Responsabilità civile

Le "sopravvenienze contrattuali" alla prova del Covid-19

La pandemia ha riacceso il dibattito sulle circostanze fattuali o giuridiche, estranee al dominio delle parti, che alterano il nesso sinallagmatico tra le prestazioni corrispettive

Covid-19 e sopravvenienze contrattualiLa drammatica pandemia Covid-19 ha riacceso il dibattito sulle “sopravvenienze”, circostanze fattuali o giuridiche, estranee alla sfera di dominio delle parti, che –sopraggiungendo alla stipulazione di un contratto di durata– alterano il nesso sinallagmatico tra le prestazioni corrispettive.

Più in particolare, la crisi pandemica ha offerto agli interpreti lo spunto per una rilettura dei “rimedi” previsti dal diritto generale dei contratti.

Come noto, al netto di soluzioni adottate per taluni tipi contrattuali, l’attuale impianto codicistico affida la “cura” di rapporti alterati da sopravvenienze squilibranti allo strumento della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (ex artt. 1256, 1463 e 1464. c.c.) o per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 ss. c.c.).

Rimedi, dunque, ablativi”, in virtù della loro attitudine a sciogliere il vincolo contrattuale, i cui presupposti operativi sono  peraltro disegnati dal Legislatore codicistico – e vieppiù interpretati in giurisprudenza- con estremo rigore: a titolo esemplificativo, l’eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. deve consistere in una alterazione significativa del sinallagma contrattuale, non rientrante nell’alea normale del contratto e derivante da avvenimenti “straordinari” ed “imprevedibili”; ancora, in materia di risoluzione per impossibilità, l’interpretazione tradizionale insegna che l’impossibilità della prestazione deve esser qualificata dai caratteri dell’ “assolutezza” ed “obiettività”, con conseguente esclusione di rilevanza della mera difficultas praestandi.

Sulla base di queste preliminari considerazioni, è agevole intravedere un atteggiamento di marcata “diffidenza” del sistema verso soluzioni di tipo più spiccatamente conservativo; in tale prospettiva, appare significativo che lo stesso meccanismo della reductio ad aequitatem previsto dal terzo comma dell’art. 1467 c.c. per il caso di risoluzione per eccessiva onerosità sia sostanzialmente rimesso all’iniziativa della parte non gravata dello squilibrio, sicché esso, lungi dall’atteggiarsi quale soluzione “privilegiata”, interviene soltanto dopo che sia stata richiesta la risoluzione.

Ebbene, alla luce del panorama normativo così sommariamente delineato, da più parti si lamenta l’inadeguatezza del tradizionale apparato rimediale: con terminologia mutuata dal campo epidemiologico, illustri Autori hanno efficacemente messo in luce la presenza di insufficienti “anticorpi” nel descritto sistema di rimedi.

Nei più disparati settori si è fatta strada l’idea della necessità di strumenti di reazione improntati a maggiore flessibilità, capaci di garantire la stabilità nel tempo delle relazioni economiche, in luogo della loro “demolizione” tout court.

In questa direzione, da più parti si auspica già da tempo la valorizzazione di rimedi manutentivi” –convenzionalmente previsti o affidati, in ultima istanza, all’autorità giudiziaria– i quali, lungi dallo sciogliere un vincolo avente forza di legge ex art 1372 c.c., mantengono in vita i rapporti contrattuali squilibrati previa loro “rinegoziazione in executivis (sul punto, cfr. da ultimo le efficaci argomentazioni espresse dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nella relazione tematica n. 56/2020)

E che in un prossimo futuro il passo successivo possa essere il riconoscimento di un fondamento normativo espresso a siffatto obbligo di rinegoziazione (in luogo del frequente ricorso al principio di buona fede e solidarietà ex art. 1375 c.c. e art. 2 Cost), sembra confermarlo il disegno di legge recante la “delega al Governo per la revisione del codice civile” (DDL Senato 1151 del 2019), attualmente pendente davanti al Parlamento, che prevede espressamente il “diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede ovvero, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che venga ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti”.

Nell’attesa della descritta “revisione del codice civile”, giova evidenziare che con specifico riguardo a talune fattispecie contrattuali il legislatore dell’emergenza è intervenuto con norme che, ancorché in maniera frammentaria e disorganica, hanno manifestato una certa sensibilità verso la tematica.

A titolo esemplificativo, valga sul punto il riferimento all’art. 28, c. 5, del D.L. n. 9/2020 sul rimborso dei titoli di viaggio e pacchetti turistici, a tenore del quale: “In caso di recesso, l’organizzatore può offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, può procedere al rimborso nei termini previsti dai commi 4 e 6 dell’art. 41 del citato decreto legislativo 23 maggio 2011, n.79, oppure può emettere un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante”. Come evidente, la norma - delineando un’ipotesi di obbligazione alternativa, in cui la scelta spetta al debitore ex art. 1286, c.1 - ha predisposto un rimedio di tipo manutentivo, sì da distribuire solidaristicamente tra le parti il costo della sopravvenienza.

Una disciplina di analogo tenore, con la previsione di una modalità rimediale di tipo alternativo (rimborso del corrispettivo ovvero voucher), è stata delineata dall’art. 88 del d.l. 18/2020 c.d. “Cura Italia” relativamente ai contratti di soggiorno (in strutture alberghiere o simili), ai contratti per l’accesso a spettacoli di ogni genere, nonché a musei o altri luoghi culturali.

Da ultimo, si segnala l’art. 216 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 c.d. ”Rilancio” che, con particolare riguardo ai contratti di locazione di locali adibiti a palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà  di soggetti privati, ha riconosciuto al conduttore la possibilità di ottenere una riduzione del corrispettivo, che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al 50% del canone contrattualmente stabilito.

Come è dato osservare da questa breve panoramica, la strada verso una rivisitazione dell’apparato rimediale tradizionale sembra ormai tracciata.

Che sia questa l’ “eredità” del Covid-19 per il futuro diritto dei contratti italiano?

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Bibliografia essenziale: F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 312ss; Id., Per un diritto dei contratti più solidale in epoca “coronavirus” in giustiziacivile.com.; C. Pilia, Le tutele dei diritti durante la pandemia Covid 19: soluzioni emergenziali o  riforme strutturali?, in Persona e Mercato, 2/2020, 77ss. Per ulteriori contributi cfr V. Roppo, Il Contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iudica-P. Zatti),Milano, 2001; V. Roppo, R. Natoli, Contratto e Covid19, in giustiziainsieme.it; A. Dolmetta, Il problema della rinegoziazione (ai tempi del Coronavirus) in questionegiustizia.it; C. Scognamiglio, L'emergenza Covid 19: quale ruolo per il civilista?, in giustiziacivile.com; E. Tuccari, Sopravvenienze e rimedi al tempo del covid-19, su juscivile.it;

Cfr. relazione tematica Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, n. 56/2020, sulle «Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale».

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