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco.
  • Accordo collettivo aziendale: è questa una ipotesi nella quale sarà possibile procedere ad una riduzione di personale se verrà raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con un incentivo alla risoluzione del rapporto per i dipendenti che aderiscono ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASPI, pur trattandosi di una risoluzione consensuale. Una difficoltà operativa della norma è il riferimento ai soli accordi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, sembrerebbero pertanto escluse le articolazioni territoriali o aziendali (RSA o RSU).
  • Fallimento senza alcun esercizio provvisorio dell’attività, con cessazione totale della stessa. Nel caso in cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’attività da parte di un ramo dell’azienda, resteranno esclusi i settori non compresi nel fallimento.

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