Penale

Sequestro probatorio: istanza di restituzione o riesame?

L’esame della normativa e degli ultimi arresti giurisprudenziali

martelletto Qual è il rimedio contro il decreto di sequestro probatorio?

Istanza di restituzione e riesame rappresentano un’opzione binaria e tutt’altro che indifferente.

Sommario

La procedura di cui all’art. 263 c.p.p.

La norma disciplina il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate, individuando i soggetti competenti, le forme del procedimento, le modalità di risoluzione delle controversie sulla proprietà e l’eventuale impugnazione del provvedimento emesso dal giudice o dal Pubblico Ministero.

Presupposto per l’attivazione dell’iter in esame è l’avvenuta cessazione della necessità di mantenere il sequestro per il venir meno delle esigenze probatorie e, parallelamente, l’assenza di condizioni che impongano l’adozione di una cautela reale o della confisca (BELLANTONI, Sequestro probatorio e processo penale, La Tribuna, 2005, 508).

Quanto ai soggetti competenti ad assumere la decisione, nella fase delle indagini preliminari l’organo competente è il P.M, secondo le scansioni specificamente delineate dal quarto e quinto comma (secondo i quali «nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate il pubblico ministero provvede con decreto motivato» e «contro il decreto del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta, gli interessati possono proporre opposizione sulla quale il giudice provvede a norma dell’articolo 127»), che regolano la delibazione dell’istanza e l’eventuale impugnazione del provvedimento attraverso il peculiare rimedio dell’opposizione proposta dinanzi al G.i.p. (sul punto, Cass., sez. II, 26 giugno 1992 n. 3143/93, Palmen, C.E.D., Cass., n. 193889).

Dunque, nella fase delle indagini preliminari l’istanza di restituzione delle cose sequestrate va indirizzata al P.m., il quale decide con decreto impugnabile innanzi al G.i.p. L’eventuale opposizione dà luogo all’instaurazione della procedura del rito camerale nel quale si osservano le disposizioni di cui all’art. 127 c.p.p.

Una volta chiuse le indagini preliminari ed esercitata l’azione penale attraverso citazione diretta a giudizio, competente a decidere, qualora gli atti non siano ancora stati trasmessi al giudice del dibattimento, sarà il G.i.p. (Cass., Sez. IV, 19 febbraio 1999, n. 51/99, Marchesi, Cass. pen. 2000, 2073).

Ugualmente, il G.i.p. sarà competente sia nell’ipotesi in cui il P.m. abbia inoltrato richiesta di archiviazione, sia, successivamente, nell’ipotesi in cui il provvedimento sia stato archiviato (Cass., Sez. III, 11 ottobre, 2000, n. 3170/00, Maggio, Cass. pen. 2002, 1463; Cass., Sez. III, 24 giugno 2010, n. 34219/10, in C.E.D. Cass., n. 248223).

Dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione, competente a decidere è il giudice dell’esecuzione: questi, ai sensi dell’articolo 676 del codice di procedura penale, procede a norma dell’articolo 666, comma 4, del codice di procedura penale, e cioè provvede de plano con ordinanza, contro cui l’interessato e il difensore possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice.

Come è fatto palese dal tenore letterale della disposizione in esame, affinché il P.m. (o il giudice) possa procedere alla restituzione, non dovrà esservi dubbio sulla proprietà delle cose.

Invero, qualora dovesse insorgere una controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice dovrà investire della questione il giudice civile competente in primo grado, mantenendo comunque il sequestro. La ratio sottesa al perdurare del vincolo reale può essere individuata nel rilievo che il concetto di buona fede assume connotazioni differenti a seconda del campo giuridico nel quale viene evocato. Se, infatti, sotto il profilo penalistico è idonea a escludere la commissione di reati, per altro verso, sotto il profilo civilistico, potrebbe non essere sufficiente per acquisire la proprietà del bene mediante il possesso (Cass., Sez. II, 1° marzo 2005, n. 10871/05, Cass. pen. 2006, 608; Cass., Sez. II, 18 marzo 2008, n. 12445/08, Arch. n. proc. pen. 2009, 262).

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che il provvedimento con il quale il giudice penale rimette le parti davanti al giudice civile per la risoluzione della questione sulla proprietà, non ha contenuto decisorio ma ha natura interlocutoria, perché non pregiudica l’interesse delle parti, ed è pertanto inoppugnabile (Cfr., ex plurimis, Cass., Sez. II, 14 maggio 1999, n. 2296/99, Graziano, Cass. pen. 2000, 2073).

Il riesame del decreto di sequestro probatorio e del decreto di convalida del medesimo

Nell’attuale impianto codicistico, il procedimento per la restituzione delle cose sequestrate, disciplinato dall’art. 263 c.p.p., convive con un rimedio ben diverso, e cioè il riesame.

Invero, ai sensi dell’art. 257 c.p.p., avverso il decreto di sequestro probatorio l’imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame.

In forza dell’espresso richiamo, da parte della norma in esame, alle disposizioni di cui all’art. 324 c.p.p., l’attività del tribunale del riesame, investito dell’istanza, si caratterizza per la sua particolare estensione, sia sotto il profilo cognitivo, trattandosi di impugnazione pienamente devolutiva, sia in relazione ai poteri di modifica e integrazione del provvedimento.

Nell’individuazione dei provvedimenti in materia di sequestro probatorio che possono essere sottoposti al vaglio del tribunale, attraverso la proposizione dell’istanza di riesame viene in rilievo, insieme alla norma di cui all’art. 257 c.p.p., anche l’art. 355, comma 3, c.p.p., la quale fa riferimento alla particolare scansione procedimentale che si instaura nell’ipotesi di sequestro effettuato d’iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 354.
Dalla lettura di tali norme si desume come possa essere impugnato, nella forma del riesame, oltre al decreto di sequestro ex art. 253 c.p.p., anche il decreto di convalida del sequestro effettuato d’iniziativa della polizia giudiziaria in caso di urgenza.

Procedimento per la restituzione delle cose sequestrate e riesame: attenzione alle differenze

Contrariamente a quanto potrebbe apparire, i due istituti devono essere tenuti ben distinti, come puntualizzato dalla recente sentenza della Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-04-2021) 27-04-2021, n. 15697, che si è pronunciata sul ricorso presentato da un indagato il quale si era visto dichiarare inammissibile, dal G.i.p., l’opposizione presentata avverso il decreto con il quale il P.m. aveva respinto l’istanza di restituzione, avanzata in base all’art. 263 c.p.p., di una somma di denaro contante sequestrata nel corso di una perquisizione.

La declaratoria di inammissibilità del GIP era disposta de plano, in quanto – si legge nella sentenza - l’opponente aveva dedotto profili riguardanti la legittimità e l’opportunità del sequestro, che avrebbero dovuto costituire oggetto di ricorso in sede di riesame.

Il Supremo Collegio, ponendosi sulla medesima linea interpretativa tracciata da precedenti arresti giurisprudenziali (in particolare, si veda Cass., Sez. VI, 10 giugno 1992, n. 2167/92, Pistillo), ha ribadito il principio secondo cui con l’opposizione avverso il decreto del P.m. di rigetto della richiesta di restituzione delle cose sequestrate sono deducibili esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a fini di prova, e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro medesimo; censure, queste, che vanno invece sollevate con la richiesta di riesame.

Infatti, il riesame consente all’interessato di chiedere al competente tribunale un nuovo esame sulla legittimità, validità e opportunità del sequestro, anche nel merito, e tende non alla restituzione della cosa, ma alla possibilità che dal riesame derivi il dissequestro indipendentemente dal soggetto che rientrerà in possesso della cosa, mentre con il procedimento per la restituzione (istanza al P.m. ed eventuale opposizione) sono deducibili esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a fini di prova.

Pertanto, se si ha intenzione di dedurre profili attinenti alla legittimità del provvedimento di sequestro (ad esempio, fondatezza del fumus del reato e riconducibilità del bene al reato contestato), il rimedio da esperire consiste nella richiesta di riesame, pena la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione ex art. 263 c.p.p.

Viceversa, se le censure da sollevare attengono alla necessità di mantenere il sequestro, (ad esempio, per sopravvenute ragioni che le farebbero venir meno) lo strumento che l’ordinamento mette a disposizione è quello dell’istanza - ed eventuale opposizione – di cui all’art. 263 c.p.p.

Quest’ultima norma, in conclusione, non impone la scelta del procedimento di restituzione, ma prospetta un’alternativa al difensore, che, in base a quanto fin qui esposto, dovrà essere ben ponderata, anche per evitare che una eventuale opzione errata possa determinare l’inutile decorso del termine per la proposizione del riesame, con conseguente cristillazzazione degli effetti pregiudizievoli del provvedimento ablativo in atto.

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